DECRETO DEL MINISTERO DELL’AGRICOLTURA, DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE E DELLE FORESTE 9 settembre 2024 (in Gazz. Uff. 20 settembre 2024, n. 221)
DECRETO DEL MINISTERO DELL’AGRICOLTURA, DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE E DELLE FORESTE 9 settembre 2024 (in Gazz. Uff. 20 settembre 2024, n. 221). – Modifiche ordinarie al disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta (DOP) «Prosciutto di Modena».
IL DIRIGENTE GENERALE DELLA PQA I
della Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare
Visto il regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari;
Visto il regolamento (UE) 2024/1143 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024, relativo alle indicazioni geografiche dei vini, delle bevande spiritose e dei prodotti agricoli, nonché alle specialità tradizionali garantite e alle indicazioni facoltative di qualità per i prodotti agricoli, che modifica i regolamenti (UE) n. 1308/2013, (UE) 2019/787 e (UE) 2019/1753 e che sostituisce e abroga il regolamento (UE) n. 1151/2012, entrato in vigore il 13 maggio 2024;
Visto l’art. 24 del regolamento (UE) 2024/1143, rubricato «Modifiche di un disciplinare» e, in particolare, il paragrafo 9 secondo il quale le modifiche ordinarie di un disciplinare sono valutate e approvate dagli Stati membri o dai paesi terzi nel cui territorio è situata la zona geografica del prodotto in questione e sono comunicate alla Commissione;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ed in particolare l’art. 16, comma 1, lettera d);
Visto il decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, coordinato con la legge 16 dicembre 2022, n. 204, recante «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri», con il quale il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha assunto la denominazione di Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 ottobre 2023, n. 178, recante: «Riorganizzazione del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste», a norma dell’art. 1 comma 2 del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2023, n. 74;
Visto il decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste del 31 gennaio 2024, n. 0047783, recante individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e definizione delle attribuzioni e relativi compiti;
Vista la direttiva del Ministro 31 gennaio 2024, n. 45910, registrata alla Corte dei conti al n. 280 in data 23 febbraio 2024, recante gli indirizzi generali sull’attività amministrativa e sulla gestione per il 2024;
Vista la direttiva dipartimentale 21 febbraio 2024, n. 85479, registrata dall’Ufficio centrale di bilancio al n. 129 in data 28 febbraio 2024, per l’attuazione degli obiettivi definiti dalla «Direttiva recante gli indirizzi generali sull’attività amministrativa e sulla gestione per l’anno 2024» del 31 gennaio 2024, rientranti nella competenza del Dipartimento della sovranità alimentare e dell’ippica, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 179/2019;
Vista la direttiva direttoriale n. 0289099 del 28 giugno 2024 della Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare, registrata dall’Ufficio centrale di bilancio il 4 luglio 2024 al n. 493, in particolare l’art. 1, comma 4, con la quale i titolari degli uffici dirigenziali non generali, in coerenza con i rispettivi decreti di incarico, sono autorizzati alla firma degli atti e dei provvedimenti relativi ai procedimenti amministrativi di competenza;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica del 21 dicembre 2023, registrato alla Corte dei conti in data 16 gennaio 2024, n. 68, concernente il conferimento al dott. Marco Lupo dell’incarico di Capo del Dipartimento della sovranità alimentare e dell’ippica;
Visto il decreto di incarico di funzione dirigenziale di livello generale conferito, ai sensi dell’art. 19, comma 4 del decreto legislativo n. 165/2001, alla dott.ssa Eleonora Iacovoni, del 7 febbraio 2024 del Presidente del Consiglio dei ministri, registrato dall’Ufficio centrale di bilancio al n. 116, in data 23 febbraio 2024, ai sensi del decreto legislativo n. 123 del 30 giugno 2011 dell’art. 5, comma 2, lettera d);
Visto il decreto del direttore della Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare del 30 aprile 2024, n. 193350, registrato dalla Corte dei conti il 4 giugno 2024, n. 999, con il quale è stato conferito al dott. Pietro Gasparri l’incarico di direttore dell’Ufficio PQA I della Direzione generale della qualità certificata e tutela indicazioni geografiche prodotti agricoli, agroalimentari e vitivinicoli e affari generali della Direzione;
Visto il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 14 ottobre 2013, n. 12511, recante disposizioni nazionali per l’attuazione del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari in materia di DOP, IGP e STG;
Visto il regolamento (CE) n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee – Serie L 148 del 21giugno 1996, con il quale è stata registrata la denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»;
Vista l’istanza presentata dal Consorzio di tutela del Prosciutto di Modena DOP, che possiede i requisiti previsti dall’art. 13, comma 1 del decreto n. 12511/2013, intesa ad ottenere la modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»;
Visto il parere favorevole espresso dalla Regione Emilia-Romagna, competente per territorio, in merito alla domanda di modifica del disciplinare di che trattasi;
Visto il comunicato, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 161 dell’11 luglio 2024, con il quale è stata resa pubblica la proposta di modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena» ai fini della presentazione di opposizioni e che, entro i termini previsti dal decreto 14 ottobre 2013, non sono pervenute opposizioni riguardo la proposta di modifica di cui trattasi;
Considerato che, a seguito dell’esito positivo della procedura nazionale di valutazione, conformemente all’art. 24, paragrafo 9, del regolamento (UE) 2024/1143, sussistono i requisiti per approvare le modifiche ordinarie contenute nella domanda di modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»;
Ritenuto di dover procedere alla pubblicazione del presente decreto di approvazione delle modifiche ordinarie del disciplinare di produzione in questione e del relativo documento unico consolidato, nonché alla comunicazione delle stesse modifiche ordinarie alla Commissione europea;
Decreta:
Art. 1
1. È approvata la modifica ordinaria al disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena», di cui alla proposta pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 161 dell’11 luglio 2024.
2. Il disciplinare di produzione consolidato della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena», ed il relativo documento unico consolidato, figurano rispettivamente agli allegati A e B del presente decreto.
Art. 2
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
2. Le modifiche ordinarie di cui all’art. 1 sono comunicate, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto, alla Commissione europea.
3. Il presente decreto e il disciplinare consolidato della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena» saranno pubblicati sul sito internet del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste
Allegato A
Disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»
A
Nome del prodotto che comprende la denominazione d’origine
Il nome del prodotto è «Prosciutto di Modena».
La denominazione d’origine «Prosciutto di Modena» è giuridicamente protetta a livello nazionale dalla legge della Repubblica italiana 12 gennaio 1990, n. 11 «Tutela della denominazione d’origine del prosciutto di Modena, delimitazione della zona di produzione e caratteristiche del prodotto», attualmente in vigore, ed è poi stata riconosciuta come DOP ai sensi del regolamento CEE 2081/92 con regolamento CE n. 1107 del 12 giugno 1996.
B
Descrizione del prodotto mediante indicazione delle materie prime e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche ed organolettiche
La denominazione di origine del «Prosciutto di Modena» è riservata esclusivamente al prosciutto le cui fasi di produzione, dalla salagione alla stagionatura completa, hanno luogo nella zona tipica di produzione e viene attestata dal contrassegno apposto sulla cotenna citato alla scheda H – Figura 1: contrassegno, atto a garantire l’origine, l’identificazione e l’osservanza delle disposizioni produttive contenute nel presente disciplinare.
Il «Prosciutto di Modena» è ottenuto esclusivamente dalla coscia fresca di suini nati, allevati, e macellati nelle seguenti regioni: Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, secondo le prescrizioni produttive contenute nel presente disciplinare.
I suini devono essere macellati in ottimo stato sanitario e dissanguati secondo le migliori tecniche di produzione, non prima del nono mese dalla nascita.
È esclusa l’utilizzazione di verri e scrofe.
La coscia fresca deve avere per base ossea il femore, la tibia, la rotula e la prima fila delle ossa tarsiche.
Le cosce dei suini impiegate per la preparazione del «Prosciutto di Modena» devono essere di peso sufficiente a far conseguire un peso, a fine stagionatura, non inferiore a otto chilogrammi.
Lo spessore del grasso della parte esterna della coscia fresca rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza della testa del femore (sottonoce), con la coscia e la relativa faccia esterna poste sul piano orizzontale, non deve essere inferiore a 15 millimetri, cotenna compresa, in funzione della pezzatura.
La giusta consistenza del grasso è stimata attraverso la determinazione del numero di jodio e/o del contenuto di acido linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo adiposo sottocutaneo della coscia. Per ogni singola coscia il numero di jodio non deve superare 70 ed il contenuto di acido linoleico non deve essere superiore al 15%.
Sono escluse le cosce provenienti da suini con miopatie conclamate (PSE, DFD, postumi evidenti di pregressi processi flogistici e traumatici, ecc.), accertate obiettivamente e certificate, al macello, da un medico veterinario.
Dopo la macellazione, le cosce suine non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi compresa la congelazione. Per refrigerazione si intende che le cosce suine devono essere conservate, nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura interna variabile tra – 1 grado C° e + 4 gradi C°.
Non è ammessa la lavorazione di cosce suine che risultino ricavate da suini macellati da meno di 24 o da oltre 120 ore.
Il «Prosciutto di Modena», al termine della stagionatura presenta particolari caratteristiche organolettiche e qualitative, che si concretizzano in una oggettiva caratterizzazione e nella ricorrenza di determinati parametri; questi ultimi sono l’inequivocabile risultato della correlazione, confermata nel tempo fra caratteristiche organolettiche e parametri chimici in funzione delle metodiche produttive.
Le particolari caratteristiche organolettiche e qualitative del «Prosciutto di Modena» rispondono ai seguenti requisiti:
a) forma a pera, con esclusione del piedino ottenuta con l’eliminazione dell’eccesso di grasso mediante rifilatura ed asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura;
b) peso non inferiore a chilogrammi 8 e non superiore a chilogrammi 12,5;
c) colore rosso vivo del taglio;
d) sapore sapido ma non salato;
e) aroma di profumo gradevole, dolce ma intenso anche nelle prove dell’ago;
f) consistenza caratteristica della carne dell’animale di provenienza.
Per quanto riguarda l’osservanza di determinati parametri, il «Prosciutto di Modena» è altresì caratterizzato dall’osservanza di requisiti, verificati mediante l’analisi chimica e riferiti alla composizione centesimale di una frazione del muscolo bicipite femorale, rilevati prima dell’apposizione del contrassegno di cui alla scheda H – Figura 1: contrassegno del presente disciplinare.
L’umidità percentuale non deve essere inferiore al 57%, né superiore al 63,5%.
Il cloruro di sodio in percentuale non deve essere inferiore al 4,3% né superiore al 6,3%.
L’indice di proteolisi (composizione percentuale delle frazioni azotate solubili in acido tricloroacetico -TCA- riferite al contenuto in azoto totale) non deve essere inferiore al 25%, né superiore al 32%.
Il peso del «Prosciutto di Modena» intero è ricompreso tra chilogrammi 8 e chilogrammi 12,5.
Il «Prosciutto di Modena» è commercializzato anche frazionato; in tal caso su ogni pezzo o porzione viene apposto il contrassegno di cui alla scheda H – Figura 1: contrassegno.
Il «Prosciutto di Modena» è commercializzato anche frazionato; in tal caso su ogni pezzo o porzione viene apposto il contrassegno di cui alla scheda H – Figura 1: contrassegno.
C
Delimitazione della zona geografica e rispetto delle condizioni di cui all’art. 2, paragrafo 4
La zona tipica di produzione del «Prosciutto di Modena» corrisponde alla particolare zona collinare insistente sul bacino oroidrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti, e che, partendo dalla fascia pedemontana, non supera i 900 metri di altitudine comprendendo i territori dei seguenti comuni:
Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola, Marano, Guiglia, Zocca, Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno, Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio Montano, Monte San Pietro, Sasso Marconi, Castel d’Aiano, Zola Predosa, Bibbiano, San Polo d’Enza, Quattro Castella, Canossa (già Ciano d’Enza), Viano, Castelnuovo Monti, Valsamoggia, limitatamente ai territori già dei Comuni di Monteveglio, Savigno, Castello di Serravalle e Bazzano.
Nella zona di cui al precedente comma devono essere ubicati gli stabilimenti di produzione (prosciuttifici) e devono quindi svolgersi tutte le fasi della trasformazione della materia prima, previste dal presente disciplinare fino alla stagionatura completa.
La materia prima proviene da un’area geograficamente più ampia della zona di trasformazione, che comprende il territorio amministrativo delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio.
Nella suddetta zona di provenienza della materia prima hanno sede tutti gli allevamenti dei suini le cui cosce sono destinate alla produzione del «Prosciutto di Modena» e gli stabilimenti di macellazione abilitati alla relativa preparazione, nonché i laboratori di sezionamento eventualmente ricompresi nel circuito della produzione tutelata.
Le razze, l’allevamento e l’alimentazione dei suini devono essere idonei a garantire le tradizionali qualità del prodotto in esito a precise prescrizioni produttive, originate da peculiari tecniche d’allevamento praticate nella zona considerata, puntualmente codificate e pertanto riconosciute e generalmente adottate all’interno del circuito della produzione tutelata.
La materia prima deve provenire da suini figli di:
a) verri delle razze tradizionali Large White italiana, Landrace italiana e Duroc italiana così come migliorate dal Libro genealogico italiano, in purezza o tra loro incrociate, e scrofe delle razze tradizionali Large White italiana e Landrace italiana, in purezza o tra loro incrociate;
b) verri delle razze tradizionali di cui alla lettera a) e scrofe meticce o di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
c) verri e scrofe di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
d) verri degli altri tipi genetici di cui alla lettera c) e scrofe delle razze tradizionali di cui alla lettera a).
Di seguito vengono esplicitati i requisiti genetici sopra espressi riportando le combinazioni genetiche ammesse e quelle non consentite:
La lista degli altri tipi genetici approvati viene periodicamente aggiornata e pubblicata dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Non possono essere utilizzate le cosce suine fresche provenienti da:
suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS – Porcine Stress Sindrome);
suini figli di verri e scrofe diversi da quanto indicato nelle lettere a), b), c) e d).
I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento del peso della carcassa, rilevato al momento della macellazione e indicato nel paragrafo «Macellazione».
I fattori di caratterizzazione della coscia suina fresca sono prescritti nelle condizioni indicate nella precedente scheda B.
Le fasi di allevamento dei suini destinati alla produzione del prosciutto di Modena sono così definite:
allattamento;
svezzamento;
magronaggio;
ingrasso.
Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un suino pesante, obiettivo che deve essere perseguito assicurando moderati accrescimenti giornalieri, nonché la produzione di carcasse appartenenti alle classi «U», «R», «O» della tabella dell’Unione europea per la classificazione delle carcasse suine.
Allattamento: la fase va dal momento della nascita del suinetto sino ad almeno ventotto giorni; è ammesso anticipare tale termine alle condizioni previste dalla vigente normativa dell’UE e nazionale in materia di benessere dei suini.
In questa fase, l’alimentazione avviene attraverso l’allattamento naturale sotto la scrofa o artificiale nel rispetto della normativa dell’UE e nazionale vigente. Al fine di soddisfare i fabbisogni fisiologici dei suinetti in allattamento è altresì possibile iniziare a somministrare le materie prime ammesse dalla normativa dell’UE e nazionale vigente, in materia di alimentazione animale.
È ammessa l’integrazione vitaminica, minerale e amminoacidica dell’alimentazione e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente.
In questa fase, entro il ventottesimo giorno dalla nascita, l’allevatore iscritto nel sistema dei controlli deve apporre su entrambe le cosce del suinetto il seguente tatuaggio di origine a inchiostro, indelebile e inamovibile, con le seguenti indicazioni.
Il tatuaggio di origine reca lettere e cifre riprodotte con caratteri maiuscoli mediante punzoni multiago disposti secondo precise coordinate su piastre di dimensioni 30 mm per 30 mm. Nello specifico il tatuaggio di origine presenta: la sigla della provincia dove è ubicato l’allevamento iscritto al sistema di controllo in cui i suinetti sono nati in luogo delle lettere «XX»; il numero di identificazione dell’allevamento in luogo delle cifre «456»; la lettera identificativa del mese di nascita del suino in luogo della lettera «H».
La seguente tabella associa i mesi dell’anno alle lettere identificative del mese di nascita del suinetto da riprodurre con il tatuaggio di origine in luogo della lettera «H»:
Mese Nascita | Ge n. | Fe b. | Ma r. | Ap r. | Mag . | Gi u. | Lug . | Ago . | Se t. | Ot t. | Nov . | Di c. |
Lettera identificativa del mese | T | e | B | A | M | p | L | E | S | R | H | D |
In sostituzione o in associazione al presente tatuaggio di origine sarà consentito l’utilizzo anche di altro dispositivo identificativo validato dall’organismo di controllo che assicuri e garantisca la tracciabilità e la rintracciabilità del «Prosciutto di Modena».
Ai fini del presente disciplinare l’età dei suini in mesi è data dalla differenza tra il mese in cui si effettua la determinazione dell’età e il mese di nascita ed è accertata sulla base del tatuaggio di origine e/o del dispositivo identificativo di cui sopra.
Svezzamento: è la fase successiva all’allattamento, che può prolungarsi fino a tre mesi di età dell’animale. Il suino in questo stadio di crescita raggiunge un peso massimo di 40 chilogrammi e, allo scopo di soddisfare i suoi fabbisogni fisiologici, gli alimenti possono essere costituiti dalle materie prime ammesse dalla normativa vigente in materia di alimentazione animale. L’alimento può essere presentato sia in forma liquida (broda) mediante l’utilizzo di acqua e/o di siero di latte e/o di latticello, che in forma secca. È ammessa l’integrazione vitaminica, minerale e amminoacidica Magronaggio: è la fase successiva allo svezzamento, che può prolungarsi fino a cinque mesi di età dell’animale. Il suino raggiunge un peso massimo di 85 chilogrammi. Ai fini dell’alimentazione del suino in magronaggio, le materie prime consentite, le quantità e le modalità di impiego sono riportate nella tabella sottostante. Sono ammesse tolleranze sulle percentuali in peso delle singole materie prime nella misura prevista dalla normativa dell’UE e nazionale vigente, relativa all’immissione sul mercato e all’uso dei mangimi. L’alimento può essere presentato sia in forma liquida – cosiddetto «broda» o «pastone» – e, per tradizione, con siero di latte e/o di latticello, che in forma secca.
Di seguito, la tabella delle materie prime ammesse:
Al fine di ottenere un grasso di copertura di buona qualità è consentita una presenza massima di acido linoleico pari al 2% e di grassi pari al 5% della sostanza secca della dieta.
Sono ammessi l’utilizzo di minerali, l’integrazione con vitamine e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente.
La presenza di sostanza secca da cereali non deve essere inferiore al 45% di quella totale per la fase di magronaggio.
Almeno il 50% della sostanza secca delle materie prime per i suini, su base annuale, proviene dalla zona geografica di allevamento ovvero il territorio amministrativo delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio.
Ingrasso: è l’ultima fase dell’allevamento, segue la fase di magronaggio e prosegue fino all’età della macellazione che deve essere di almeno nove mesi. Al termine della fase d’ingrasso, i suini dovranno aver raggiunto in fase di macellazione i pesi della carcassa indicati nel paragrafo «Macellazione». Ai fini dell’alimentazione, sono ammesse le stesse materie prime consentite nella fase di magronaggio, come previsto nella tabella sopra riportata – con le medesime specifiche previste dalle relative note – a esclusione della farina di pesce e della soia integrale tostata e/o panello di soia.
La presenza di sostanza secca da cereali nella fase d’ingrasso non dovrà essere inferiore al 55% di quella totale.
Macellazione L’età minima del suino alla macellazione è di nove mesi; viene accertata sulla base del tatuaggio di origine, apposto dall’allevatore entro il ventottesimo giorno dalla nascita del suino, e/o del dispositivo identificativo in sostituzione o in associazione.
Il computo dell’età in mesi è dato dalla differenza tra il mese in cui avviene la macellazione e il mese di nascita.
Le cosce suine fresche da utilizzare devono provenire solo da carcasse classificate H Heavy ed appartenere alle classi U, R, O della tabella dell’Unione europea per la classificazione delle carcasse suine; inoltre, la carcassa deve avere un peso compreso tra 110,1 chilogrammi e 168,0 chilogrammi.
Il peso e la classificazione delle carcasse vengono rilevati al momento della macellazione.
Sulle cosce suine fresche munite del timbro apposto dall’allevatore e/o del dispositivo identificativo in sostituzione o in associazione, accertatane la corrispondenza ai requisiti indicati nella precedente scheda B, il macellatore è tenuto ad apporre un timbro indelebile impresso a fuoco.
Il timbro di cui al punto precedente riproduce il codice di identificazione del macello presso il quale è avvenuta la macellazione ed è impresso sulla cotenna.
Il timbro identificativo del macello è costituito da una sigla di larghezza 30 mm e altezza 8 mm che identifica il macello iscritto al sistema di controllo, rappresentata da una lettera e da due numeri, posta in luogo dei caratteri «A88» a cui può essere anteposta la sigla «PP».
In sostituzione o in associazione al presente timbro identificativo del macello sarà consentito l’utilizzo anche di altro dispositivo identificativo validato dall’organismo di controllo che assicuri e garantisca la tracciabilità e la rintracciabilità del «Prosciutto di Modena».
D
Elementi comprovanti l’originarietà del prodotto nella zona geografica
L’indicazione degli elementi che comprovano che il prodotto è originario della zona geografica richiamata dalla denominazione che lo designa, deve considerare necessariamente l’articolazione della delimitazione fissata con la precedente scheda C.
Gli elementi comprovanti l’originarietà di un prodotto con riferimento ad una zona geografica (scheda D) e gli elementi comprovanti il legame con l’ambiente geografico (scheda F) non sono suscettibili di autonoma trattazione data la loro strettissima interconnessione. La produzione dell’attuale «Prosciutto di Modena» infatti, nasce e si afferma nell’arco del tempo nella zona pedecollinare sia per la ricorrenza di determinate situazioni microclimatiche, sia perché la conservazione della carne, con l’impiego di sale, tempo e aria, è assolutamente legata al diffuso allevamento del suino ulteriormente tipico di una determinata zona geografica, a sua volta caratterizzata da peculiari tecniche di produzione agraria. La stretta connessione tra le zone di approvvigionamento della materia prima e della zona di stagionatura, consentono infatti di sostenere e provare che:
il «Prosciutto di Modena» è sicuramente originario della zona geografica indicata nella scheda C e le relative caratteristiche, sono essenzialmente dovute all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali e umani; inoltre, la relativa trasformazione avviene esclusivamente nell’area geografica delimitata;
nel contempo, la stessa materia prima utilizzata per la preparazione del «Prosciutto di Modena» è del pari originaria della zona geografica delimitata nelle forme indicate nella scheda C dove ne viene esclusivamente sviluppata la produzione, e le relative caratteristiche sono dovute essenzialmente all’ambiente, comprensivo dei fattori naturali ed umani.
La denominazione «Prosciutto di Modena», in quanto designa un prodotto originario di una determinata zona geografica è caratterizzato dall’apporto essenziale dell’ambiente geografico (insieme di fattori naturali ed umani), è giuridicamente protetta a livello nazionale dallalegge della Repubblica italiana 12 gennaio 1990, n. 11 «Tutela della denominazione d’origine del prosciutto di Modena, delimitazione della zona di produzione e caratteristiche del prodotto», attualmente in vigore, ed è poi stata riconosciuta come DOP ai sensi del regolamento CEE 2081/92 conregolamento CE n. 1107 del 12 giugno 1996.
Le considerazioni svolte circa l’originarietà del suino e del prosciutto da esso derivato, sono tutte riprovate da riscontri di carattere giuridico, storico, socio-economico.
Sotto il profilo storico, è attendibile ritenere che la produzione di prosciutti, nella zona tipica abbia le sue radici nell’epoca del bronzo.
Infatti, pur riconoscendo che la lavorazione del prosciutto crudo stagionato appartiene alla cultura storica di tutta l’Italia settentrionale e che risulta difficile collocare l’inizio di questa pratica in un preciso periodo di tempo, pare inconfutabile che sulle sponde del Panaro, zona geografica in cui ricorrono tutte le caratteristiche ambientali e morfologiche della più ampia «Padania», l’allevamento del maiale, come animale domestico, sia cominciato in tempi veramente remoti, addirittura prima che in ogni altra zona dell’Emilia-Romagna.
Grazie alla fertilità dei terreni da destinare alle prime pratiche agrarie per la preistorica coltivazione dei cereali e alle ampie zone boscate ricche di animali, le popolazioni della valle del Panaro avevano trovato le condizioni favorevoli allo sviluppo della loro civiltà, tanto da poter essere considerati appunto i primi nella regione a praticare l’allevamento; si sa, dunque, che nel neolitico e nell’eneolitico gli antichi abitatori della valle del Panaro erano agricoltori ed allevatori.
Appurato che i nostri antenati erano allevatori, e che il suino era uno degli animali domestici più rappresentativi, bisogna arrivare all’età del bronzo per conoscere qualcosa relativamente ai metodi di macellazione ed alle tecniche di conservazione delle carni.
Gli insediamenti originati dalla cultura terramaricola, hanno consentito il consolidamento dell’allevamento degli animali domestici e scoperto l’utilizzo del sale (cloruro di sodio). Si può quindi presumere che inizi da questo momento la produzione di carne conservata tramite la salagione.
Era, invece, il 150 a.C. quanto Polibio, attraversando la Pianura Padana, rimase colpito dalla «… terra straordinariamente fertile e ricca» e più tardi della Cispadania scriverà che «… l’abbondanza delle ghiande nei querceti allignati ad intervalli nella pianura, è attestata da quanto dirò: la maggior parte dei suini macellati in Italia per i bisogni dell’alimentazione privata e degli eserciti si ricava dalla Pianura Padana».
Ulteriore impulso all’allevamento dei suini ed alla trasformazione delle loro carni si ha con l’avvento dei celti e dei romani. «Questo allevamento comportava anche piccole industrie di trasformazione spesso connesse con la stessa villa (che nella terminologia latina significa azienda agricola). Infatti le carni che dovevano essere inviate per il consumo in altre regioni, andavano salate o affumicate per la conservazione, oppure trasformate in salumi».
La carne di maiale divenne ben presto cibo ambito sia dalle classi nobili che dalla popolazione contadina, rispettivamente per la bontà e per l’elevata capacità nutrizionale «La salagione aveva come oggetto dunque, innanzitutto le carni, a cominciare da quella di maiale, che per lungo tempo rappresentò la carne per eccellenza nella dieta quotidiana di larghi strati di popolazione. Soprattutto di maiale salato erano costituite le scorte di carne delle famiglie contadine, che non di rado erano tenute a corrispondere al proprietario della terra un tributo annuo in spalle e prosciutti.
Soprattutto di maiale erano costituite le scorte delle grandi aziende rurali, come quella di Migliarina (Carpi), dipendente dal Monastero di Santa Giulia».
Alla pratica diffusa dell’allevamento (nel 1540 a Modena si contava una popolazione di 17.000 suini) si affiancava sempre di più la pratica della «pcaria», che utilizzava la carne del maiale per la fabbricazione degli insaccati, raggiungendo sin d’allora livelli qualitativi e quantitativi particolarmente apprezzabili. Nel 1547, infatti, sempre a Modena, i «lardaroli e salsicciai» che sino ad allora erano assimilati ai «beccari» si costituirono in corporazione autonoma; la loro arte era riconosciuta anche oltre i confini della città e Modena, in questo campo, era un vero e proprio punto di riferimento.
Del prosciutto in particolare, si cibavano anche i componenti delle fastose corti rinascimentali, tra le quali una delle più rappresentative era quella del Duca di Modena; il prosciutto non consumato direttamente, a conferma del suo pregio, non veniva scartato ma riutilizzato con ricette tramandate fino a noi come i famosi «tortellini». Della preparazione del prosciutto ne riferisce Padre Giuseppe Falcone nel suo trattato di agricoltura «Nuova Villa», allorquando cita che in Emilia esiste «l’antica specializzazione sull’allevamento dei maiali e nella lavorazione delle carni suine», precisando che «… Non può star bene una villa senza porci, animali sì utili, e di molta cavata … i prosciutti nostrani si tengono tre settimane sotto sale … In tre settimane le mezene restano salate, e si possono levar di sale, lavandoli con acqua di fiume».
Tra il ‘600 e l’800 la lavorazione della carne di maiale si consolida e numerosissime sono le testimonianze scritte di tale arte.
Una volta macellati i maiali venivano commercializzati a Modena come «…salsizza rossa, salame nuovo, salame vecchio, panzetta, presciutto, distrutto, lardo songia, cotteghino fino crudo, cotteghino fino cotto …» come scrive il Malvasia. Nel 1670 nelle carte della Camera ducale estense, in un lungo elenco di rifornimenti della cucina del cardinale Rinaldo, compare la raffinata distinzione fra prosciutti «di montagna» e prosciutti «nostrani» con particolare predilezione per la qualità dei primi. Anche il Belloi (1704) nella sua cronaca «Del più moderno Stato di Vignola» esalta la qualità delle carni suine della zona pedemontana e collinare e l’industria della macellazione della carne suina, tanto che nel 1885 Arsenio Crespellani, nella sua cicalata «Passeggiata in tramway a vapore Bologna- -Vignola» scrisse, proprio avvicinandosi a quest’ultima tappa «… fertili sono i terreni della collina e dell’altopiano, producendo in copia cereali, frutta e foraggi; fertilissime le basse, che oltre ai suddetti prodotti danno foglia da gelso in abbondanza, e bella saporita ortaglia … Le industrie principali sono la manipolazione delle carni porcine, specialmente il rinomato presciutto …».
L’importanza del suino e della lavorazione delle sue carni è poi cresciuta, nella nostra provincia, con il nostro secolo. Riporta la relazione sull’andamento economico della Provincia di Modena nell’anno 1929, a cura del Consiglio provinciale dell’economia di Modena: «L’industria dei salumi ha avuto, nel biennio 1928-1929, un andamento abbastanza regolare, consentendo però, in generale, utili piuttosto modesti. La produzione delle rinomate specialità locali, e specialmente zamponi, mortadelle e cotechini, ecc. è stata nel 1929, discreta ed ha continuato ad alimentare la normale nostra corrente di esportazioni specialmente nei paesi dove prosperano numerose colonie di connazionali. L’industria è stata inoltre favorita dai prezzi dei suini grassi, che si sono mantenuti piuttosto bassi. Andamento pressoché analogo ha avuto l’industria della salagione dei prosciutti, che gode in questa provincia meritata fama …».
E
Metodi di ottenimento del prodotto
Sono confermate le metodologie e le prescrizioni relative alla materia prima, già illustrate nelle schede B e C del presente disciplinare.
Il procedimento per la lavorazione delle cosce suine fresche corrispondente alle prescrizioni e ai requisiti già indicati nel presente disciplinare è illustrato di seguito, mediante la elencazione delle diverse fasi del procedimento produttivo.
La lavorazione del «Prosciutto di Modena» prevede otto fasi:
1) isolamento;
2) raffreddamento;
3) rifilatura;
4) salagione;
5) riposo;
6) lavaggio;
7) asciugamento;
8) stagionatura.
Isolamento Il maiale, dal quale si ricava la coscia fresca da impiegare nella preparazione del «Prosciutto di Modena» deve essere: sano, di razza bianca, alimentato nel trimestre precedente la macellazione con sostanze tali da limitare l’apporto di grassi ad una percentuale inferiore al 10%, riposato e a digiuno. Dopo la macellazione si procede al sezionamento della coscia, quindi al suo inoltro presso lo stabilimento di produzione dove viene subito sottoposta ai necessari controlli.
Raffreddamento Le cosce fresche ritenute idonee vengono sistemate in apposita cella, dove sostano per il periodo necessario a consentire il raggiungimento di una temperatura delle carni attorno agli 0 gradi centigradi; in tal modo la carne raggiunge la giusta consistenza ed una uniforme temperatura, facilitando così la successiva operazione di salagione in quanto una coscia troppo fredda assorbirebbe poco sale, mentre una coscia non sufficientemente fredda potrebbe subire fenomeni di deterioramento.
Rifilatura La fase di rifilatura consiste nell’asportare grasso e cotenna in modo da conferire al prosciutto la classica forma tondeggiante a «pera». La rifilatura oltre a conferire il taglio tipico consente:
a) di correggere eventuali imperfezioni del taglio;
b) di agevolare il verificarsi di condizioni ottimali per la successiva penetrazione del sale;
c) di identificare eventuali condizioni tecniche pregiudizievoli ai fini della successiva lavorazione.
Le cosce impiegate per la produzione del «Prosciutto di Modena» non devono subire alcun trattamento ad eccezione della refrigerazione.
Salagione Le cosce rifilate vengono quindi sottoposte alla salagione, effettuata con il seguente procedimento:
le cosce vengono asperse con sale, in modo che venga coperta sia la superficie esposta del lato interno che la cotenna. Per questa operazione la coscia rimane adagiata su un piano orizzontale.
Preliminarmente o contemporaneamente le cosce sono massaggiate con procedimenti manuali o meccanici onde predisporre la carne al ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni puntuali, il perfetto dissanguamento.
Per la salagione viene utilizzato cloruro di sodio, con esclusione di procedimenti di affumicatura.
All’inizio della fase di salagione delle cosce fresche su ogni coscia viene apposto dal prosciuttificio il sigillo a fuoco di inizio lavorazione, indicato nella scheda H – Figura 2: sigillo a fuoco – che riporta:
nella parte superiore, la sigla «Pm»;
nella parte inferiore, il mese in numeri romani e le ultime due cifre dell’anno in numeri arabi.
Tale operazione è definita sigillatura.
In sostituzione o in associazione al presente sigillo a fuoco di inizio lavorazione sarà consentito l’utilizzo anche di altro dispositivo identificativo validato dall’organismo di controllo che assicuri e garantisca la tracciabilità e la rintracciabilità del «Prosciutto di Modena».
Mantenute sempre su un piano orizzontale, le cosce salate vengono sistemate in apposita cella, detta di «primo sale», dove rimangono per un periodo variabile tra i cinque e i sette giorni ad una temperatura oscillante tra 0 e 4 gradi centigradi e condizioni di umidità relativa che varia tra 65% e 90%.
Trascorso tale periodo, le cosce vengono prelevate dalla cella, il sale residuale viene asportato dalla superficie, viene ripetuto il massaggio e, infine, viene ripetuta l’aspersione con ulteriore sale, secondo le modalità descritte.
Riposte in cella, detta di «secondo sale», le cosce salate vi rimangono per ulteriori dieci/quindici giorni cioè fino a compimento della durata del processo di salagione, nelle medesime condizioni ambientali. Durante l’intero processo il prosciutto assorbe lentamente sale e cede parte della sua umidità.
Riposo Dopo aver eliminato il sale residuo le cosce salate vengono poste in una sala apposita, per un periodo non inferiore a sessanta giorni, in funzione della pezzatura e delle esigenze tecnologiche, a condizioni di umidità variabile tra il 55% ed il 75% ed una temperatura compresa tra 1 e 5 gradi centigradi. Nel corso della fase di riposo, il sale assorbito penetra con graduale omogeneità all’interno della massa muscolare, distribuendosi in modo uniforme.
Vi si esercita la funzione preposta alla prosecuzione del processo di disidratazione, iniziata con il trattamento con il sale e le basse temperature.
Lavaggio Ultimato il riposo, la coscia viene sottoposta ad una «lavatura» definitiva, mediante getti d’acqua ad una temperatura non superiore a 50 gradi centigradi.
Oltre ad un effetto completamente rivitalizzante, il lavaggio rimuove tutte le formazioni superficiali prodottisi durante la salatura e riposo per effetto della disidratazione e tonifica i tessuti esterni.
Prima del lavaggio le cosce vengono «toelettate» e, cioè, rifinite sul piano superficiale dagli effetti del sopravvenuto calo di peso.
Asciugamento Dopo averle fatte sgocciolare dall’acqua le cosce entrano nell’essiccatoio a 17/26 gradi centigradi per un periodo che varia tra le cinque e le dieci ore in rapporto alla quantità del prodotto, con una umidità relativa molto alta, caldo umido 70/90%. Raggiunti questi livelli, si interviene con le batterie a freddo e si inizia così la vera fase deumidificante che può durare circa una settimana a seconda dei carichi e delle modalità di impiego delle apparecchiature. La variabilità dei valori è funzionale alle tecniche del trattamento successivo, la stagionatura.
Stagionatura La fase della stagionatura si può dividere in due periodi: la prestagionatura e la stagionatura vera e propria. Nella prestagionatura prosegue il processo di rinvenimento – acclimatamento delle carni a temperature variabili progressivamente tra i 10 e i 20 gradi centigradi, in condizioni di umidità in progressiva riduzione.
E così, in ogni caso, dopo l’asciugamento e l’eventuale prestagionatura, i prosciutti – a questo punto è più proprio chiamarli prosciutti anziché cosce suine – vengono trasferiti in appositi saloni di stagionatura, ambienti le cui condizioni di umidità e temperatura sono normalmente naturali, grazie all’esistenza e all’apertura quotidiana delle numerose finestre delle quali sono dotati, disposti in funzione trasversale rispetto alla disposizione dei prosciutti che, quindi, sono continuamente tutti sollecitati dall’aerazione naturale.
Solo quando le condizioni climatiche ed ambientali esterne presentano irregolarità od anomalie rispetto ai normali andamenti stagionali, è ammesso l’uso di impianti di climatizzazione di tipo «domestico» tali comunque da impiegare l’aria esterna.
Il processo di stagionatura dura minimo dieci mesi, fermi i limiti minimi del ciclo completo di lavorazione descritti nel proseguo.
Nel corso della stagionatura, nelle carni si verificano i processi biochimici ed enzimatici che completano il processo di conservazione indotto dalle precedenti lavorazioni, determinando le priorità organolettiche caratteristiche grazie all’apporto dell’ambiente naturale esterno (poca umidità, ventilazione naturale che determinano l’aroma ed il gusto del prodotto).
Durante la stagionatura non avviene quindi alcun procedimento specifico di lavorazione, eccettuata la cosiddetta «sugnatura» (o «stuccatura»), operata una o due volte mediante rivestimento in superficie della porzione scoperta del prosciutto, con un impasto composto di sugna o strutto, sale, pepe e farina di riso, applicato finemente ed uniformemente mediante massaggio manuale.
Tale preparato e relativa applicazione hanno esclusivamente funzioni tecniche di ammorbidimento della superficie esterna non coperta dalla cotenna e di contemporanea protezione della stessa dagli agenti esterni, senza compromettere la prosecuzione dell’azione osmotica. Per tale ragione, la legislazione italiana non considera la sugna un ingrediente.
Il periodo minimo che comprende la durata del processo complessivo di lavorazione, dalla salagione alla ultimazione della stagionatura, si definisce come di seguito.
Ai fini del presente disciplinare il periodo minimo di lavorazione scade nel corso del quattordicesimo mese dalla salagione.
La valutazione del completamento del processo resta quindi collegata alle esigenze obiettive di lavorazione ed alle condizioni e caratteristiche proprie del prodotto. Quindi, le indicazioni del presente disciplinare hanno rilevanza di normazione per quanto attiene alla esecuzione dei controlli e delle verifiche qualitative, relative all’osservanza dei requisiti previsti dal disciplinare stesso e quindi per l’apposizione del contrassegno.
Infatti, ai fini del presente disciplinare il completamento del processo di produzione viene attestato dalla apposizione del contrassegno costitutivo o distintivo d’origine, indicato alla scheda B ed apposto nei modi descritti nella successiva scheda H.
scheda F
Legame con l’ambiente geografico
Premessa
Gli elementi riportati nella precedente scheda D a testimonianza della originarietà del «Prosciutto di Modena» e della relativa materia prima dalle aree geografiche rispettivamente delimitate consentono già di dimostrare ampiamente, attraverso l’excursus storico, lo stretto e profondo legame tra le produzioni agricole e la trasformazione del prodotto con le aree di riferimento, legame vieppiù rinsaldato e confermate dall’evoluzione dei fattori sociali, economici, produttivi e di esperienza umana consolidatasi e stratificatasi nel corso dei secoli. Per quanto riguarda l’area delimitata della provenienza della materia prima (animali vivi e carni) esistono fattori geografici, ambientali e di esperienza produttiva nell’allevamento assolutamente costanti e caratterizzanti.
Per quanto riguarda viceversa la più ristretta zona di trasformazione nella quale insistono tutti i prosciuttifici riconosciuti, i fattori ambientali, climatici, naturali ed umani costituiscono, nella loro irripetibile combinazione, un irriproducibile «unicum».
Evoluzione dell’allevamento del suino pesante nell’Italia centro-settentrionale Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari scavi, molti dei quali effettuati lungo le rive del Panaro, si deduce che l’allevamento di bovini, ovi-caprini e suini si è sviluppato nel Nord-Italia nel periodo neolitico. In particolare è emerso che grazie alla fertilità dei terreni e dalle ampie zone boscate ricche di animali, le popolazioni della valle del Panaro avevano trovato le condizioni favorevoli allo sviluppo ed alla pratica dell’allevamento del bestiame molto prima che in altre zone della stessa Regione Emilia-Romagna. Inizialmente però, come risulta dai reperti ossei ritrovati in quantità omogenea, il bestiame veniva allevato unicamente per soddisfare le necessità della famiglia o del villaggio. Solo in epoca etrusca viene praticato un tipo di allevamento stabile e specializzato, il cui obiettivo è la produzione di carne suina e bovina, lana, latte e suoi derivati, finalizzati non solo a soddisfare i fabbisogni locali ma anche all’esportazione. Particolare menzione meritano, a tal proposito, gli scavi del Forcello, un insediamento etrusco (V secolo a.C.) posto a sud di Mantova, sul terrazzo della sponda destra del Mincio, non molto lontano da Andes, località che diede i natali a Virgilio. In detta località furono trovati un numero notevolissimo di reperti e, tra essi, ben 50.000 resti di ossa animali, di cui il 60% appartenenti alla specie suina, segno evidente della predilezione degli etruschi per l’allevamento del maiale; seguendo in ordine di importanza gli ovini ed i bovini. Dallo studio delle ossa si potè dedurre che i maiali erano stati macellati in età adulta a due o tre anni ed inoltre che proporzionalmente mancavano molti arti posteriori; mancando gli arti posteriori si può dedurre che le cosce venissero consumate in momenti diversi dal resto del suino, previa differente tecnica di lavorazione e di conservazione. L’allevamento del maiale ha sempre costituito uno fra i più importanti rami dell’industria zootecnica italiana. Nel censimento del bestiame del 1908, sono indicati presenti in Italia 2.507.798 capi di cui 322.099 scrofe.
Nel 1926, secondo il Fotticchia, i capi allevati in Italia assommano a 2.750.000 di cui 1.400.000 in Italia settentrionale e 750.000 nell’Italia centrale. All’inizio del secolo, e fino alla Prima guerra mondiale, tre sono i sistemi di allevamento tradizionale praticati:
l’allevamento familiare, un tempo il più diffuso nella valle padana; esso si basa su un limitato numero di capi, generalmente ben curati, alimentati con residui di cucina e prodotti ortivi. Tali capi sono destinati all’autoconsumo ed in parte al rifornimento delle salumerie locali. Questo allevamento è andato riducendo via via la sua importanza con il diffondersi della specializzazione;
l’allevamento dello stato brado o semi-brado era preminente lungo l’Appennino ed i suoi contrafforti, nonché sulle Prealpi lombarde, venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed i boschi di quercia;
l’allevamento di tipo industriale primeggiava in Lombardia ed in Emilia già nel secolo scorso, perché collegato al caseificio per lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero e latticello), dell’industria molitaria (farinette, crusca e cruschello) e della brillatura del riso (pula di riso).
Il 1872 può essere indicato come l’anno in cui ebbe inizio in Italia la moderna suinicoltura. Infatti in quell’anno, per iniziativa del Ministero dell’agricoltura, che si avvalse dell’opera dell’Istituto sperimentale di zootecnica di Reggio Emilia, furono importati dall’Inghilterra in alcune province padane i primi riproduttori Yorkshire.
Le razze indigene
Esistevano in Italia molte razze indigene, che, con l’introduzione dello Yorkshire a seguito dei ripetuti incroci fatti nell’intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all’ingrasso, maggiore precocità e con scheletro più ridotto, finirono per vedere sminuite la loro importanza e la loro identità. Le razze più diffusamente allevate in Italia centro-settentrionale ed ancora presenti all’inizio della Prima guerra mondiale, divise per regioni, sono le seguenti:
Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour, a mantello nero, orecchie pendenti, maschera facciale bianca, allevata sulla riva destra del Po; la Garlasco che si allevava invece sulla riva sinistra; razza un pò più ridotto con pelle e setole color rosso-giallastro. Le caratteristiche di entrambe le razze erano la robustezza, la precocità e la buona abitudine al pascolo;
Lombardia: si allevava la razza Lombarda dal mantello nero rossiccio con varie macchie bianche, di grande mole, facile da ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso di 200-220 Kg;
Emilia: la razza Parmigiana era diffusa oltre che nel parmense anche nel piacentino ed in parte a Reggio Emilia. Essa era caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole nere, molto prolifica, alta, robusta, viveva al pascolo per la maggior parte dell’anno. Altra razza emiliana che occupava un’area assai più estesa della parmigiana (bolognese, modenese e parte del reggiano, del mantovano e del Veneto), di taglia ancor maggiore della precedente, era la Bolognese, a setole corte, rade, tra le quali traspariva la cute di color rosso-violaceo. Le sue carni, come riferisce il Marchi nel suo testo del 1914, «hanno costituito la fama degli zamponi di Modena, delle mortadelle, spalle e bondole di Bologna»;
Romagna: vi si allevava una razza mora, castagnina, diffusa in tutta la Romagna e detta appunto razza Romagnola. Lo Stanga (Suinicultura pratica, 1922) la considerava la sottorazza della Bolognese. Le caratteristiche che contraddistinguevano la razza romagnola erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm al garrese), il tronco cilindrico con linea dorso-lombare convessa e soprattutto la cosiddetta linea sparta, «costituita da robustissime irte e fitte setole che trovansi lungo la linea dorsale» (Ballardini);
Veneto: oltre alle razze Lombarda e Romagnola nel Veneto troviamo anche la razza Friulana, rustica, facile da ingrassare, sia al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite ma di mediocre fertilità;
Toscana: terra ricca di boschi e di leccio, quercia, castagno e cerro che costituivano l’ambiente ideale per il pascolo dei suini; si allevavano tre razze la Cinta, la Cappuccia e la Maremmana. Di esse la più importante era la Cinta senese, maiale lungo ed alto, con tronco cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso retratta. Altre caratteristiche di detta razza riguardano la testa molto lunga, le orecchie piccole portate in avanti, un mantello nero ardesia e setola sottile e folta con fascia bianca che, partendo dal garrese scende alle spalle e cinge tutto il torace estendendosi anche agli arti anteriori. La Cinta era prolifica e precoce. Il Dondi ne fa un’accurata descrizione e riferisce che «la carne è ottima e molto saporita e sono noti nel commercio i prodotti senesi di salumeria, in particolar modo salsicce, mortadelle e prosciutti, prodotti in notevoli quantità da stabilimenti locali che di preferenza attingono la materia prima dalla montagna senese». Il Mascheroni (Zootecnica Speciale, 1927) afferma che «questa razza è allevata ed ingrassata al bosco, sia durante la buona che la cattiva stagione e solo alla sera fa ritorno al porcile. L’alimentazione si basa sul pascolo di quercia e di leccio la cui produzione in ghianda è variabilissima, integrata con beveroni, farina di castagne, granoturco e crusca»;
Umbria: la popolazione suina umbra, genericamente chiamata Perugina variava parecchio dal monte al piano. In montagna prevalevano i suini «da macchia» a manto scuro e setole abbondanti, con testa lunga e orecchie pendenti; maiali nel complesso rustici e resistenti, che vivevano a branchi nei boschi. Vi erano poi i suini Perugini di collina e di pianura, molto simili alla razza Cappuccia della Toscana; erano caratterizzati da alta statura, da testa di media lunghezza con orecchie pendenti, da una linea dorso lombare convessa accompagnata da groppa spiovente e da cosce e natiche non molto muscolose. Il mantello era nero ardesia con setole poco abbondanti ed arti quasi sempre balzani. In collina ed in pianura, dove esistevano zone boschive, l’allevamento era semi-brado; se mancava il pascolo in genere prevaleva l’allevamento da riproduzione per la produzione di lattoni, riservando all’ingrasso solo qualche capo.
Dalle razze autoctone alla suinicoltura moderna La sostituzione delle popolazioni suine con razze selezionate più produttive, iniziata già alla fine del secolo scorso, fu, soprattutto nei primi decenni, molto lenta e graduale. Ciò non tanto per le difficoltà proprie del settore primario nell’acquisire ed introdurre le novità emergenti, ma per il fatto che pure molto lenta e graduale è stata l’evoluzione dei sistemi di allevamento. Finché brado e semi brado hanno rappresentato per molte regioni i sistemi più comuni e più economici per l’ingrasso del maiale, la rusticità, la resistenza, l’attitudine al pascolo e più in genere la capacità di procurarsi cibo hanno rappresentato condizioni prioritarie ed irrinunciabili; detti caratteri sono propri delle razze autoctone, affermatesi sul territorio per selezione naturale.
Nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali, anche a seguito della notevole espansione nella valle padana degli allevamenti da latte, andarono via via aumentando le richieste di lattoni e magroni da parte degli allevamenti collegati ai caseifici. Gli ingrassatori rivolgevano le loro preferenze ai maiali di grande taglia, sufficientemente rustici, dotati di elevata capacità di utilizzare il siero, i cruscami e le farine; caratteristiche che si riscontravano nei prodotti di incrocio delle razze locali con il verro Yorkshire Large White. Contemporaneamente, a causa del disboscamento era andato scomparendo il sistema brado e semi brado per l’ingrasso dei maiali, in Emilia-Romagna, in Toscana ed in Umbria si era affermato l’allevamento delle scrofe per la produzione dei suinetti, ricercati dagli ingrassatori della valle padana.
Questa suddivisione di compiti tra regioni diverse nell’allevamento del suino favorì ed accelerò il processo già iniziato di incrociare le popolazioni suine, e tra esse in primo luogo la Romangnola, la Cinta senese, la Perugina e la Cappuccia, razze rustiche e di buona taglia, con verri della più precoce e più selezionata razza Large White. Vi è da osservare a questo punto che, nonostante l’affermarsi degli allevamenti industriali, permane e si accentua, proprio in questo periodo, la pratica di ingrassare i maiali fino al peso di 160-180 Kg. ed oltre. Il motivo va ricercato nel fatto che la produzione del suino pesante trova concordi sia i suinicoltori che gli operatori industriali. L’industria richiedeva, come tuttora richiede, carcasse pesanti per disporre di carni mature, adatte a conferire ai prodotti lavorati e stagionati, primi fra tutti i prosciutti, quelle insuperabili caratteristiche organolettiche che hanno reso famosa nel mondo la salumeria italiana.
I caseifici dell’Emilia e della Bassa Lombardia, in grande maggioranza orientati alla produzione del formaggio «Grana» iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle bovine e lo svezzamento dei vitelli, e chiudevano a fine novembre, quanto le vacche andavano in asciutta. I suini, allevati per il consumo del siero e del latticello, venivano perciò acquistati verso il mese di marzo al peso di 35-45 Kg. (magroncelli) e venduti dopo la chiusura del caseificio, durante l’inverno, per la lavorazione delle carni, considerato che ancora non esistevano i frigoriferi. Durante i nove-dieci mesi di permanenza nelle porcilaie il suino raggiungeva il peso di 160-180 Kg. Il suino pesante pertanto soddisfaceva le esigenze del mercato e quelle del caseificio. Un solo ciclo annuale consentiva d’altra parte di meglio ammortizzare il costo della rimonta nonché di contenere le perdite per malattie e per mortalità, molto più frequenti nel periodo di ambientamento. Una critica che viene fatta a questo sistema riguarda l’alto consumo di alimenti necessari nell’ultima fase dell’ingrasso, per produrre un chilo di incremento.
Bisogna tuttavia tener presente che, in detta fase, più di un terzo del valore nutritivo della dieta era fornito dal siero fresco, disponibile in abbondanza. La produzione di incroci utilizzando verri Large White e scrofe di razze locali continuò per alcuni anni anche dopo l’ultima guerra mondiale. Già da tempo però le razze autoctone, a seguito di ripetuti incroci, al fine di ottenere animali più adatti al caseificio, avevano finito per perdere la loro importanza fin ad essere costituite da una popolazione avente le caratteristiche proprie del Large White.
Soggetti «fumati» (Large White per Romangola) provenienti dal mercato di Cesena e soggetti «grigi» o «tramacchiati» provenienti dalla Toscana (Large White per Cinta) erano presenti in qualche porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi degli anni ’50. In questo periodo in conseguenza delle più approfondite conoscenze in fatto di alimentazione e dello sviluppo dell’industria mangimistica, incominciarono ad affermarsi allevamenti specializzati in suini non collegati a caseifici. A seguito di questi nuovi indirizzi la popolazione suina subisce in Italia, e soprattutto nel Nord, un sensibile aumento. Contro una consistenza media, nel quinquennio 1951-1955, da 3.320.000 capi si passa nel 1962 a 4.800.000 unità.
Incrementata la produzione lattiera, si potenziano i caseifici e si estende l’ingrasso suino; però all’aumento dei capi concorrono pure gli allevamenti specializzati, per lo più senza terra, non collegati ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da attività extra agricole, dediti di preferenza alla riproduzione piuttosto che all’ingrasso. Si diffusero gli allevamenti iscritti ai libri genealogici, che con l’aiuto dei centri di controllo genetico istituiti dal Ministero dell’agricoltura (1960), si diede inizio ad un serio programma di selezione delle razze Large White e Landrace.
Si gettarono pertanto le basi di una moderna suinicoltura avendo sempre come riguardo la produzione di un suino pesante dotato dei requisiti richiesti dell’industria di trasformazione in continua e rapida espansione. Dal 1960 al 1970 furono molte ed importanti le tecnologie innovative introdotte negli allevamenti, specie in quelli da riproduzione. Da allevamenti agricoli, suddivisi in gruppi costituiti da poche unità, condizione irrinunciabile per combattere le pericolose malattie neonatali, si passò, nel giro di pochi anni, alla concentrazione di centinaia di fattrici in allevamenti industriali completamente automatizzati.
Dette innovazioni, che consentirono la produzione di suinetti anche negli allevamenti intensivi della valle padana, modificarono gli equilibri, durati per molti decenni, tra le regioni del Nord, prevalentemente dedite all’ingrasso e quelle del Centro, specializzate nella riproduzione. Mentre nel Nord la suinicoltura trovò motivo per ulteriore rafforzamento ed espansione, la Romagna e le regioni dell’Italia centrale si avviarono ad una ristrutturazione dell’intero settore suinicolo. La consistenza della popolazione suina italiana passa dai 4.800.000 capi nel 1962 ai 9.014.600 nel 1981, con un incremento medio annuo del 4,4%. Negli anni immediatamente successivi, e più precisamente fino al 1987, si assiste ad un ulteriore incremento dei capi suini, ma con un ritmo di crescita molto più modesto rispetto al decennio precedente. Però anche a seguito della necessità di ristrutturazione sopra evidenziata, l’espansione risulta meno accentuata nelle regioni del Centro Italia.
Negli ultimi anni peraltro l’emanazione in alcune regioni del Nord di normative locali di tipo ambientalistico, tali da rendere più problematico il mantenimento delle attuali strutture, e, ancora di più, il reperimento di aree idonee per nuovi allevamenti, ha creato i presupposti per un potenziamento dell’allevamento anche nelle zone omogenee delle regioni dell’Italia centrale dove comunque, come dianzi richiamato, la tradizione contadina dì una produzione di un suino pesante è ugualmente antichissima.
Premessa
Vi è peraltro un ulteriore elemento, attuale, scientificamente provato, normato a livello comunitario – che comprova il legame esistente tra la materia prima e la zona geografica in funzione di un insieme di requisiti specifici e vocazionali.
Infatti se è vero che la caratterizzazione produttiva di natura zootecnica è strettamente funzionale ai requisiti del prodotto a denominazione di origine, tanto da assumere tratti distintivi esclusivi e peculiari con riferimento all’area geografica, è altrettanto vero che il riconoscimento di questa peculiarità – che definisce legame di cui si discute – interviene a conferma di quanto fin qui sostenuto. Il tratto distintivo che collega territorio, produzione agricola e trasformazione del prodotto a denominazione di origine «Prosciutto di Modena» è indiscutibilmente sintetizzato nel concetto di «suino pesante» più volte specificato nella precedente scheda D, nella stessa legislazione nazionale di protezione e sempre richiamato, nella forma e nella sostanza, dal presente disciplinare, con particolare riferimento alle prescrizioni produttive di cui alla precedente scheda C. È quindi assolutamente pertinente sottolineare che questo particolare indirizzo produttivo della suinicoltura delle aree delimitate, insieme alla definizione di suino pesante è stata riconosciuto formalmente a livello comunitario attraverso la legislazione concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il regolamento (CEE) n. 3220 del 13 novembre 1984 costituisce l’ultimo aggiornamento introdotto dalla Commissione sulla materia. Entrato in vigore a partire dal primo gennaio 1989 tale dispositivo introduce metodi di misura oggettivi per la valutazione della percentuale di carne magra contenuta nelle carcasse, suddividendola in cinque classi commerciali con le lettere della sigla EUROP e la possibilità di introdurre una classe speciale denominata «S». In sede di applicazione del regolamento in questione, unicamente all’Italia è stata riconosciuta la presenza sul territorio di due popolazioni suine:
a) una di «suino leggero» macellato a pesi conformi alle medie europee;
b) l’altra di «suino pesante» macellato a pesi di 150-160 Kg, le cui carni sono destinate alla trasformazione.
Conseguentemente, con decisione della Commissione del 21 dicembre 1988, si è autorizzata la distinzione delle carcasse in «leggero» (peso morto < a 120 Kg) e «pesanti» (peso morto > a 120 Kg), con la derivante applicazione di due formule nettamente diverse nella valutazione commerciale.
Sul piano attuativo nazionale, poi, è noto che il competente dicastero ha elaborato un piano per dare attuazione all’art. 3 comma 4, del citato regolamento (CEE) 3220/84, per la messa a punto di criteri di valutazione della qualità della carne che possano essere associati a quelli della qualità del magro. Interpretare lo sdoppiamento della popolazione suinicola nazionale normato in sede comunitaria, come un riconoscimento dell’esistenza di requisiti diversificati che, con totale sovrapposizione, si identificano con quelli previsti dal presente disciplinare, comporta l’identificazione della categoria «suino pesante» con quella insistente nell’area delimitata e ad essa legata da precise motivazioni storiche, economiche e sociali. Ne consegue che il riconoscimento della presenza di due popolazioni così profondamente diverse sullo stesso territorio nazionale, costituisce una formale anticipazione del riconoscimento del legame che salda entrambe ai rispettivi contesti geo-economici.
In sintesi quanto sopra esposto sta a significare che:
la materia prima utilizzabile per la produzione di «Prosciutto di Modena» è tratta unicamente dal cosiddetto suino pesante;
la Comunità ha riconosciuto attraverso la decisione del 21 dicembre 1988 l’esistenza in Italia e solo in Italia di due popolazioni suinicole, una delle quali «leggera» e conforme alle medie europee, l’altra «pesante» conforme alle esigenze dell’industria salumiera, tradizionali e storicamente affermate e documentate;
il suddetto riconoscimento ha indotto ad autorizzare la definizione di due categorie di carcasse con la conseguente applicazione di formule nettamente diversificate nella loro valutazione commerciale;
la normazione dello sdoppiamento della popolazione suinicola nazionale riconosce l’esistenza di requisiti peculiari che, non casualmente, si sovrappongono con quelli previsti dalle prescrizioni contenute nel presente disciplinare, e che, ancora senza casualità, identificano la categoria del «suino pesante» insistente, come ampiamente documentato, nell’area delimitata in quanto ad essa legata da precise motivazioni storiche, sociali e produttive;
il riconoscimento comunitario costituisce pertanto un sostanziale riconoscimento del legame al contesto geografico di riferimento.
Zona tipica di produzione
Come già riportato nella scheda C, la zona tipica di produzione del «Prosciutto di Modena» corrisponde alla particolare zona collinare insistente sul bacino idrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti, e che, partendo dalla fascia pedemontana, non supera i 900 metri di altitudine, comprendendo i territori dei seguenti comuni:
Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola, Marano, Guiglia, Zocca, Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno, Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio Montano, Monte San Pietro, Sasso Marconi, Castel d’Aiano, Zola Predosa, Bibbiano, San Polo d’Enza, Quattro Castella, Canossa (già Ciano d’Enza), Viano, Castelnuovo Monti, Valsamoggia, limitatamente ai territori già dei Comuni di Monteveglio, Savigno, Castello di Serravalle e Bazzano.
Tale zona è favorita da eccezionali condizioni ecologiche, climatiche e ambientali. In particolare le condizioni micro-climatiche presenti nella zona di produzione (clima prevalentemente asciutto e leggermente ventilato) sono strettamente connesse alla conformazione del territorio di produzione, tipico della zona pedemontana dell’Appennino Tosco-Emiliano. Per sfruttare al meglio le costanti brezze che insistono nella zona gli stabilimenti di produzione sono orientati trasversalmente al flusso dell’aria e sono dotati di grandi e numerose finestre, affinché l’areazione possa dare il suo decisivo contributo ai processi enzimatici e di trasformazione biochimica del prodotto che caratterizza il «Prosciutto di Modena».
Tali trasformazioni biochimiche che si verificano durante la fase della stagionatura, seguono un loro preciso andamento proprio grazie alle condizioni ecologiche che esistono nella zona di produzione sopra descritta.
La riprova di quanto detto si ha immediatamente confrontando il «Prosciutto di Modena» con altri prodotti sottoposti ad artificiosi trattamenti allo scopo di conferire ad essi l’aspetto di una regolare maturazione. In realtà si tratta di prodotti i quali, sia per l’effetto dell’alto tenore di sale, sia in seguito all’esposizione in ambienti necessariamente condizionati in assenza delle ideali condizioni naturali, si prosciugano in breve tempo e, in particolare, assumono esteriormente l’aspetto del prosciutto che ha subito un razionale e naturale processo di stagionatura, senza però averne né il profumo né la fragranza né la dolcezza caratteristica.
La zona a «monte» della zona tipica di produzione del «Prosciutto di Modena» è caratterizzata dall’assoluta mancanza di insediamenti produttivi che possano in qualsiasi modo determinare fenomeni di inquinamento ambientale.
L’insediamento dei prosciuttifici nella zona tipica di produzione non è stato casuale e nemmeno conseguente a disposizioni di legge ma piuttosto l’espressione dello stretto rapporto che si instaura fra il sistema di produzione e l’ambiente geografico: il prosciutto necessita di un ambiente assolutamente salubre e al tempo stesso i suoi sistemi di produzione non alterano tali caratteristiche di salubrità.
L’attuale quadro normativo nazionale, che costituisce parte integrante del presente disciplinare, in via formale e sostanziale, altro non rappresenta che il consolidamento e conseguente codificazione del percorso che i fattori umani e produttivi hanno storicamente compiuto, in contesti geografici ed ambientali particolari, nell’ambito delle aree rispettivamente vocate ai fini della produzione della materia prima destinata ad approvvigionare la lavorazione del «Prosciutto di Modena» e della trasformazione del «Prosciutto di Modena» stesso, aree rigorosamente identificate e delimitate.
G
Prova dell’origine
Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, degli allevatori, macellatori, sezionatori e dei produttori nonché attraverso la dichiarazione tempestiva all’organismo di controllo delle quantità prodotte è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.
H
Elementi specifici dell’etichettatura connessi alla dicitura DOP e diciture tradizionali nazionali equivalenti
Il contrassegno, apposto dal produttore sotto la diretta sorveglianza e responsabilità dell’organismo di controllo, è il solo elemento che comprova la rispondenza del prodotto alla disciplina giuridica di produzione.
Inoltre, il presente disciplinare prevede l’apposizione – preliminare rispetto all’apposizione del contrassegno – di tutta una serie di tatuaggi, timbri e sigilli, non meno di tre e non più di quattro – tatuaggio di origine, timbro identificativo del macello, sigillo a fuoco di inizio lavorazione – e di altri dispositivi di identificazione in loro sostituzione o associazione, il cui riscontro è funzionale ed indispensabile per attestare la rispondenza del prodotto – anche in corso di lavorazione – ai requisiti ed agli adempimenti che risultano obbligatori per i diversi soggetti produttivi, interagenti nel sistema di filiera che forma «il circuito della produzione tutelata».
Il «Prosciutto di Modena» è permanentemente identificato dal contrassegno apposto sulla cotenna.
Per ottenere il contrassegno di cui al punto precedente e, comunque, anche dopo la relativa apposizione, il prosciutto di Modena deve recare inoltre anche i seguenti timbri e/o sigilli:
a) timbro indelebile apposto dall’allevatore entro il ventottesimo giorno dalla nascita e/o dispositivo di identificazione in associazione o in sostituzione di cui alla scheda C;
b) timbro identificativo indelebile impresso a fuoco apposto dal macellatore e/o dispositivo di identificazione in associazione o in sostituzione di cui alla scheda C;
c) sigillo a fuoco apposto dal produttore prima della salagione, riproducente il mese e l’anno d’inizio della lavorazione e/o dispositivo di identificazione in associazione o in sostituzione di cui alla scheda E.
Il contrassegno comprende come parte integrante il numero di codice di identificazione del produttore.
Il contrassegno, i timbri, i sigilli e i dispositivi di identificazione in sostituzione o in associazione a timbri e sigilli sono apposti con le modalità previste dal presente disciplinare.
Il contrassegno, il timbro, il sigillo e i dispositivi di identificazione in sostituzione o in associazione a timbri e sigilli sono approvati, anche ai fini del presente disciplinare, dall’organismo di controllo.
Inoltre ai fini del presente disciplinare:
l’etichettatura del «Prosciutto di Modena» intero con osso reca le seguenti indicazioni obbligatorie:
«Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione di origine protetta» o dall’abbreviazione «DOP» e accompagnata dal simbolo DOP dell’Unione europea, collocati nel campo visivo principale dell’etichetta frontale così da distinguersi sempre dalle rimanenti indicazioni;
l’indicazione degli ingredienti: carne di suino/carne suina/coscia suina/coscia di suino e sale;
il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del prosciuttificio iscritto al sistema di controllo che commercializza il «Prosciutto di Modena» DOP;
la sede dello stabilimento di produzione;
l’etichettatura del «Prosciutto di Modena» disossato intero, oppure presentato in tranci reca le seguenti indicazioni obbligatorie:
«Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione di origine protetta» o dall’abbreviazione «DOP» e accompagnata dal simbolo DOP dell’Unione europea, collocati nel campo visivo principale dell’etichetta frontale così da distinguersi sempre dalle rimanenti indicazioni;
l’indicazione degli ingredienti: carne di suino/carne suina/coscia suina/coscia di suino e sale;
il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del prosciuttificio produttore o del prosciuttificio iscritto al sistema di controllo che commercializza il «Prosciutto di Modena» DOP;
la sede dello stabilimento di confezionamento;
la data di produzione (inizio della lavorazione), qualora il sigillo a fuoco non risulti più visibile o il dispositivo di identificazione in sostituzione del sigillo a fuoco non sia più presente;
la data di produzione (inizio della lavorazione), qualora il sigillo a fuoco non risulti più visibile o il dispositivo di identificazione in sostituzione del sigillo a fuoco non sia più presente;
la quantità netta;
il termine minimo di conservazione;
la dicitura di identificazione del lotto.
Agli effetti del presente disciplinare valgono inoltre tutte le seguenti regole relative alla etichettatura del «Prosciutto di Modena»:
è vietata l’utilizzazione di qualificativi come «classico», «autentico», «extra», «super» e di altre qualificazioni, menzioni ed attribuzioni abbinate alla denominazione di origine, ad esclusione di «disossato», nonché di altre indicazioni non specificamente qui previste, fatte salve le esigenze di adeguamento ad altre prescrizioni di legge;
i medesimi divieti valgono anche per la pubblicità e la promozione del «Prosciutto di Modena», in qualsiasi forma o contesto.
Qualora il «Prosciutto di Modena» venga utilizzato quale ingrediente di un altro prodotto alimentare deve essere menzionato secondo la normativa vigente al momento.
Il Consorzio di tutela riconosciuto è il proprietario delle matrici e degli strumenti per l’apposizione del contrassegno che vengono affidati all’organismo di controllo per il loro utilizzo.
Il Consorzio di tutela riconosciuto può utilizzare il contrassegno come proprio segno distintivo e autorizzarne l’uso per iniziative volte alla protezione e valorizzazione del «Prosciutto di Modena».
Allegato B
DOCUMENTO UNICO
«Prosciutto di Modena»
n. UE: PDO-IT-0066
DOP (X) IGP ( )
1. Denominazione
«Prosciutto di Modena»
2. Stato membro o Paese terzo
Italia
3. Descrizione del prodotto agricolo o alimentare
3.1. Tipo di prodotto
Classe 1.2 Prodotti a base di carne (riscaldati, salati, affumicati, ecc)
3.2. Descrizione del prodotto a cui si applica la denominazione di cui al punto 1
Prosciutto crudo stagionato a denominazione di origine protetta. Forma esteriore a pera, con esclusione del piedino ottenuta con la eliminazione dell’eccesso di grasso mediante rifilatura e asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura. Colore rosso vivo del taglio. Sapore sapido ma non salato. Aroma di profumo gradevole, dolce ma intenso anche nelle prove dell’ago. Caratterizzato dalla rispondenza a precisi parametri analitici: umidità compresa tra 57% e 63,5%; cloruro di sodio compreso tra 4,3% e 6,3%; indice di proteolisi compreso tra 25% e 32%. Il peso del prosciutto intero non è inferiore a chilogrammi 8 né superiore a chilogrammi 12,5.
3.3. Alimenti (solo per i prodotti di origine animale) e materie prime (solo per i prodotti trasformati)
Le materie prime per i suini provengono dalla zona geografica di allevamento e presentano caratteristiche qualitative idonee per una sana e corretta alimentazione dei suini. Tuttavia, in certe annate potrebbe non essere tecnicamente possibile ottenere il 100% delle materie prime per i suini a livello locale per motivi climatici e commerciali. In queste casistiche, nel rispetto dell’art. 47, paragrafo 2 del regolamento (UE) 2024/1143, a garanzia del legame con il territorio e della qualità del «Prosciutto di Modena», è assicurato che almeno il 50% della sostanza secca delle materie prime per i suini, su base annuale, proviene dalla zona geografica di allevamento (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio). Gli alimenti possono essere presentati sia in forma liquida che in forma secca.
Nella fase di svezzamento, l’alimentazione è costituita dalle materie prime ammesse dalla normativa dell’UE concernente l’alimentazione animale. È ammessa l’integrazione vitaminica, minerale e amminoacidica dell’alimentazione e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente.
Nella fase di magronaggio sono consentite le seguenti materie prime: farina glutinata di granturco e/o corn gluten feed, granturco, sorgo, orzo, frumento, triticale, silomais, pastone integrale di spiga di granturco, pastone di granella e/o pannocchia di granturco, cereali minori, cruscami e altri sottoprodotti della lavorazione del frumento, panello di lino, mangimi di panello di semi di lino, farina di semi di lino, mangimi di farina di semi di lino, polpe secche esauste di bietola, residui della spremitura della frutta e residui della spremitura del pomodoro, quali supporto delle premiscele, siero di latte, latticello, trebbie e solubili di distilleria essiccati, erba medica essiccata ad alta temperatura, melasso, prodotti ottenuti per estrazione dai semi di soia, prodotti ottenuti per estrazione dai semi di girasole, prodotti ottenuti per estrazione dai semi di colza, farina di germe di granturco, pisello, altri semi di leguminose, lieviti, lipidi con punto di fusione superiore a 36° C, farina di pesce, soia integrale tostata e/o panello di soia. L’alimentazione nella fase di magronaggio deve, inoltre, tener conto delle seguenti specifiche: sono ammessi l’utilizzo di minerali, l’integrazione con vitamine e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente dell’Unione europea; la presenza di sostanza secca da cereali non deve essere inferiore al 45% di quella totale.
Nella fase di ingrasso devono essere rispettate tutte le specifiche previste per la fase di magronaggio, con le seguenti eccezioni: la presenza di sostanza secca da cereali non deve essere inferiore al 55% di quella totale; sono escluse le materie prime soia integrale tostata e/o panello di soia e farina di pesce.
Derivato da cosce suine fresche di animali nati, allevati e macellati in dieci regioni del territorio nazionale (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio).
Per la produzione del «Prosciutto di Modena» la materia prima deve provenire da suini figli di:
a) verri delle razze tradizionali Large White italiana, Landrace italiana e Duroc italiana, così come migliorate dal Libro genealogico italiano, in purezza o tra loro incrociate, e scrofe delle razze tradizionali Large White italiana e Landrace italiana, in purezza o tra loro incrociate;
b) verri delle razze tradizionali di cui alla lettera a) e scrofe meticce o di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
c) verri e scrofe di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
d) verri degli altri tipi genetici di cui alla lettera c) e scrofe delle razze tradizionali di cui alla lettera a).
Non possono essere utilizzate cosce suine fresche provenienti da:
verri e scrofe;
suini figli di verri e scrofe diversi da quelli elencati in a), b), c) e d);
suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS – Porcine Stress Sindrome).
Le cosce fresche utilizzate per la produzione di «Prosciutto di Modena» devono provenire solo da carcasse classificate H Heavy, con peso della carcassa compreso fra 110,1 kg e 168,0 kg, appartenenti alle classi «U», «R», «O» della tabella dell’Unione europea per la classificazione delle carcasse suine.
3.4. Fasi specifiche della produzione che devono aver luogo nella zona geografica delimitata
Le fasi di produzione e stagionatura del «Prosciutto di Modena» devono essere effettuate nell’ambito del territorio di produzione così come delimitato al punto 4, al fine di garantire la tracciabilità e il controllo.
3.5. Norme specifiche in materia di affettatura, grattugiatura, confezionamento ecc. del prodotto cui si riferisce la denominazione registrata
3.6. Norme specifiche relative all’etichettatura Il «Prosciutto di Modena» è permanentemente identificato dal contrassegno apposto sulla cotenna dall’organismo di controllo.
L’etichettatura del «Prosciutto di Modena» intero con osso prevede:
l’indicazione «Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione di origine protetta» o dall’abbreviazione «DOP» e accompagnata dal simbolo DOP dell’Unione europea, collocati nel campo visivo principale dell’etichetta frontale così da distinguersi sempre dalle rimanenti indicazioni;
l’indicazione degli ingredienti: carne di suino/carne suina/coscia suina/coscia di suino e sale;
il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del prosciuttificio iscritto al sistema di controllo che commercializza il «Prosciutto di Modena» DOP.
Per il «Prosciutto di Modena» disossato intero, oppure presentato in tranci l’etichettatura deve prevedere anche la data di produzione riferita alla data di inizio della lavorazione della coscia qualora il sigillo a fuoco non sia più visibile o il dispositivo identificativo in sostituzione del sigillo a fuoco non sia più presente.
È vietata l’utilizzazione di qualificativi come «classico», «autentico», «extra», «super» e di altre qualificazioni, menzioni ed attribuzioni abbinate alla denominazione di origine, ad esclusione di «disossato», nonché di altre indicazioni non specificamente previste, fatte salve le esigenze di adeguamento ad altre prescrizioni di legge; i medesimi divieti valgono anche per la pubblicità e la promozione del prosciutto di Modena, in qualsiasi forma o contesto.
4. Delimitazione concisa della zona geografica
La lavorazione del «Prosciutto di Modena» avviene esclusivamente nella particolare zona collinare circostante il bacino oroidrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti, fino ad un’altitudine massima di 900 metri comprendendo i territori dei seguenti comuni: Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola, Marano, Guiglia, Zocca, Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno, Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio Montano, Monte San Pietro, Sasso Marconi, Castel d’Aiano, Zola Predosa, Bibbiano, San Polo d’Enza, Quattro Castella, Canossa (già Ciano d’Enza), Viano, Castelnuovo Monti, Valsamoggia, limitatamente ai territori già dei Comuni di Monteveglio, Savigno, Castello di Serravalle e Bazzano.
L’allevamento e la macellazione avvengono solo nella zona delimitata dal territorio delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio.
5. Legame con la zona geografica
5.1. Specificità della zona geografica
Nella micro-zona collinare circostante il bacino oroidrografico del Panaro si ritrova una di queste pochissime zone «vocate», in funzione della sua collocazione a ridosso dell’Appennino Tosco-Emiliano che gode dell’ottimale microclima del prosciutto: la zona pedemontana, così come conformata e caratterizzata da una tipica flora, e «l’effetto drenaggio» determinato dallo scorrimento del fiume Panaro e dai torrenti suoi affluenti, creano l’ideale clima prevalentemente asciutto e leggermente ventilato. La delimitazione della zona di produzione in corrispondenza di un determinato ambiente geografico, non casuale né conseguente a disposizioni di legge, rafforza lo stesso rapporto instauratosi nel tempo fra sistema della produzione ed ambiente geografico: la stagionatura del prosciutto necessita di un ambiente assolutamente salubre e al tempo stesso i suoi sistemi di produzione non alterano tali caratteristiche di salubrità.
5.2. Specificità del prodotto
Oltre alle peculiarità già citate nella descrizione del prodotto le specificità del «Prosciutto di Modena» sono le seguenti:
maggiore scopertura in corona che consente una penetrazione più veloce del sale tale da conferire al prodotto un sapore caratteristico;
percentuale di umidità compresa tra 57% e il 63,5%;
percentuale di sale compresa tra il 4,3% e il 6,3%;
indice di proteolisi compreso tra 25% e il 32%.
Quest’ultima specificità rende il prodotto particolarmente adatto nelle diete a sfondo iperproteico, pur essendo estremamente digeribile; inoltre il «Prosciutto di Modena» per il suo contenuto minerale e vitaminico, ed il suo limitato contenuto di colesterolo è un alimento ideale nelle diete ipolipidiche se viene asportato il grasso, se considerato in toto rappresenta un alimento più che bilanciato nell’apporto di grassi e proteine.
5.3. Legame causale fra la zona geografica e la qualità o le caratteristiche del prodotto (per DOP) o una qualità specifica, la reputazione o altre caratteristiche del prodotto (per le IGP)
I requisiti produttivi funzionali alla caratterizzazione e, quindi, al conseguimento della denominazione di origine sono tutti strettamente dipendenti dalle condizioni ambientali e dai fattori naturali ed umani, infatti: la caratterizzazione della materia prima è assolutamente peculiare della macro-zona geografica delimitata, per effetto dell’evoluzione storica ed economica seguita dalla vocazione agricola di base. La produzione del «Prosciutto di Modena» trae origine e giustificazione dagli effetti di tale vocazione agricola nel quadro delle condizioni geomorfologiche e microclimatiche della micro-zona delimitata. Questo quadro di condizioni peculiari ha definito un processo di unificazione tra le caratteristiche della materia prima, i sistemi di lavorazione del prodotto e l’affermazione della denominazione che è profondamente collegata con l’evoluzione socio-economica specifica dell’area geografica, che ne ha determinato connotazioni irriproducibili, poiché: nella macro-zona delimitata, l’evoluzione delle razze indigene ed autoctone, registrata in Italia centro-settentrionale fin dall’epoca etrusca, è avvenuta sulla linea delle colture cerealicole e della trasformazione del latte che hanno caratterizzato i sistemi di alimentazione dei suini. Tale orientamento ha determinato una caratterizzazione delle materie prime ed una vocazione produttiva ben precise, con l’affermazione dell’allevamento di suini pesanti, macellati in età avanzata. Questi indirizzi avevano trovato nel prosciutto stagionato un progressivo e naturale obiettivo produttivo, fin da epoca remota concentrato in zone collocate in poche aree vocate in funzione di autonome condizioni ambientali che, enfatizzate dal fattore umano, sono divenute via via specialistiche.
La storia del prodotto è antichissima ed è documentata nella sua zona d’origine, fin dall’epoca del bronzo, periodo nel quale si è consolidata la pratica dell’allevamento di animali domestici ed è stato scoperto l’utilizzo del sale (cloruro di sodio); in termini storico-economici, la pratica di conservare le carni con il sale, si è affermata con l’avvento dei celti e successivamente affinata in epoca romana.
Del pari, l’origine del prodotto è storicamente documentata anche in relazione alla zona d’origine della relativa materia fin dall’epoca preindustriale, essendo esso il frutto di una straordinaria evoluzione di una tipica cultura rurale comune a tutta la regione della «Padania», che ha trovato nella zona collinare circostante il bacino oroidrografico del Panaro (zona pedemontana dell’Appenino tosco-emiliano) una collocazione «topica», in funzione delle peculiari condizioni climatiche ambientali.
Riferimento alla pubblicazione del disciplinare
Questa amministrazione ha attivato la procedura nazionale di opposizione, pubblicando la proposta di modifica del disciplinare di produzione della DOP «Prosciutto di Modena» nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 161 dell’11 luglio 2024.
DECRETO DEL MINISTERO DELL’AGRICOLTURA, DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE E DELLE FORESTE 9 settembre 2024 (in Gazz. Uff. 20 settembre 2024, n. 221)
DECRETO DEL MINISTERO DELL’AGRICOLTURA, DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE E DELLE FORESTE 9 settembre 2024 (in Gazz. Uff. 20 settembre 2024, n. 221). – Modifiche ordinarie al disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta (DOP) «Prosciutto di Modena».
IL DIRIGENTE GENERALE DELLA PQA I
della Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare
Visto il regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari;
Visto il regolamento (UE) 2024/1143 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024, relativo alle indicazioni geografiche dei vini, delle bevande spiritose e dei prodotti agricoli, nonché alle specialità tradizionali garantite e alle indicazioni facoltative di qualità per i prodotti agricoli, che modifica i regolamenti (UE) n. 1308/2013, (UE) 2019/787 e (UE) 2019/1753 e che sostituisce e abroga il regolamento (UE) n. 1151/2012, entrato in vigore il 13 maggio 2024;
Visto l’art. 24 del regolamento (UE) 2024/1143, rubricato «Modifiche di un disciplinare» e, in particolare, il paragrafo 9 secondo il quale le modifiche ordinarie di un disciplinare sono valutate e approvate dagli Stati membri o dai paesi terzi nel cui territorio è situata la zona geografica del prodotto in questione e sono comunicate alla Commissione;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ed in particolare l’art. 16, comma 1, lettera d);
Visto il decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, coordinato con la legge 16 dicembre 2022, n. 204, recante «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri», con il quale il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha assunto la denominazione di Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 ottobre 2023, n. 178, recante: «Riorganizzazione del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste», a norma dell’art. 1 comma 2 del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2023, n. 74;
Visto il decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste del 31 gennaio 2024, n. 0047783, recante individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e definizione delle attribuzioni e relativi compiti;
Vista la direttiva del Ministro 31 gennaio 2024, n. 45910, registrata alla Corte dei conti al n. 280 in data 23 febbraio 2024, recante gli indirizzi generali sull’attività amministrativa e sulla gestione per il 2024;
Vista la direttiva dipartimentale 21 febbraio 2024, n. 85479, registrata dall’Ufficio centrale di bilancio al n. 129 in data 28 febbraio 2024, per l’attuazione degli obiettivi definiti dalla «Direttiva recante gli indirizzi generali sull’attività amministrativa e sulla gestione per l’anno 2024» del 31 gennaio 2024, rientranti nella competenza del Dipartimento della sovranità alimentare e dell’ippica, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 179/2019;
Vista la direttiva direttoriale n. 0289099 del 28 giugno 2024 della Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare, registrata dall’Ufficio centrale di bilancio il 4 luglio 2024 al n. 493, in particolare l’art. 1, comma 4, con la quale i titolari degli uffici dirigenziali non generali, in coerenza con i rispettivi decreti di incarico, sono autorizzati alla firma degli atti e dei provvedimenti relativi ai procedimenti amministrativi di competenza;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica del 21 dicembre 2023, registrato alla Corte dei conti in data 16 gennaio 2024, n. 68, concernente il conferimento al dott. Marco Lupo dell’incarico di Capo del Dipartimento della sovranità alimentare e dell’ippica;
Visto il decreto di incarico di funzione dirigenziale di livello generale conferito, ai sensi dell’art. 19, comma 4 del decreto legislativo n. 165/2001, alla dott.ssa Eleonora Iacovoni, del 7 febbraio 2024 del Presidente del Consiglio dei ministri, registrato dall’Ufficio centrale di bilancio al n. 116, in data 23 febbraio 2024, ai sensi del decreto legislativo n. 123 del 30 giugno 2011 dell’art. 5, comma 2, lettera d);
Visto il decreto del direttore della Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare del 30 aprile 2024, n. 193350, registrato dalla Corte dei conti il 4 giugno 2024, n. 999, con il quale è stato conferito al dott. Pietro Gasparri l’incarico di direttore dell’Ufficio PQA I della Direzione generale della qualità certificata e tutela indicazioni geografiche prodotti agricoli, agroalimentari e vitivinicoli e affari generali della Direzione;
Visto il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 14 ottobre 2013, n. 12511, recante disposizioni nazionali per l’attuazione del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari in materia di DOP, IGP e STG;
Visto il regolamento (CE) n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee – Serie L 148 del 21giugno 1996, con il quale è stata registrata la denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»;
Vista l’istanza presentata dal Consorzio di tutela del Prosciutto di Modena DOP, che possiede i requisiti previsti dall’art. 13, comma 1 del decreto n. 12511/2013, intesa ad ottenere la modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»;
Visto il parere favorevole espresso dalla Regione Emilia-Romagna, competente per territorio, in merito alla domanda di modifica del disciplinare di che trattasi;
Visto il comunicato, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 161 dell’11 luglio 2024, con il quale è stata resa pubblica la proposta di modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena» ai fini della presentazione di opposizioni e che, entro i termini previsti dal decreto 14 ottobre 2013, non sono pervenute opposizioni riguardo la proposta di modifica di cui trattasi;
Considerato che, a seguito dell’esito positivo della procedura nazionale di valutazione, conformemente all’art. 24, paragrafo 9, del regolamento (UE) 2024/1143, sussistono i requisiti per approvare le modifiche ordinarie contenute nella domanda di modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»;
Ritenuto di dover procedere alla pubblicazione del presente decreto di approvazione delle modifiche ordinarie del disciplinare di produzione in questione e del relativo documento unico consolidato, nonché alla comunicazione delle stesse modifiche ordinarie alla Commissione europea;
Decreta:
Art. 1
1. È approvata la modifica ordinaria al disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena», di cui alla proposta pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 161 dell’11 luglio 2024.
2. Il disciplinare di produzione consolidato della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena», ed il relativo documento unico consolidato, figurano rispettivamente agli allegati A e B del presente decreto.
Art. 2
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
2. Le modifiche ordinarie di cui all’art. 1 sono comunicate, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto, alla Commissione europea.
3. Il presente decreto e il disciplinare consolidato della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena» saranno pubblicati sul sito internet del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste
Allegato A
Disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena»
A
Nome del prodotto che comprende la denominazione d’origine
Il nome del prodotto è «Prosciutto di Modena».
La denominazione d’origine «Prosciutto di Modena» è giuridicamente protetta a livello nazionale dalla legge della Repubblica italiana 12 gennaio 1990, n. 11 «Tutela della denominazione d’origine del prosciutto di Modena, delimitazione della zona di produzione e caratteristiche del prodotto», attualmente in vigore, ed è poi stata riconosciuta come DOP ai sensi del regolamento CEE 2081/92 con regolamento CE n. 1107 del 12 giugno 1996.
B
Descrizione del prodotto mediante indicazione delle materie prime e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche ed organolettiche
La denominazione di origine del «Prosciutto di Modena» è riservata esclusivamente al prosciutto le cui fasi di produzione, dalla salagione alla stagionatura completa, hanno luogo nella zona tipica di produzione e viene attestata dal contrassegno apposto sulla cotenna citato alla scheda H – Figura 1: contrassegno, atto a garantire l’origine, l’identificazione e l’osservanza delle disposizioni produttive contenute nel presente disciplinare.
Il «Prosciutto di Modena» è ottenuto esclusivamente dalla coscia fresca di suini nati, allevati, e macellati nelle seguenti regioni: Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, secondo le prescrizioni produttive contenute nel presente disciplinare.
I suini devono essere macellati in ottimo stato sanitario e dissanguati secondo le migliori tecniche di produzione, non prima del nono mese dalla nascita.
È esclusa l’utilizzazione di verri e scrofe.
La coscia fresca deve avere per base ossea il femore, la tibia, la rotula e la prima fila delle ossa tarsiche.
Le cosce dei suini impiegate per la preparazione del «Prosciutto di Modena» devono essere di peso sufficiente a far conseguire un peso, a fine stagionatura, non inferiore a otto chilogrammi.
Lo spessore del grasso della parte esterna della coscia fresca rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza della testa del femore (sottonoce), con la coscia e la relativa faccia esterna poste sul piano orizzontale, non deve essere inferiore a 15 millimetri, cotenna compresa, in funzione della pezzatura.
La giusta consistenza del grasso è stimata attraverso la determinazione del numero di jodio e/o del contenuto di acido linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo adiposo sottocutaneo della coscia. Per ogni singola coscia il numero di jodio non deve superare 70 ed il contenuto di acido linoleico non deve essere superiore al 15%.
Sono escluse le cosce provenienti da suini con miopatie conclamate (PSE, DFD, postumi evidenti di pregressi processi flogistici e traumatici, ecc.), accertate obiettivamente e certificate, al macello, da un medico veterinario.
Dopo la macellazione, le cosce suine non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi compresa la congelazione. Per refrigerazione si intende che le cosce suine devono essere conservate, nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura interna variabile tra – 1 grado C° e + 4 gradi C°.
Non è ammessa la lavorazione di cosce suine che risultino ricavate da suini macellati da meno di 24 o da oltre 120 ore.
Il «Prosciutto di Modena», al termine della stagionatura presenta particolari caratteristiche organolettiche e qualitative, che si concretizzano in una oggettiva caratterizzazione e nella ricorrenza di determinati parametri; questi ultimi sono l’inequivocabile risultato della correlazione, confermata nel tempo fra caratteristiche organolettiche e parametri chimici in funzione delle metodiche produttive.
Le particolari caratteristiche organolettiche e qualitative del «Prosciutto di Modena» rispondono ai seguenti requisiti:
a) forma a pera, con esclusione del piedino ottenuta con l’eliminazione dell’eccesso di grasso mediante rifilatura ed asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura;
b) peso non inferiore a chilogrammi 8 e non superiore a chilogrammi 12,5;
c) colore rosso vivo del taglio;
d) sapore sapido ma non salato;
e) aroma di profumo gradevole, dolce ma intenso anche nelle prove dell’ago;
f) consistenza caratteristica della carne dell’animale di provenienza.
Per quanto riguarda l’osservanza di determinati parametri, il «Prosciutto di Modena» è altresì caratterizzato dall’osservanza di requisiti, verificati mediante l’analisi chimica e riferiti alla composizione centesimale di una frazione del muscolo bicipite femorale, rilevati prima dell’apposizione del contrassegno di cui alla scheda H – Figura 1: contrassegno del presente disciplinare.
L’umidità percentuale non deve essere inferiore al 57%, né superiore al 63,5%.
Il cloruro di sodio in percentuale non deve essere inferiore al 4,3% né superiore al 6,3%.
L’indice di proteolisi (composizione percentuale delle frazioni azotate solubili in acido tricloroacetico -TCA- riferite al contenuto in azoto totale) non deve essere inferiore al 25%, né superiore al 32%.
Il peso del «Prosciutto di Modena» intero è ricompreso tra chilogrammi 8 e chilogrammi 12,5.
Il «Prosciutto di Modena» è commercializzato anche frazionato; in tal caso su ogni pezzo o porzione viene apposto il contrassegno di cui alla scheda H – Figura 1: contrassegno.
Il «Prosciutto di Modena» è commercializzato anche frazionato; in tal caso su ogni pezzo o porzione viene apposto il contrassegno di cui alla scheda H – Figura 1: contrassegno.
C
Delimitazione della zona geografica e rispetto delle condizioni di cui all’art. 2, paragrafo 4
La zona tipica di produzione del «Prosciutto di Modena» corrisponde alla particolare zona collinare insistente sul bacino oroidrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti, e che, partendo dalla fascia pedemontana, non supera i 900 metri di altitudine comprendendo i territori dei seguenti comuni:
Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola, Marano, Guiglia, Zocca, Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno, Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio Montano, Monte San Pietro, Sasso Marconi, Castel d’Aiano, Zola Predosa, Bibbiano, San Polo d’Enza, Quattro Castella, Canossa (già Ciano d’Enza), Viano, Castelnuovo Monti, Valsamoggia, limitatamente ai territori già dei Comuni di Monteveglio, Savigno, Castello di Serravalle e Bazzano.
Nella zona di cui al precedente comma devono essere ubicati gli stabilimenti di produzione (prosciuttifici) e devono quindi svolgersi tutte le fasi della trasformazione della materia prima, previste dal presente disciplinare fino alla stagionatura completa.
La materia prima proviene da un’area geograficamente più ampia della zona di trasformazione, che comprende il territorio amministrativo delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio.
Nella suddetta zona di provenienza della materia prima hanno sede tutti gli allevamenti dei suini le cui cosce sono destinate alla produzione del «Prosciutto di Modena» e gli stabilimenti di macellazione abilitati alla relativa preparazione, nonché i laboratori di sezionamento eventualmente ricompresi nel circuito della produzione tutelata.
Le razze, l’allevamento e l’alimentazione dei suini devono essere idonei a garantire le tradizionali qualità del prodotto in esito a precise prescrizioni produttive, originate da peculiari tecniche d’allevamento praticate nella zona considerata, puntualmente codificate e pertanto riconosciute e generalmente adottate all’interno del circuito della produzione tutelata.
La materia prima deve provenire da suini figli di:
a) verri delle razze tradizionali Large White italiana, Landrace italiana e Duroc italiana così come migliorate dal Libro genealogico italiano, in purezza o tra loro incrociate, e scrofe delle razze tradizionali Large White italiana e Landrace italiana, in purezza o tra loro incrociate;
b) verri delle razze tradizionali di cui alla lettera a) e scrofe meticce o di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
c) verri e scrofe di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
d) verri degli altri tipi genetici di cui alla lettera c) e scrofe delle razze tradizionali di cui alla lettera a).
Di seguito vengono esplicitati i requisiti genetici sopra espressi riportando le combinazioni genetiche ammesse e quelle non consentite:
La lista degli altri tipi genetici approvati viene periodicamente aggiornata e pubblicata dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Non possono essere utilizzate le cosce suine fresche provenienti da:
suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS – Porcine Stress Sindrome);
suini figli di verri e scrofe diversi da quanto indicato nelle lettere a), b), c) e d).
I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento del peso della carcassa, rilevato al momento della macellazione e indicato nel paragrafo «Macellazione».
I fattori di caratterizzazione della coscia suina fresca sono prescritti nelle condizioni indicate nella precedente scheda B.
Le fasi di allevamento dei suini destinati alla produzione del prosciutto di Modena sono così definite:
allattamento;
svezzamento;
magronaggio;
ingrasso.
Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un suino pesante, obiettivo che deve essere perseguito assicurando moderati accrescimenti giornalieri, nonché la produzione di carcasse appartenenti alle classi «U», «R», «O» della tabella dell’Unione europea per la classificazione delle carcasse suine.
Allattamento: la fase va dal momento della nascita del suinetto sino ad almeno ventotto giorni; è ammesso anticipare tale termine alle condizioni previste dalla vigente normativa dell’UE e nazionale in materia di benessere dei suini.
In questa fase, l’alimentazione avviene attraverso l’allattamento naturale sotto la scrofa o artificiale nel rispetto della normativa dell’UE e nazionale vigente. Al fine di soddisfare i fabbisogni fisiologici dei suinetti in allattamento è altresì possibile iniziare a somministrare le materie prime ammesse dalla normativa dell’UE e nazionale vigente, in materia di alimentazione animale.
È ammessa l’integrazione vitaminica, minerale e amminoacidica dell’alimentazione e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente.
In questa fase, entro il ventottesimo giorno dalla nascita, l’allevatore iscritto nel sistema dei controlli deve apporre su entrambe le cosce del suinetto il seguente tatuaggio di origine a inchiostro, indelebile e inamovibile, con le seguenti indicazioni.
Il tatuaggio di origine reca lettere e cifre riprodotte con caratteri maiuscoli mediante punzoni multiago disposti secondo precise coordinate su piastre di dimensioni 30 mm per 30 mm. Nello specifico il tatuaggio di origine presenta: la sigla della provincia dove è ubicato l’allevamento iscritto al sistema di controllo in cui i suinetti sono nati in luogo delle lettere «XX»; il numero di identificazione dell’allevamento in luogo delle cifre «456»; la lettera identificativa del mese di nascita del suino in luogo della lettera «H».
La seguente tabella associa i mesi dell’anno alle lettere identificative del mese di nascita del suinetto da riprodurre con il tatuaggio di origine in luogo della lettera «H»:
Mese Nascita | Ge n. | Fe b. | Ma r. | Ap r. | Mag . | Gi u. | Lug . | Ago . | Se t. | Ot t. | Nov . | Di c. |
Lettera identificativa del mese | T | e | B | A | M | p | L | E | S | R | H | D |
In sostituzione o in associazione al presente tatuaggio di origine sarà consentito l’utilizzo anche di altro dispositivo identificativo validato dall’organismo di controllo che assicuri e garantisca la tracciabilità e la rintracciabilità del «Prosciutto di Modena».
Ai fini del presente disciplinare l’età dei suini in mesi è data dalla differenza tra il mese in cui si effettua la determinazione dell’età e il mese di nascita ed è accertata sulla base del tatuaggio di origine e/o del dispositivo identificativo di cui sopra.
Svezzamento: è la fase successiva all’allattamento, che può prolungarsi fino a tre mesi di età dell’animale. Il suino in questo stadio di crescita raggiunge un peso massimo di 40 chilogrammi e, allo scopo di soddisfare i suoi fabbisogni fisiologici, gli alimenti possono essere costituiti dalle materie prime ammesse dalla normativa vigente in materia di alimentazione animale. L’alimento può essere presentato sia in forma liquida (broda) mediante l’utilizzo di acqua e/o di siero di latte e/o di latticello, che in forma secca. È ammessa l’integrazione vitaminica, minerale e amminoacidica Magronaggio: è la fase successiva allo svezzamento, che può prolungarsi fino a cinque mesi di età dell’animale. Il suino raggiunge un peso massimo di 85 chilogrammi. Ai fini dell’alimentazione del suino in magronaggio, le materie prime consentite, le quantità e le modalità di impiego sono riportate nella tabella sottostante. Sono ammesse tolleranze sulle percentuali in peso delle singole materie prime nella misura prevista dalla normativa dell’UE e nazionale vigente, relativa all’immissione sul mercato e all’uso dei mangimi. L’alimento può essere presentato sia in forma liquida – cosiddetto «broda» o «pastone» – e, per tradizione, con siero di latte e/o di latticello, che in forma secca.
Di seguito, la tabella delle materie prime ammesse:
Al fine di ottenere un grasso di copertura di buona qualità è consentita una presenza massima di acido linoleico pari al 2% e di grassi pari al 5% della sostanza secca della dieta.
Sono ammessi l’utilizzo di minerali, l’integrazione con vitamine e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente.
La presenza di sostanza secca da cereali non deve essere inferiore al 45% di quella totale per la fase di magronaggio.
Almeno il 50% della sostanza secca delle materie prime per i suini, su base annuale, proviene dalla zona geografica di allevamento ovvero il territorio amministrativo delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio.
Ingrasso: è l’ultima fase dell’allevamento, segue la fase di magronaggio e prosegue fino all’età della macellazione che deve essere di almeno nove mesi. Al termine della fase d’ingrasso, i suini dovranno aver raggiunto in fase di macellazione i pesi della carcassa indicati nel paragrafo «Macellazione». Ai fini dell’alimentazione, sono ammesse le stesse materie prime consentite nella fase di magronaggio, come previsto nella tabella sopra riportata – con le medesime specifiche previste dalle relative note – a esclusione della farina di pesce e della soia integrale tostata e/o panello di soia.
La presenza di sostanza secca da cereali nella fase d’ingrasso non dovrà essere inferiore al 55% di quella totale.
Macellazione L’età minima del suino alla macellazione è di nove mesi; viene accertata sulla base del tatuaggio di origine, apposto dall’allevatore entro il ventottesimo giorno dalla nascita del suino, e/o del dispositivo identificativo in sostituzione o in associazione.
Il computo dell’età in mesi è dato dalla differenza tra il mese in cui avviene la macellazione e il mese di nascita.
Le cosce suine fresche da utilizzare devono provenire solo da carcasse classificate H Heavy ed appartenere alle classi U, R, O della tabella dell’Unione europea per la classificazione delle carcasse suine; inoltre, la carcassa deve avere un peso compreso tra 110,1 chilogrammi e 168,0 chilogrammi.
Il peso e la classificazione delle carcasse vengono rilevati al momento della macellazione.
Sulle cosce suine fresche munite del timbro apposto dall’allevatore e/o del dispositivo identificativo in sostituzione o in associazione, accertatane la corrispondenza ai requisiti indicati nella precedente scheda B, il macellatore è tenuto ad apporre un timbro indelebile impresso a fuoco.
Il timbro di cui al punto precedente riproduce il codice di identificazione del macello presso il quale è avvenuta la macellazione ed è impresso sulla cotenna.
Il timbro identificativo del macello è costituito da una sigla di larghezza 30 mm e altezza 8 mm che identifica il macello iscritto al sistema di controllo, rappresentata da una lettera e da due numeri, posta in luogo dei caratteri «A88» a cui può essere anteposta la sigla «PP».
In sostituzione o in associazione al presente timbro identificativo del macello sarà consentito l’utilizzo anche di altro dispositivo identificativo validato dall’organismo di controllo che assicuri e garantisca la tracciabilità e la rintracciabilità del «Prosciutto di Modena».
D
Elementi comprovanti l’originarietà del prodotto nella zona geografica
L’indicazione degli elementi che comprovano che il prodotto è originario della zona geografica richiamata dalla denominazione che lo designa, deve considerare necessariamente l’articolazione della delimitazione fissata con la precedente scheda C.
Gli elementi comprovanti l’originarietà di un prodotto con riferimento ad una zona geografica (scheda D) e gli elementi comprovanti il legame con l’ambiente geografico (scheda F) non sono suscettibili di autonoma trattazione data la loro strettissima interconnessione. La produzione dell’attuale «Prosciutto di Modena» infatti, nasce e si afferma nell’arco del tempo nella zona pedecollinare sia per la ricorrenza di determinate situazioni microclimatiche, sia perché la conservazione della carne, con l’impiego di sale, tempo e aria, è assolutamente legata al diffuso allevamento del suino ulteriormente tipico di una determinata zona geografica, a sua volta caratterizzata da peculiari tecniche di produzione agraria. La stretta connessione tra le zone di approvvigionamento della materia prima e della zona di stagionatura, consentono infatti di sostenere e provare che:
il «Prosciutto di Modena» è sicuramente originario della zona geografica indicata nella scheda C e le relative caratteristiche, sono essenzialmente dovute all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali e umani; inoltre, la relativa trasformazione avviene esclusivamente nell’area geografica delimitata;
nel contempo, la stessa materia prima utilizzata per la preparazione del «Prosciutto di Modena» è del pari originaria della zona geografica delimitata nelle forme indicate nella scheda C dove ne viene esclusivamente sviluppata la produzione, e le relative caratteristiche sono dovute essenzialmente all’ambiente, comprensivo dei fattori naturali ed umani.
La denominazione «Prosciutto di Modena», in quanto designa un prodotto originario di una determinata zona geografica è caratterizzato dall’apporto essenziale dell’ambiente geografico (insieme di fattori naturali ed umani), è giuridicamente protetta a livello nazionale dallalegge della Repubblica italiana 12 gennaio 1990, n. 11 «Tutela della denominazione d’origine del prosciutto di Modena, delimitazione della zona di produzione e caratteristiche del prodotto», attualmente in vigore, ed è poi stata riconosciuta come DOP ai sensi del regolamento CEE 2081/92 conregolamento CE n. 1107 del 12 giugno 1996.
Le considerazioni svolte circa l’originarietà del suino e del prosciutto da esso derivato, sono tutte riprovate da riscontri di carattere giuridico, storico, socio-economico.
Sotto il profilo storico, è attendibile ritenere che la produzione di prosciutti, nella zona tipica abbia le sue radici nell’epoca del bronzo.
Infatti, pur riconoscendo che la lavorazione del prosciutto crudo stagionato appartiene alla cultura storica di tutta l’Italia settentrionale e che risulta difficile collocare l’inizio di questa pratica in un preciso periodo di tempo, pare inconfutabile che sulle sponde del Panaro, zona geografica in cui ricorrono tutte le caratteristiche ambientali e morfologiche della più ampia «Padania», l’allevamento del maiale, come animale domestico, sia cominciato in tempi veramente remoti, addirittura prima che in ogni altra zona dell’Emilia-Romagna.
Grazie alla fertilità dei terreni da destinare alle prime pratiche agrarie per la preistorica coltivazione dei cereali e alle ampie zone boscate ricche di animali, le popolazioni della valle del Panaro avevano trovato le condizioni favorevoli allo sviluppo della loro civiltà, tanto da poter essere considerati appunto i primi nella regione a praticare l’allevamento; si sa, dunque, che nel neolitico e nell’eneolitico gli antichi abitatori della valle del Panaro erano agricoltori ed allevatori.
Appurato che i nostri antenati erano allevatori, e che il suino era uno degli animali domestici più rappresentativi, bisogna arrivare all’età del bronzo per conoscere qualcosa relativamente ai metodi di macellazione ed alle tecniche di conservazione delle carni.
Gli insediamenti originati dalla cultura terramaricola, hanno consentito il consolidamento dell’allevamento degli animali domestici e scoperto l’utilizzo del sale (cloruro di sodio). Si può quindi presumere che inizi da questo momento la produzione di carne conservata tramite la salagione.
Era, invece, il 150 a.C. quanto Polibio, attraversando la Pianura Padana, rimase colpito dalla «… terra straordinariamente fertile e ricca» e più tardi della Cispadania scriverà che «… l’abbondanza delle ghiande nei querceti allignati ad intervalli nella pianura, è attestata da quanto dirò: la maggior parte dei suini macellati in Italia per i bisogni dell’alimentazione privata e degli eserciti si ricava dalla Pianura Padana».
Ulteriore impulso all’allevamento dei suini ed alla trasformazione delle loro carni si ha con l’avvento dei celti e dei romani. «Questo allevamento comportava anche piccole industrie di trasformazione spesso connesse con la stessa villa (che nella terminologia latina significa azienda agricola). Infatti le carni che dovevano essere inviate per il consumo in altre regioni, andavano salate o affumicate per la conservazione, oppure trasformate in salumi».
La carne di maiale divenne ben presto cibo ambito sia dalle classi nobili che dalla popolazione contadina, rispettivamente per la bontà e per l’elevata capacità nutrizionale «La salagione aveva come oggetto dunque, innanzitutto le carni, a cominciare da quella di maiale, che per lungo tempo rappresentò la carne per eccellenza nella dieta quotidiana di larghi strati di popolazione. Soprattutto di maiale salato erano costituite le scorte di carne delle famiglie contadine, che non di rado erano tenute a corrispondere al proprietario della terra un tributo annuo in spalle e prosciutti.
Soprattutto di maiale erano costituite le scorte delle grandi aziende rurali, come quella di Migliarina (Carpi), dipendente dal Monastero di Santa Giulia».
Alla pratica diffusa dell’allevamento (nel 1540 a Modena si contava una popolazione di 17.000 suini) si affiancava sempre di più la pratica della «pcaria», che utilizzava la carne del maiale per la fabbricazione degli insaccati, raggiungendo sin d’allora livelli qualitativi e quantitativi particolarmente apprezzabili. Nel 1547, infatti, sempre a Modena, i «lardaroli e salsicciai» che sino ad allora erano assimilati ai «beccari» si costituirono in corporazione autonoma; la loro arte era riconosciuta anche oltre i confini della città e Modena, in questo campo, era un vero e proprio punto di riferimento.
Del prosciutto in particolare, si cibavano anche i componenti delle fastose corti rinascimentali, tra le quali una delle più rappresentative era quella del Duca di Modena; il prosciutto non consumato direttamente, a conferma del suo pregio, non veniva scartato ma riutilizzato con ricette tramandate fino a noi come i famosi «tortellini». Della preparazione del prosciutto ne riferisce Padre Giuseppe Falcone nel suo trattato di agricoltura «Nuova Villa», allorquando cita che in Emilia esiste «l’antica specializzazione sull’allevamento dei maiali e nella lavorazione delle carni suine», precisando che «… Non può star bene una villa senza porci, animali sì utili, e di molta cavata … i prosciutti nostrani si tengono tre settimane sotto sale … In tre settimane le mezene restano salate, e si possono levar di sale, lavandoli con acqua di fiume».
Tra il ‘600 e l’800 la lavorazione della carne di maiale si consolida e numerosissime sono le testimonianze scritte di tale arte.
Una volta macellati i maiali venivano commercializzati a Modena come «…salsizza rossa, salame nuovo, salame vecchio, panzetta, presciutto, distrutto, lardo songia, cotteghino fino crudo, cotteghino fino cotto …» come scrive il Malvasia. Nel 1670 nelle carte della Camera ducale estense, in un lungo elenco di rifornimenti della cucina del cardinale Rinaldo, compare la raffinata distinzione fra prosciutti «di montagna» e prosciutti «nostrani» con particolare predilezione per la qualità dei primi. Anche il Belloi (1704) nella sua cronaca «Del più moderno Stato di Vignola» esalta la qualità delle carni suine della zona pedemontana e collinare e l’industria della macellazione della carne suina, tanto che nel 1885 Arsenio Crespellani, nella sua cicalata «Passeggiata in tramway a vapore Bologna- -Vignola» scrisse, proprio avvicinandosi a quest’ultima tappa «… fertili sono i terreni della collina e dell’altopiano, producendo in copia cereali, frutta e foraggi; fertilissime le basse, che oltre ai suddetti prodotti danno foglia da gelso in abbondanza, e bella saporita ortaglia … Le industrie principali sono la manipolazione delle carni porcine, specialmente il rinomato presciutto …».
L’importanza del suino e della lavorazione delle sue carni è poi cresciuta, nella nostra provincia, con il nostro secolo. Riporta la relazione sull’andamento economico della Provincia di Modena nell’anno 1929, a cura del Consiglio provinciale dell’economia di Modena: «L’industria dei salumi ha avuto, nel biennio 1928-1929, un andamento abbastanza regolare, consentendo però, in generale, utili piuttosto modesti. La produzione delle rinomate specialità locali, e specialmente zamponi, mortadelle e cotechini, ecc. è stata nel 1929, discreta ed ha continuato ad alimentare la normale nostra corrente di esportazioni specialmente nei paesi dove prosperano numerose colonie di connazionali. L’industria è stata inoltre favorita dai prezzi dei suini grassi, che si sono mantenuti piuttosto bassi. Andamento pressoché analogo ha avuto l’industria della salagione dei prosciutti, che gode in questa provincia meritata fama …».
E
Metodi di ottenimento del prodotto
Sono confermate le metodologie e le prescrizioni relative alla materia prima, già illustrate nelle schede B e C del presente disciplinare.
Il procedimento per la lavorazione delle cosce suine fresche corrispondente alle prescrizioni e ai requisiti già indicati nel presente disciplinare è illustrato di seguito, mediante la elencazione delle diverse fasi del procedimento produttivo.
La lavorazione del «Prosciutto di Modena» prevede otto fasi:
1) isolamento;
2) raffreddamento;
3) rifilatura;
4) salagione;
5) riposo;
6) lavaggio;
7) asciugamento;
8) stagionatura.
Isolamento Il maiale, dal quale si ricava la coscia fresca da impiegare nella preparazione del «Prosciutto di Modena» deve essere: sano, di razza bianca, alimentato nel trimestre precedente la macellazione con sostanze tali da limitare l’apporto di grassi ad una percentuale inferiore al 10%, riposato e a digiuno. Dopo la macellazione si procede al sezionamento della coscia, quindi al suo inoltro presso lo stabilimento di produzione dove viene subito sottoposta ai necessari controlli.
Raffreddamento Le cosce fresche ritenute idonee vengono sistemate in apposita cella, dove sostano per il periodo necessario a consentire il raggiungimento di una temperatura delle carni attorno agli 0 gradi centigradi; in tal modo la carne raggiunge la giusta consistenza ed una uniforme temperatura, facilitando così la successiva operazione di salagione in quanto una coscia troppo fredda assorbirebbe poco sale, mentre una coscia non sufficientemente fredda potrebbe subire fenomeni di deterioramento.
Rifilatura La fase di rifilatura consiste nell’asportare grasso e cotenna in modo da conferire al prosciutto la classica forma tondeggiante a «pera». La rifilatura oltre a conferire il taglio tipico consente:
a) di correggere eventuali imperfezioni del taglio;
b) di agevolare il verificarsi di condizioni ottimali per la successiva penetrazione del sale;
c) di identificare eventuali condizioni tecniche pregiudizievoli ai fini della successiva lavorazione.
Le cosce impiegate per la produzione del «Prosciutto di Modena» non devono subire alcun trattamento ad eccezione della refrigerazione.
Salagione Le cosce rifilate vengono quindi sottoposte alla salagione, effettuata con il seguente procedimento:
le cosce vengono asperse con sale, in modo che venga coperta sia la superficie esposta del lato interno che la cotenna. Per questa operazione la coscia rimane adagiata su un piano orizzontale.
Preliminarmente o contemporaneamente le cosce sono massaggiate con procedimenti manuali o meccanici onde predisporre la carne al ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni puntuali, il perfetto dissanguamento.
Per la salagione viene utilizzato cloruro di sodio, con esclusione di procedimenti di affumicatura.
All’inizio della fase di salagione delle cosce fresche su ogni coscia viene apposto dal prosciuttificio il sigillo a fuoco di inizio lavorazione, indicato nella scheda H – Figura 2: sigillo a fuoco – che riporta:
nella parte superiore, la sigla «Pm»;
nella parte inferiore, il mese in numeri romani e le ultime due cifre dell’anno in numeri arabi.
Tale operazione è definita sigillatura.
In sostituzione o in associazione al presente sigillo a fuoco di inizio lavorazione sarà consentito l’utilizzo anche di altro dispositivo identificativo validato dall’organismo di controllo che assicuri e garantisca la tracciabilità e la rintracciabilità del «Prosciutto di Modena».
Mantenute sempre su un piano orizzontale, le cosce salate vengono sistemate in apposita cella, detta di «primo sale», dove rimangono per un periodo variabile tra i cinque e i sette giorni ad una temperatura oscillante tra 0 e 4 gradi centigradi e condizioni di umidità relativa che varia tra 65% e 90%.
Trascorso tale periodo, le cosce vengono prelevate dalla cella, il sale residuale viene asportato dalla superficie, viene ripetuto il massaggio e, infine, viene ripetuta l’aspersione con ulteriore sale, secondo le modalità descritte.
Riposte in cella, detta di «secondo sale», le cosce salate vi rimangono per ulteriori dieci/quindici giorni cioè fino a compimento della durata del processo di salagione, nelle medesime condizioni ambientali. Durante l’intero processo il prosciutto assorbe lentamente sale e cede parte della sua umidità.
Riposo Dopo aver eliminato il sale residuo le cosce salate vengono poste in una sala apposita, per un periodo non inferiore a sessanta giorni, in funzione della pezzatura e delle esigenze tecnologiche, a condizioni di umidità variabile tra il 55% ed il 75% ed una temperatura compresa tra 1 e 5 gradi centigradi. Nel corso della fase di riposo, il sale assorbito penetra con graduale omogeneità all’interno della massa muscolare, distribuendosi in modo uniforme.
Vi si esercita la funzione preposta alla prosecuzione del processo di disidratazione, iniziata con il trattamento con il sale e le basse temperature.
Lavaggio Ultimato il riposo, la coscia viene sottoposta ad una «lavatura» definitiva, mediante getti d’acqua ad una temperatura non superiore a 50 gradi centigradi.
Oltre ad un effetto completamente rivitalizzante, il lavaggio rimuove tutte le formazioni superficiali prodottisi durante la salatura e riposo per effetto della disidratazione e tonifica i tessuti esterni.
Prima del lavaggio le cosce vengono «toelettate» e, cioè, rifinite sul piano superficiale dagli effetti del sopravvenuto calo di peso.
Asciugamento Dopo averle fatte sgocciolare dall’acqua le cosce entrano nell’essiccatoio a 17/26 gradi centigradi per un periodo che varia tra le cinque e le dieci ore in rapporto alla quantità del prodotto, con una umidità relativa molto alta, caldo umido 70/90%. Raggiunti questi livelli, si interviene con le batterie a freddo e si inizia così la vera fase deumidificante che può durare circa una settimana a seconda dei carichi e delle modalità di impiego delle apparecchiature. La variabilità dei valori è funzionale alle tecniche del trattamento successivo, la stagionatura.
Stagionatura La fase della stagionatura si può dividere in due periodi: la prestagionatura e la stagionatura vera e propria. Nella prestagionatura prosegue il processo di rinvenimento – acclimatamento delle carni a temperature variabili progressivamente tra i 10 e i 20 gradi centigradi, in condizioni di umidità in progressiva riduzione.
E così, in ogni caso, dopo l’asciugamento e l’eventuale prestagionatura, i prosciutti – a questo punto è più proprio chiamarli prosciutti anziché cosce suine – vengono trasferiti in appositi saloni di stagionatura, ambienti le cui condizioni di umidità e temperatura sono normalmente naturali, grazie all’esistenza e all’apertura quotidiana delle numerose finestre delle quali sono dotati, disposti in funzione trasversale rispetto alla disposizione dei prosciutti che, quindi, sono continuamente tutti sollecitati dall’aerazione naturale.
Solo quando le condizioni climatiche ed ambientali esterne presentano irregolarità od anomalie rispetto ai normali andamenti stagionali, è ammesso l’uso di impianti di climatizzazione di tipo «domestico» tali comunque da impiegare l’aria esterna.
Il processo di stagionatura dura minimo dieci mesi, fermi i limiti minimi del ciclo completo di lavorazione descritti nel proseguo.
Nel corso della stagionatura, nelle carni si verificano i processi biochimici ed enzimatici che completano il processo di conservazione indotto dalle precedenti lavorazioni, determinando le priorità organolettiche caratteristiche grazie all’apporto dell’ambiente naturale esterno (poca umidità, ventilazione naturale che determinano l’aroma ed il gusto del prodotto).
Durante la stagionatura non avviene quindi alcun procedimento specifico di lavorazione, eccettuata la cosiddetta «sugnatura» (o «stuccatura»), operata una o due volte mediante rivestimento in superficie della porzione scoperta del prosciutto, con un impasto composto di sugna o strutto, sale, pepe e farina di riso, applicato finemente ed uniformemente mediante massaggio manuale.
Tale preparato e relativa applicazione hanno esclusivamente funzioni tecniche di ammorbidimento della superficie esterna non coperta dalla cotenna e di contemporanea protezione della stessa dagli agenti esterni, senza compromettere la prosecuzione dell’azione osmotica. Per tale ragione, la legislazione italiana non considera la sugna un ingrediente.
Il periodo minimo che comprende la durata del processo complessivo di lavorazione, dalla salagione alla ultimazione della stagionatura, si definisce come di seguito.
Ai fini del presente disciplinare il periodo minimo di lavorazione scade nel corso del quattordicesimo mese dalla salagione.
La valutazione del completamento del processo resta quindi collegata alle esigenze obiettive di lavorazione ed alle condizioni e caratteristiche proprie del prodotto. Quindi, le indicazioni del presente disciplinare hanno rilevanza di normazione per quanto attiene alla esecuzione dei controlli e delle verifiche qualitative, relative all’osservanza dei requisiti previsti dal disciplinare stesso e quindi per l’apposizione del contrassegno.
Infatti, ai fini del presente disciplinare il completamento del processo di produzione viene attestato dalla apposizione del contrassegno costitutivo o distintivo d’origine, indicato alla scheda B ed apposto nei modi descritti nella successiva scheda H.
scheda F
Legame con l’ambiente geografico
Premessa
Gli elementi riportati nella precedente scheda D a testimonianza della originarietà del «Prosciutto di Modena» e della relativa materia prima dalle aree geografiche rispettivamente delimitate consentono già di dimostrare ampiamente, attraverso l’excursus storico, lo stretto e profondo legame tra le produzioni agricole e la trasformazione del prodotto con le aree di riferimento, legame vieppiù rinsaldato e confermate dall’evoluzione dei fattori sociali, economici, produttivi e di esperienza umana consolidatasi e stratificatasi nel corso dei secoli. Per quanto riguarda l’area delimitata della provenienza della materia prima (animali vivi e carni) esistono fattori geografici, ambientali e di esperienza produttiva nell’allevamento assolutamente costanti e caratterizzanti.
Per quanto riguarda viceversa la più ristretta zona di trasformazione nella quale insistono tutti i prosciuttifici riconosciuti, i fattori ambientali, climatici, naturali ed umani costituiscono, nella loro irripetibile combinazione, un irriproducibile «unicum».
Evoluzione dell’allevamento del suino pesante nell’Italia centro-settentrionale Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari scavi, molti dei quali effettuati lungo le rive del Panaro, si deduce che l’allevamento di bovini, ovi-caprini e suini si è sviluppato nel Nord-Italia nel periodo neolitico. In particolare è emerso che grazie alla fertilità dei terreni e dalle ampie zone boscate ricche di animali, le popolazioni della valle del Panaro avevano trovato le condizioni favorevoli allo sviluppo ed alla pratica dell’allevamento del bestiame molto prima che in altre zone della stessa Regione Emilia-Romagna. Inizialmente però, come risulta dai reperti ossei ritrovati in quantità omogenea, il bestiame veniva allevato unicamente per soddisfare le necessità della famiglia o del villaggio. Solo in epoca etrusca viene praticato un tipo di allevamento stabile e specializzato, il cui obiettivo è la produzione di carne suina e bovina, lana, latte e suoi derivati, finalizzati non solo a soddisfare i fabbisogni locali ma anche all’esportazione. Particolare menzione meritano, a tal proposito, gli scavi del Forcello, un insediamento etrusco (V secolo a.C.) posto a sud di Mantova, sul terrazzo della sponda destra del Mincio, non molto lontano da Andes, località che diede i natali a Virgilio. In detta località furono trovati un numero notevolissimo di reperti e, tra essi, ben 50.000 resti di ossa animali, di cui il 60% appartenenti alla specie suina, segno evidente della predilezione degli etruschi per l’allevamento del maiale; seguendo in ordine di importanza gli ovini ed i bovini. Dallo studio delle ossa si potè dedurre che i maiali erano stati macellati in età adulta a due o tre anni ed inoltre che proporzionalmente mancavano molti arti posteriori; mancando gli arti posteriori si può dedurre che le cosce venissero consumate in momenti diversi dal resto del suino, previa differente tecnica di lavorazione e di conservazione. L’allevamento del maiale ha sempre costituito uno fra i più importanti rami dell’industria zootecnica italiana. Nel censimento del bestiame del 1908, sono indicati presenti in Italia 2.507.798 capi di cui 322.099 scrofe.
Nel 1926, secondo il Fotticchia, i capi allevati in Italia assommano a 2.750.000 di cui 1.400.000 in Italia settentrionale e 750.000 nell’Italia centrale. All’inizio del secolo, e fino alla Prima guerra mondiale, tre sono i sistemi di allevamento tradizionale praticati:
l’allevamento familiare, un tempo il più diffuso nella valle padana; esso si basa su un limitato numero di capi, generalmente ben curati, alimentati con residui di cucina e prodotti ortivi. Tali capi sono destinati all’autoconsumo ed in parte al rifornimento delle salumerie locali. Questo allevamento è andato riducendo via via la sua importanza con il diffondersi della specializzazione;
l’allevamento dello stato brado o semi-brado era preminente lungo l’Appennino ed i suoi contrafforti, nonché sulle Prealpi lombarde, venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed i boschi di quercia;
l’allevamento di tipo industriale primeggiava in Lombardia ed in Emilia già nel secolo scorso, perché collegato al caseificio per lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero e latticello), dell’industria molitaria (farinette, crusca e cruschello) e della brillatura del riso (pula di riso).
Il 1872 può essere indicato come l’anno in cui ebbe inizio in Italia la moderna suinicoltura. Infatti in quell’anno, per iniziativa del Ministero dell’agricoltura, che si avvalse dell’opera dell’Istituto sperimentale di zootecnica di Reggio Emilia, furono importati dall’Inghilterra in alcune province padane i primi riproduttori Yorkshire.
Le razze indigene
Esistevano in Italia molte razze indigene, che, con l’introduzione dello Yorkshire a seguito dei ripetuti incroci fatti nell’intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all’ingrasso, maggiore precocità e con scheletro più ridotto, finirono per vedere sminuite la loro importanza e la loro identità. Le razze più diffusamente allevate in Italia centro-settentrionale ed ancora presenti all’inizio della Prima guerra mondiale, divise per regioni, sono le seguenti:
Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour, a mantello nero, orecchie pendenti, maschera facciale bianca, allevata sulla riva destra del Po; la Garlasco che si allevava invece sulla riva sinistra; razza un pò più ridotto con pelle e setole color rosso-giallastro. Le caratteristiche di entrambe le razze erano la robustezza, la precocità e la buona abitudine al pascolo;
Lombardia: si allevava la razza Lombarda dal mantello nero rossiccio con varie macchie bianche, di grande mole, facile da ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso di 200-220 Kg;
Emilia: la razza Parmigiana era diffusa oltre che nel parmense anche nel piacentino ed in parte a Reggio Emilia. Essa era caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole nere, molto prolifica, alta, robusta, viveva al pascolo per la maggior parte dell’anno. Altra razza emiliana che occupava un’area assai più estesa della parmigiana (bolognese, modenese e parte del reggiano, del mantovano e del Veneto), di taglia ancor maggiore della precedente, era la Bolognese, a setole corte, rade, tra le quali traspariva la cute di color rosso-violaceo. Le sue carni, come riferisce il Marchi nel suo testo del 1914, «hanno costituito la fama degli zamponi di Modena, delle mortadelle, spalle e bondole di Bologna»;
Romagna: vi si allevava una razza mora, castagnina, diffusa in tutta la Romagna e detta appunto razza Romagnola. Lo Stanga (Suinicultura pratica, 1922) la considerava la sottorazza della Bolognese. Le caratteristiche che contraddistinguevano la razza romagnola erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm al garrese), il tronco cilindrico con linea dorso-lombare convessa e soprattutto la cosiddetta linea sparta, «costituita da robustissime irte e fitte setole che trovansi lungo la linea dorsale» (Ballardini);
Veneto: oltre alle razze Lombarda e Romagnola nel Veneto troviamo anche la razza Friulana, rustica, facile da ingrassare, sia al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite ma di mediocre fertilità;
Toscana: terra ricca di boschi e di leccio, quercia, castagno e cerro che costituivano l’ambiente ideale per il pascolo dei suini; si allevavano tre razze la Cinta, la Cappuccia e la Maremmana. Di esse la più importante era la Cinta senese, maiale lungo ed alto, con tronco cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso retratta. Altre caratteristiche di detta razza riguardano la testa molto lunga, le orecchie piccole portate in avanti, un mantello nero ardesia e setola sottile e folta con fascia bianca che, partendo dal garrese scende alle spalle e cinge tutto il torace estendendosi anche agli arti anteriori. La Cinta era prolifica e precoce. Il Dondi ne fa un’accurata descrizione e riferisce che «la carne è ottima e molto saporita e sono noti nel commercio i prodotti senesi di salumeria, in particolar modo salsicce, mortadelle e prosciutti, prodotti in notevoli quantità da stabilimenti locali che di preferenza attingono la materia prima dalla montagna senese». Il Mascheroni (Zootecnica Speciale, 1927) afferma che «questa razza è allevata ed ingrassata al bosco, sia durante la buona che la cattiva stagione e solo alla sera fa ritorno al porcile. L’alimentazione si basa sul pascolo di quercia e di leccio la cui produzione in ghianda è variabilissima, integrata con beveroni, farina di castagne, granoturco e crusca»;
Umbria: la popolazione suina umbra, genericamente chiamata Perugina variava parecchio dal monte al piano. In montagna prevalevano i suini «da macchia» a manto scuro e setole abbondanti, con testa lunga e orecchie pendenti; maiali nel complesso rustici e resistenti, che vivevano a branchi nei boschi. Vi erano poi i suini Perugini di collina e di pianura, molto simili alla razza Cappuccia della Toscana; erano caratterizzati da alta statura, da testa di media lunghezza con orecchie pendenti, da una linea dorso lombare convessa accompagnata da groppa spiovente e da cosce e natiche non molto muscolose. Il mantello era nero ardesia con setole poco abbondanti ed arti quasi sempre balzani. In collina ed in pianura, dove esistevano zone boschive, l’allevamento era semi-brado; se mancava il pascolo in genere prevaleva l’allevamento da riproduzione per la produzione di lattoni, riservando all’ingrasso solo qualche capo.
Dalle razze autoctone alla suinicoltura moderna La sostituzione delle popolazioni suine con razze selezionate più produttive, iniziata già alla fine del secolo scorso, fu, soprattutto nei primi decenni, molto lenta e graduale. Ciò non tanto per le difficoltà proprie del settore primario nell’acquisire ed introdurre le novità emergenti, ma per il fatto che pure molto lenta e graduale è stata l’evoluzione dei sistemi di allevamento. Finché brado e semi brado hanno rappresentato per molte regioni i sistemi più comuni e più economici per l’ingrasso del maiale, la rusticità, la resistenza, l’attitudine al pascolo e più in genere la capacità di procurarsi cibo hanno rappresentato condizioni prioritarie ed irrinunciabili; detti caratteri sono propri delle razze autoctone, affermatesi sul territorio per selezione naturale.
Nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali, anche a seguito della notevole espansione nella valle padana degli allevamenti da latte, andarono via via aumentando le richieste di lattoni e magroni da parte degli allevamenti collegati ai caseifici. Gli ingrassatori rivolgevano le loro preferenze ai maiali di grande taglia, sufficientemente rustici, dotati di elevata capacità di utilizzare il siero, i cruscami e le farine; caratteristiche che si riscontravano nei prodotti di incrocio delle razze locali con il verro Yorkshire Large White. Contemporaneamente, a causa del disboscamento era andato scomparendo il sistema brado e semi brado per l’ingrasso dei maiali, in Emilia-Romagna, in Toscana ed in Umbria si era affermato l’allevamento delle scrofe per la produzione dei suinetti, ricercati dagli ingrassatori della valle padana.
Questa suddivisione di compiti tra regioni diverse nell’allevamento del suino favorì ed accelerò il processo già iniziato di incrociare le popolazioni suine, e tra esse in primo luogo la Romangnola, la Cinta senese, la Perugina e la Cappuccia, razze rustiche e di buona taglia, con verri della più precoce e più selezionata razza Large White. Vi è da osservare a questo punto che, nonostante l’affermarsi degli allevamenti industriali, permane e si accentua, proprio in questo periodo, la pratica di ingrassare i maiali fino al peso di 160-180 Kg. ed oltre. Il motivo va ricercato nel fatto che la produzione del suino pesante trova concordi sia i suinicoltori che gli operatori industriali. L’industria richiedeva, come tuttora richiede, carcasse pesanti per disporre di carni mature, adatte a conferire ai prodotti lavorati e stagionati, primi fra tutti i prosciutti, quelle insuperabili caratteristiche organolettiche che hanno reso famosa nel mondo la salumeria italiana.
I caseifici dell’Emilia e della Bassa Lombardia, in grande maggioranza orientati alla produzione del formaggio «Grana» iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle bovine e lo svezzamento dei vitelli, e chiudevano a fine novembre, quanto le vacche andavano in asciutta. I suini, allevati per il consumo del siero e del latticello, venivano perciò acquistati verso il mese di marzo al peso di 35-45 Kg. (magroncelli) e venduti dopo la chiusura del caseificio, durante l’inverno, per la lavorazione delle carni, considerato che ancora non esistevano i frigoriferi. Durante i nove-dieci mesi di permanenza nelle porcilaie il suino raggiungeva il peso di 160-180 Kg. Il suino pesante pertanto soddisfaceva le esigenze del mercato e quelle del caseificio. Un solo ciclo annuale consentiva d’altra parte di meglio ammortizzare il costo della rimonta nonché di contenere le perdite per malattie e per mortalità, molto più frequenti nel periodo di ambientamento. Una critica che viene fatta a questo sistema riguarda l’alto consumo di alimenti necessari nell’ultima fase dell’ingrasso, per produrre un chilo di incremento.
Bisogna tuttavia tener presente che, in detta fase, più di un terzo del valore nutritivo della dieta era fornito dal siero fresco, disponibile in abbondanza. La produzione di incroci utilizzando verri Large White e scrofe di razze locali continuò per alcuni anni anche dopo l’ultima guerra mondiale. Già da tempo però le razze autoctone, a seguito di ripetuti incroci, al fine di ottenere animali più adatti al caseificio, avevano finito per perdere la loro importanza fin ad essere costituite da una popolazione avente le caratteristiche proprie del Large White.
Soggetti «fumati» (Large White per Romangola) provenienti dal mercato di Cesena e soggetti «grigi» o «tramacchiati» provenienti dalla Toscana (Large White per Cinta) erano presenti in qualche porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi degli anni ’50. In questo periodo in conseguenza delle più approfondite conoscenze in fatto di alimentazione e dello sviluppo dell’industria mangimistica, incominciarono ad affermarsi allevamenti specializzati in suini non collegati a caseifici. A seguito di questi nuovi indirizzi la popolazione suina subisce in Italia, e soprattutto nel Nord, un sensibile aumento. Contro una consistenza media, nel quinquennio 1951-1955, da 3.320.000 capi si passa nel 1962 a 4.800.000 unità.
Incrementata la produzione lattiera, si potenziano i caseifici e si estende l’ingrasso suino; però all’aumento dei capi concorrono pure gli allevamenti specializzati, per lo più senza terra, non collegati ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da attività extra agricole, dediti di preferenza alla riproduzione piuttosto che all’ingrasso. Si diffusero gli allevamenti iscritti ai libri genealogici, che con l’aiuto dei centri di controllo genetico istituiti dal Ministero dell’agricoltura (1960), si diede inizio ad un serio programma di selezione delle razze Large White e Landrace.
Si gettarono pertanto le basi di una moderna suinicoltura avendo sempre come riguardo la produzione di un suino pesante dotato dei requisiti richiesti dell’industria di trasformazione in continua e rapida espansione. Dal 1960 al 1970 furono molte ed importanti le tecnologie innovative introdotte negli allevamenti, specie in quelli da riproduzione. Da allevamenti agricoli, suddivisi in gruppi costituiti da poche unità, condizione irrinunciabile per combattere le pericolose malattie neonatali, si passò, nel giro di pochi anni, alla concentrazione di centinaia di fattrici in allevamenti industriali completamente automatizzati.
Dette innovazioni, che consentirono la produzione di suinetti anche negli allevamenti intensivi della valle padana, modificarono gli equilibri, durati per molti decenni, tra le regioni del Nord, prevalentemente dedite all’ingrasso e quelle del Centro, specializzate nella riproduzione. Mentre nel Nord la suinicoltura trovò motivo per ulteriore rafforzamento ed espansione, la Romagna e le regioni dell’Italia centrale si avviarono ad una ristrutturazione dell’intero settore suinicolo. La consistenza della popolazione suina italiana passa dai 4.800.000 capi nel 1962 ai 9.014.600 nel 1981, con un incremento medio annuo del 4,4%. Negli anni immediatamente successivi, e più precisamente fino al 1987, si assiste ad un ulteriore incremento dei capi suini, ma con un ritmo di crescita molto più modesto rispetto al decennio precedente. Però anche a seguito della necessità di ristrutturazione sopra evidenziata, l’espansione risulta meno accentuata nelle regioni del Centro Italia.
Negli ultimi anni peraltro l’emanazione in alcune regioni del Nord di normative locali di tipo ambientalistico, tali da rendere più problematico il mantenimento delle attuali strutture, e, ancora di più, il reperimento di aree idonee per nuovi allevamenti, ha creato i presupposti per un potenziamento dell’allevamento anche nelle zone omogenee delle regioni dell’Italia centrale dove comunque, come dianzi richiamato, la tradizione contadina dì una produzione di un suino pesante è ugualmente antichissima.
Premessa
Vi è peraltro un ulteriore elemento, attuale, scientificamente provato, normato a livello comunitario – che comprova il legame esistente tra la materia prima e la zona geografica in funzione di un insieme di requisiti specifici e vocazionali.
Infatti se è vero che la caratterizzazione produttiva di natura zootecnica è strettamente funzionale ai requisiti del prodotto a denominazione di origine, tanto da assumere tratti distintivi esclusivi e peculiari con riferimento all’area geografica, è altrettanto vero che il riconoscimento di questa peculiarità – che definisce legame di cui si discute – interviene a conferma di quanto fin qui sostenuto. Il tratto distintivo che collega territorio, produzione agricola e trasformazione del prodotto a denominazione di origine «Prosciutto di Modena» è indiscutibilmente sintetizzato nel concetto di «suino pesante» più volte specificato nella precedente scheda D, nella stessa legislazione nazionale di protezione e sempre richiamato, nella forma e nella sostanza, dal presente disciplinare, con particolare riferimento alle prescrizioni produttive di cui alla precedente scheda C. È quindi assolutamente pertinente sottolineare che questo particolare indirizzo produttivo della suinicoltura delle aree delimitate, insieme alla definizione di suino pesante è stata riconosciuto formalmente a livello comunitario attraverso la legislazione concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il regolamento (CEE) n. 3220 del 13 novembre 1984 costituisce l’ultimo aggiornamento introdotto dalla Commissione sulla materia. Entrato in vigore a partire dal primo gennaio 1989 tale dispositivo introduce metodi di misura oggettivi per la valutazione della percentuale di carne magra contenuta nelle carcasse, suddividendola in cinque classi commerciali con le lettere della sigla EUROP e la possibilità di introdurre una classe speciale denominata «S». In sede di applicazione del regolamento in questione, unicamente all’Italia è stata riconosciuta la presenza sul territorio di due popolazioni suine:
a) una di «suino leggero» macellato a pesi conformi alle medie europee;
b) l’altra di «suino pesante» macellato a pesi di 150-160 Kg, le cui carni sono destinate alla trasformazione.
Conseguentemente, con decisione della Commissione del 21 dicembre 1988, si è autorizzata la distinzione delle carcasse in «leggero» (peso morto < a 120 Kg) e «pesanti» (peso morto > a 120 Kg), con la derivante applicazione di due formule nettamente diverse nella valutazione commerciale.
Sul piano attuativo nazionale, poi, è noto che il competente dicastero ha elaborato un piano per dare attuazione all’art. 3 comma 4, del citato regolamento (CEE) 3220/84, per la messa a punto di criteri di valutazione della qualità della carne che possano essere associati a quelli della qualità del magro. Interpretare lo sdoppiamento della popolazione suinicola nazionale normato in sede comunitaria, come un riconoscimento dell’esistenza di requisiti diversificati che, con totale sovrapposizione, si identificano con quelli previsti dal presente disciplinare, comporta l’identificazione della categoria «suino pesante» con quella insistente nell’area delimitata e ad essa legata da precise motivazioni storiche, economiche e sociali. Ne consegue che il riconoscimento della presenza di due popolazioni così profondamente diverse sullo stesso territorio nazionale, costituisce una formale anticipazione del riconoscimento del legame che salda entrambe ai rispettivi contesti geo-economici.
In sintesi quanto sopra esposto sta a significare che:
la materia prima utilizzabile per la produzione di «Prosciutto di Modena» è tratta unicamente dal cosiddetto suino pesante;
la Comunità ha riconosciuto attraverso la decisione del 21 dicembre 1988 l’esistenza in Italia e solo in Italia di due popolazioni suinicole, una delle quali «leggera» e conforme alle medie europee, l’altra «pesante» conforme alle esigenze dell’industria salumiera, tradizionali e storicamente affermate e documentate;
il suddetto riconoscimento ha indotto ad autorizzare la definizione di due categorie di carcasse con la conseguente applicazione di formule nettamente diversificate nella loro valutazione commerciale;
la normazione dello sdoppiamento della popolazione suinicola nazionale riconosce l’esistenza di requisiti peculiari che, non casualmente, si sovrappongono con quelli previsti dalle prescrizioni contenute nel presente disciplinare, e che, ancora senza casualità, identificano la categoria del «suino pesante» insistente, come ampiamente documentato, nell’area delimitata in quanto ad essa legata da precise motivazioni storiche, sociali e produttive;
il riconoscimento comunitario costituisce pertanto un sostanziale riconoscimento del legame al contesto geografico di riferimento.
Zona tipica di produzione
Come già riportato nella scheda C, la zona tipica di produzione del «Prosciutto di Modena» corrisponde alla particolare zona collinare insistente sul bacino idrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti, e che, partendo dalla fascia pedemontana, non supera i 900 metri di altitudine, comprendendo i territori dei seguenti comuni:
Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola, Marano, Guiglia, Zocca, Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno, Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio Montano, Monte San Pietro, Sasso Marconi, Castel d’Aiano, Zola Predosa, Bibbiano, San Polo d’Enza, Quattro Castella, Canossa (già Ciano d’Enza), Viano, Castelnuovo Monti, Valsamoggia, limitatamente ai territori già dei Comuni di Monteveglio, Savigno, Castello di Serravalle e Bazzano.
Tale zona è favorita da eccezionali condizioni ecologiche, climatiche e ambientali. In particolare le condizioni micro-climatiche presenti nella zona di produzione (clima prevalentemente asciutto e leggermente ventilato) sono strettamente connesse alla conformazione del territorio di produzione, tipico della zona pedemontana dell’Appennino Tosco-Emiliano. Per sfruttare al meglio le costanti brezze che insistono nella zona gli stabilimenti di produzione sono orientati trasversalmente al flusso dell’aria e sono dotati di grandi e numerose finestre, affinché l’areazione possa dare il suo decisivo contributo ai processi enzimatici e di trasformazione biochimica del prodotto che caratterizza il «Prosciutto di Modena».
Tali trasformazioni biochimiche che si verificano durante la fase della stagionatura, seguono un loro preciso andamento proprio grazie alle condizioni ecologiche che esistono nella zona di produzione sopra descritta.
La riprova di quanto detto si ha immediatamente confrontando il «Prosciutto di Modena» con altri prodotti sottoposti ad artificiosi trattamenti allo scopo di conferire ad essi l’aspetto di una regolare maturazione. In realtà si tratta di prodotti i quali, sia per l’effetto dell’alto tenore di sale, sia in seguito all’esposizione in ambienti necessariamente condizionati in assenza delle ideali condizioni naturali, si prosciugano in breve tempo e, in particolare, assumono esteriormente l’aspetto del prosciutto che ha subito un razionale e naturale processo di stagionatura, senza però averne né il profumo né la fragranza né la dolcezza caratteristica.
La zona a «monte» della zona tipica di produzione del «Prosciutto di Modena» è caratterizzata dall’assoluta mancanza di insediamenti produttivi che possano in qualsiasi modo determinare fenomeni di inquinamento ambientale.
L’insediamento dei prosciuttifici nella zona tipica di produzione non è stato casuale e nemmeno conseguente a disposizioni di legge ma piuttosto l’espressione dello stretto rapporto che si instaura fra il sistema di produzione e l’ambiente geografico: il prosciutto necessita di un ambiente assolutamente salubre e al tempo stesso i suoi sistemi di produzione non alterano tali caratteristiche di salubrità.
L’attuale quadro normativo nazionale, che costituisce parte integrante del presente disciplinare, in via formale e sostanziale, altro non rappresenta che il consolidamento e conseguente codificazione del percorso che i fattori umani e produttivi hanno storicamente compiuto, in contesti geografici ed ambientali particolari, nell’ambito delle aree rispettivamente vocate ai fini della produzione della materia prima destinata ad approvvigionare la lavorazione del «Prosciutto di Modena» e della trasformazione del «Prosciutto di Modena» stesso, aree rigorosamente identificate e delimitate.
G
Prova dell’origine
Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, degli allevatori, macellatori, sezionatori e dei produttori nonché attraverso la dichiarazione tempestiva all’organismo di controllo delle quantità prodotte è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.
H
Elementi specifici dell’etichettatura connessi alla dicitura DOP e diciture tradizionali nazionali equivalenti
Il contrassegno, apposto dal produttore sotto la diretta sorveglianza e responsabilità dell’organismo di controllo, è il solo elemento che comprova la rispondenza del prodotto alla disciplina giuridica di produzione.
Inoltre, il presente disciplinare prevede l’apposizione – preliminare rispetto all’apposizione del contrassegno – di tutta una serie di tatuaggi, timbri e sigilli, non meno di tre e non più di quattro – tatuaggio di origine, timbro identificativo del macello, sigillo a fuoco di inizio lavorazione – e di altri dispositivi di identificazione in loro sostituzione o associazione, il cui riscontro è funzionale ed indispensabile per attestare la rispondenza del prodotto – anche in corso di lavorazione – ai requisiti ed agli adempimenti che risultano obbligatori per i diversi soggetti produttivi, interagenti nel sistema di filiera che forma «il circuito della produzione tutelata».
Il «Prosciutto di Modena» è permanentemente identificato dal contrassegno apposto sulla cotenna.
Per ottenere il contrassegno di cui al punto precedente e, comunque, anche dopo la relativa apposizione, il prosciutto di Modena deve recare inoltre anche i seguenti timbri e/o sigilli:
a) timbro indelebile apposto dall’allevatore entro il ventottesimo giorno dalla nascita e/o dispositivo di identificazione in associazione o in sostituzione di cui alla scheda C;
b) timbro identificativo indelebile impresso a fuoco apposto dal macellatore e/o dispositivo di identificazione in associazione o in sostituzione di cui alla scheda C;
c) sigillo a fuoco apposto dal produttore prima della salagione, riproducente il mese e l’anno d’inizio della lavorazione e/o dispositivo di identificazione in associazione o in sostituzione di cui alla scheda E.
Il contrassegno comprende come parte integrante il numero di codice di identificazione del produttore.
Il contrassegno, i timbri, i sigilli e i dispositivi di identificazione in sostituzione o in associazione a timbri e sigilli sono apposti con le modalità previste dal presente disciplinare.
Il contrassegno, il timbro, il sigillo e i dispositivi di identificazione in sostituzione o in associazione a timbri e sigilli sono approvati, anche ai fini del presente disciplinare, dall’organismo di controllo.
Inoltre ai fini del presente disciplinare:
l’etichettatura del «Prosciutto di Modena» intero con osso reca le seguenti indicazioni obbligatorie:
«Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione di origine protetta» o dall’abbreviazione «DOP» e accompagnata dal simbolo DOP dell’Unione europea, collocati nel campo visivo principale dell’etichetta frontale così da distinguersi sempre dalle rimanenti indicazioni;
l’indicazione degli ingredienti: carne di suino/carne suina/coscia suina/coscia di suino e sale;
il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del prosciuttificio iscritto al sistema di controllo che commercializza il «Prosciutto di Modena» DOP;
la sede dello stabilimento di produzione;
l’etichettatura del «Prosciutto di Modena» disossato intero, oppure presentato in tranci reca le seguenti indicazioni obbligatorie:
«Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione di origine protetta» o dall’abbreviazione «DOP» e accompagnata dal simbolo DOP dell’Unione europea, collocati nel campo visivo principale dell’etichetta frontale così da distinguersi sempre dalle rimanenti indicazioni;
l’indicazione degli ingredienti: carne di suino/carne suina/coscia suina/coscia di suino e sale;
il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del prosciuttificio produttore o del prosciuttificio iscritto al sistema di controllo che commercializza il «Prosciutto di Modena» DOP;
la sede dello stabilimento di confezionamento;
la data di produzione (inizio della lavorazione), qualora il sigillo a fuoco non risulti più visibile o il dispositivo di identificazione in sostituzione del sigillo a fuoco non sia più presente;
la data di produzione (inizio della lavorazione), qualora il sigillo a fuoco non risulti più visibile o il dispositivo di identificazione in sostituzione del sigillo a fuoco non sia più presente;
la quantità netta;
il termine minimo di conservazione;
la dicitura di identificazione del lotto.
Agli effetti del presente disciplinare valgono inoltre tutte le seguenti regole relative alla etichettatura del «Prosciutto di Modena»:
è vietata l’utilizzazione di qualificativi come «classico», «autentico», «extra», «super» e di altre qualificazioni, menzioni ed attribuzioni abbinate alla denominazione di origine, ad esclusione di «disossato», nonché di altre indicazioni non specificamente qui previste, fatte salve le esigenze di adeguamento ad altre prescrizioni di legge;
i medesimi divieti valgono anche per la pubblicità e la promozione del «Prosciutto di Modena», in qualsiasi forma o contesto.
Qualora il «Prosciutto di Modena» venga utilizzato quale ingrediente di un altro prodotto alimentare deve essere menzionato secondo la normativa vigente al momento.
Il Consorzio di tutela riconosciuto è il proprietario delle matrici e degli strumenti per l’apposizione del contrassegno che vengono affidati all’organismo di controllo per il loro utilizzo.
Il Consorzio di tutela riconosciuto può utilizzare il contrassegno come proprio segno distintivo e autorizzarne l’uso per iniziative volte alla protezione e valorizzazione del «Prosciutto di Modena».
Allegato B
DOCUMENTO UNICO
«Prosciutto di Modena»
n. UE: PDO-IT-0066
DOP (X) IGP ( )
1. Denominazione
«Prosciutto di Modena»
2. Stato membro o Paese terzo
Italia
3. Descrizione del prodotto agricolo o alimentare
3.1. Tipo di prodotto
Classe 1.2 Prodotti a base di carne (riscaldati, salati, affumicati, ecc)
3.2. Descrizione del prodotto a cui si applica la denominazione di cui al punto 1
Prosciutto crudo stagionato a denominazione di origine protetta. Forma esteriore a pera, con esclusione del piedino ottenuta con la eliminazione dell’eccesso di grasso mediante rifilatura e asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura. Colore rosso vivo del taglio. Sapore sapido ma non salato. Aroma di profumo gradevole, dolce ma intenso anche nelle prove dell’ago. Caratterizzato dalla rispondenza a precisi parametri analitici: umidità compresa tra 57% e 63,5%; cloruro di sodio compreso tra 4,3% e 6,3%; indice di proteolisi compreso tra 25% e 32%. Il peso del prosciutto intero non è inferiore a chilogrammi 8 né superiore a chilogrammi 12,5.
3.3. Alimenti (solo per i prodotti di origine animale) e materie prime (solo per i prodotti trasformati)
Le materie prime per i suini provengono dalla zona geografica di allevamento e presentano caratteristiche qualitative idonee per una sana e corretta alimentazione dei suini. Tuttavia, in certe annate potrebbe non essere tecnicamente possibile ottenere il 100% delle materie prime per i suini a livello locale per motivi climatici e commerciali. In queste casistiche, nel rispetto dell’art. 47, paragrafo 2 del regolamento (UE) 2024/1143, a garanzia del legame con il territorio e della qualità del «Prosciutto di Modena», è assicurato che almeno il 50% della sostanza secca delle materie prime per i suini, su base annuale, proviene dalla zona geografica di allevamento (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio). Gli alimenti possono essere presentati sia in forma liquida che in forma secca.
Nella fase di svezzamento, l’alimentazione è costituita dalle materie prime ammesse dalla normativa dell’UE concernente l’alimentazione animale. È ammessa l’integrazione vitaminica, minerale e amminoacidica dell’alimentazione e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente.
Nella fase di magronaggio sono consentite le seguenti materie prime: farina glutinata di granturco e/o corn gluten feed, granturco, sorgo, orzo, frumento, triticale, silomais, pastone integrale di spiga di granturco, pastone di granella e/o pannocchia di granturco, cereali minori, cruscami e altri sottoprodotti della lavorazione del frumento, panello di lino, mangimi di panello di semi di lino, farina di semi di lino, mangimi di farina di semi di lino, polpe secche esauste di bietola, residui della spremitura della frutta e residui della spremitura del pomodoro, quali supporto delle premiscele, siero di latte, latticello, trebbie e solubili di distilleria essiccati, erba medica essiccata ad alta temperatura, melasso, prodotti ottenuti per estrazione dai semi di soia, prodotti ottenuti per estrazione dai semi di girasole, prodotti ottenuti per estrazione dai semi di colza, farina di germe di granturco, pisello, altri semi di leguminose, lieviti, lipidi con punto di fusione superiore a 36° C, farina di pesce, soia integrale tostata e/o panello di soia. L’alimentazione nella fase di magronaggio deve, inoltre, tener conto delle seguenti specifiche: sono ammessi l’utilizzo di minerali, l’integrazione con vitamine e l’impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente dell’Unione europea; la presenza di sostanza secca da cereali non deve essere inferiore al 45% di quella totale.
Nella fase di ingrasso devono essere rispettate tutte le specifiche previste per la fase di magronaggio, con le seguenti eccezioni: la presenza di sostanza secca da cereali non deve essere inferiore al 55% di quella totale; sono escluse le materie prime soia integrale tostata e/o panello di soia e farina di pesce.
Derivato da cosce suine fresche di animali nati, allevati e macellati in dieci regioni del territorio nazionale (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio).
Per la produzione del «Prosciutto di Modena» la materia prima deve provenire da suini figli di:
a) verri delle razze tradizionali Large White italiana, Landrace italiana e Duroc italiana, così come migliorate dal Libro genealogico italiano, in purezza o tra loro incrociate, e scrofe delle razze tradizionali Large White italiana e Landrace italiana, in purezza o tra loro incrociate;
b) verri delle razze tradizionali di cui alla lettera a) e scrofe meticce o di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
c) verri e scrofe di altri tipi genetici purché questi provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large White, Landrace e Duroc attuati con finalità compatibili con quelle del Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante;
d) verri degli altri tipi genetici di cui alla lettera c) e scrofe delle razze tradizionali di cui alla lettera a).
Non possono essere utilizzate cosce suine fresche provenienti da:
verri e scrofe;
suini figli di verri e scrofe diversi da quelli elencati in a), b), c) e d);
suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS – Porcine Stress Sindrome).
Le cosce fresche utilizzate per la produzione di «Prosciutto di Modena» devono provenire solo da carcasse classificate H Heavy, con peso della carcassa compreso fra 110,1 kg e 168,0 kg, appartenenti alle classi «U», «R», «O» della tabella dell’Unione europea per la classificazione delle carcasse suine.
3.4. Fasi specifiche della produzione che devono aver luogo nella zona geografica delimitata
Le fasi di produzione e stagionatura del «Prosciutto di Modena» devono essere effettuate nell’ambito del territorio di produzione così come delimitato al punto 4, al fine di garantire la tracciabilità e il controllo.
3.5. Norme specifiche in materia di affettatura, grattugiatura, confezionamento ecc. del prodotto cui si riferisce la denominazione registrata
3.6. Norme specifiche relative all’etichettatura Il «Prosciutto di Modena» è permanentemente identificato dal contrassegno apposto sulla cotenna dall’organismo di controllo.
L’etichettatura del «Prosciutto di Modena» intero con osso prevede:
l’indicazione «Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione di origine protetta» o dall’abbreviazione «DOP» e accompagnata dal simbolo DOP dell’Unione europea, collocati nel campo visivo principale dell’etichetta frontale così da distinguersi sempre dalle rimanenti indicazioni;
l’indicazione degli ingredienti: carne di suino/carne suina/coscia suina/coscia di suino e sale;
il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del prosciuttificio iscritto al sistema di controllo che commercializza il «Prosciutto di Modena» DOP.
Per il «Prosciutto di Modena» disossato intero, oppure presentato in tranci l’etichettatura deve prevedere anche la data di produzione riferita alla data di inizio della lavorazione della coscia qualora il sigillo a fuoco non sia più visibile o il dispositivo identificativo in sostituzione del sigillo a fuoco non sia più presente.
È vietata l’utilizzazione di qualificativi come «classico», «autentico», «extra», «super» e di altre qualificazioni, menzioni ed attribuzioni abbinate alla denominazione di origine, ad esclusione di «disossato», nonché di altre indicazioni non specificamente previste, fatte salve le esigenze di adeguamento ad altre prescrizioni di legge; i medesimi divieti valgono anche per la pubblicità e la promozione del prosciutto di Modena, in qualsiasi forma o contesto.
4. Delimitazione concisa della zona geografica
La lavorazione del «Prosciutto di Modena» avviene esclusivamente nella particolare zona collinare circostante il bacino oroidrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti, fino ad un’altitudine massima di 900 metri comprendendo i territori dei seguenti comuni: Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola, Marano, Guiglia, Zocca, Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno, Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio Montano, Monte San Pietro, Sasso Marconi, Castel d’Aiano, Zola Predosa, Bibbiano, San Polo d’Enza, Quattro Castella, Canossa (già Ciano d’Enza), Viano, Castelnuovo Monti, Valsamoggia, limitatamente ai territori già dei Comuni di Monteveglio, Savigno, Castello di Serravalle e Bazzano.
L’allevamento e la macellazione avvengono solo nella zona delimitata dal territorio delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio.
5. Legame con la zona geografica
5.1. Specificità della zona geografica
Nella micro-zona collinare circostante il bacino oroidrografico del Panaro si ritrova una di queste pochissime zone «vocate», in funzione della sua collocazione a ridosso dell’Appennino Tosco-Emiliano che gode dell’ottimale microclima del prosciutto: la zona pedemontana, così come conformata e caratterizzata da una tipica flora, e «l’effetto drenaggio» determinato dallo scorrimento del fiume Panaro e dai torrenti suoi affluenti, creano l’ideale clima prevalentemente asciutto e leggermente ventilato. La delimitazione della zona di produzione in corrispondenza di un determinato ambiente geografico, non casuale né conseguente a disposizioni di legge, rafforza lo stesso rapporto instauratosi nel tempo fra sistema della produzione ed ambiente geografico: la stagionatura del prosciutto necessita di un ambiente assolutamente salubre e al tempo stesso i suoi sistemi di produzione non alterano tali caratteristiche di salubrità.
5.2. Specificità del prodotto
Oltre alle peculiarità già citate nella descrizione del prodotto le specificità del «Prosciutto di Modena» sono le seguenti:
maggiore scopertura in corona che consente una penetrazione più veloce del sale tale da conferire al prodotto un sapore caratteristico;
percentuale di umidità compresa tra 57% e il 63,5%;
percentuale di sale compresa tra il 4,3% e il 6,3%;
indice di proteolisi compreso tra 25% e il 32%.
Quest’ultima specificità rende il prodotto particolarmente adatto nelle diete a sfondo iperproteico, pur essendo estremamente digeribile; inoltre il «Prosciutto di Modena» per il suo contenuto minerale e vitaminico, ed il suo limitato contenuto di colesterolo è un alimento ideale nelle diete ipolipidiche se viene asportato il grasso, se considerato in toto rappresenta un alimento più che bilanciato nell’apporto di grassi e proteine.
5.3. Legame causale fra la zona geografica e la qualità o le caratteristiche del prodotto (per DOP) o una qualità specifica, la reputazione o altre caratteristiche del prodotto (per le IGP)
I requisiti produttivi funzionali alla caratterizzazione e, quindi, al conseguimento della denominazione di origine sono tutti strettamente dipendenti dalle condizioni ambientali e dai fattori naturali ed umani, infatti: la caratterizzazione della materia prima è assolutamente peculiare della macro-zona geografica delimitata, per effetto dell’evoluzione storica ed economica seguita dalla vocazione agricola di base. La produzione del «Prosciutto di Modena» trae origine e giustificazione dagli effetti di tale vocazione agricola nel quadro delle condizioni geomorfologiche e microclimatiche della micro-zona delimitata. Questo quadro di condizioni peculiari ha definito un processo di unificazione tra le caratteristiche della materia prima, i sistemi di lavorazione del prodotto e l’affermazione della denominazione che è profondamente collegata con l’evoluzione socio-economica specifica dell’area geografica, che ne ha determinato connotazioni irriproducibili, poiché: nella macro-zona delimitata, l’evoluzione delle razze indigene ed autoctone, registrata in Italia centro-settentrionale fin dall’epoca etrusca, è avvenuta sulla linea delle colture cerealicole e della trasformazione del latte che hanno caratterizzato i sistemi di alimentazione dei suini. Tale orientamento ha determinato una caratterizzazione delle materie prime ed una vocazione produttiva ben precise, con l’affermazione dell’allevamento di suini pesanti, macellati in età avanzata. Questi indirizzi avevano trovato nel prosciutto stagionato un progressivo e naturale obiettivo produttivo, fin da epoca remota concentrato in zone collocate in poche aree vocate in funzione di autonome condizioni ambientali che, enfatizzate dal fattore umano, sono divenute via via specialistiche.
La storia del prodotto è antichissima ed è documentata nella sua zona d’origine, fin dall’epoca del bronzo, periodo nel quale si è consolidata la pratica dell’allevamento di animali domestici ed è stato scoperto l’utilizzo del sale (cloruro di sodio); in termini storico-economici, la pratica di conservare le carni con il sale, si è affermata con l’avvento dei celti e successivamente affinata in epoca romana.
Del pari, l’origine del prodotto è storicamente documentata anche in relazione alla zona d’origine della relativa materia fin dall’epoca preindustriale, essendo esso il frutto di una straordinaria evoluzione di una tipica cultura rurale comune a tutta la regione della «Padania», che ha trovato nella zona collinare circostante il bacino oroidrografico del Panaro (zona pedemontana dell’Appenino tosco-emiliano) una collocazione «topica», in funzione delle peculiari condizioni climatiche ambientali.
Riferimento alla pubblicazione del disciplinare
Questa amministrazione ha attivato la procedura nazionale di opposizione, pubblicando la proposta di modifica del disciplinare di produzione della DOP «Prosciutto di Modena» nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 161 dell’11 luglio 2024.