CORTE GIUSTIZIA UNIONE EUROPEA, sez. IV, 11 gennaio 2024, n.361
L’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che: esso riguarda un uso del marchio di impresa nel commercio da parte di un terzo per identificare, conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, o per farvi riferimento, unicamente quando un simile uso del marchio sia necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo.
Nella causa C-361/22,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunal Supremo (Corte Suprema, Spagna), con decisione del 12 maggio 2022, pervenuta in cancelleria il 3 giugno 2022, nel procedimento
Industria de Diseño Textil SA (Inditex)
contro
Buongiorno Myalert SA,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, O. Spineanu-Matei (relatrice), J.-C. Bonichot, S. Rodin e L.S. Rossi, giudici,
avvocato generale: M. Szpunar
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Industria de Diseño Textil SA (Inditex), da F. Arroyo Álvarez de Toledo e R. Bercovitz Álvarez, abogados;
– per la Buongiorno Myalert SA, da J.J. Marín López, abogado e A. Vázquez Pastor, procuradora;
– per il governo spagnolo, da I. Herranz Elizalde, in qualità di agente;
– per la Commissione europea, da P. Nemecková e J. Samnadda, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 settembre 2023,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’Industria de Diseño Textil SA (Inditex) e la Buongiorno Myalert SA (in prosieguo: la «Buongiorno»), in merito a un’asserita violazione di diritti conferiti da un marchio nazionale di cui la Inditex è titolare, a causa dell’asserito uso, da parte della Buongiorno, di un segno identico a tale marchio, senza il consenso della Inditex.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Prima direttiva 89/104
3 L’articolo 5 della prima direttiva 89/104, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», ai paragrafi 1 e 2 così enunciava:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».
4 L’articolo 6 della prima direttiva 89/104, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», al paragrafo 1 disponeva quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
(…)
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».
5 La prima direttiva 89/104 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25, L 11, pag. 86), entrata in vigore il 28 novembre 2008.
Direttiva 2008/95
6 L’articolo 5 della direttiva 2008/95, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», ai paragrafi 1 e 2 così prevedeva:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Ciascuno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».
7 L’articolo 6 della direttiva 2008/95, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», al paragrafo 1 disponeva quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
(…)
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».
8 La direttiva 2008/95 è stata abrogata e sostituita, a decorrere dal 15 gennaio 2019, dalla direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1).
Direttiva 2015/2436
9 L’articolo 14 della direttiva 2015/2436, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio d’impresa», ai paragrafi 1 e 2 enuncia quanto segue:
«1. Il diritto conferito da un marchio d’impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
(…)
c) del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso del marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.
2. Il paragrafo 1 si applica solo se l’uso fatto dal terzo è conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale».
Diritto spagnolo
10 Nella versione che traspone l’articolo 5 della prima direttiva 89/104, l’articolo 34 della Ley 17/2001 de Marcas (legge 17/2001 sui marchi), del 7 dicembre 2001 (BOE n. 294, dell’8 dicembre 2001, pag. 45579; in prosieguo: la «legge sui marchi»), così disponeva:
«1. La registrazione di un marchio d’impresa conferisce al titolare il diritto esclusivo di usarlo nel commercio.
2. Il titolare del marchio d’impresa registrato ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio d’impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio d’impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi, dia adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comporta anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d’impresa;
c) un segno identico o simile per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali il marchio d’impresa è stato registrato, se tale marchio è notorio o gode di elevata rinomanza in Spagna e l’uso senza motivo legittimo del segno può indicare un nesso fra detti prodotti o servizi e il titolare del marchio o, in generale, se tale uso trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà o elevata rinomanza del marchio registrato oppure arreca loro pregiudizio».
11 Nella sua versione iniziale, l’articolo 37, paragrafo 1, lettera c), della legge sui marchi ha trasposto nel diritto spagnolo l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 ed enunciava quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso, nel commercio, dei seguenti elementi, purché tale uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale:
(…)
c) del marchio d’impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio».
12 L’articolo 37 della legge sui marchi è stato modificato dal Real Decreto-ley 23/2018 de transposición de directivas en materia de marcas, transporte ferroviario y viajes combinados y servicios de viaje vinculados (regio decreto-legge 23/2018 che traspone direttive in materia di marchi, trasporto ferroviario e viaggi tutto compreso e servizi di viaggio connessi), del 21 dicembre 2018 (BOE n. 312, del 27 dicembre 2001, pag. 127305), al fine di trasporre l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436.
13 Nella sua versione modificata, l’articolo 37, paragrafi 1 e 2, della legge sui marchi dispone quanto segue:
«1. Il diritto conferito da un marchio d’impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
(…)
c) del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso del marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.
2. Il paragrafo 1 si applica solo se l’uso fatto dal terzo è conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
14 La Buongiorno è un fornitore di servizi di informazione attraverso Internet e le reti di telefonia mobile. Nel corso del 2010 tale fornitore ha lanciato una campagna pubblicitaria per un abbonamento a pagamento a un servizio di invio di contenuti multimediali tramite SMS, commercializzato con il nome di «Club Blinko». L’abbonamento a tale servizio consentiva la partecipazione a un’estrazione a sorte, di cui uno dei premi consisteva in un «buono regalo ZARA» del valore di EUR 1 000. Dopo avere cliccato su un banner per accedere all’estrazione a sorte, l’abbonato vedeva apparire nella schermata successiva il segno «ZARA» incorniciato in un rettangolo, che evocava il formato dei buoni regalo.
15 La Inditex ha proposto dinanzi allo Juzgado de lo Mercantil n. 2 de Madrid (Tribunale di commercio n. 2 di Madrid, Spagna) un’azione per contraffazione nei confronti della Buongiorno, per violazione dei diritti esclusivi conferiti da un marchio nazionale che tutela il segno «ZARA» (in prosieguo: il «marchio ZARA»). A sostegno di tale azione, fondata sull’articolo 34, paragrafo 2, lettere b) e c), della legge sui marchi, la Inditex ha dedotto motivi basati, rispettivamente, sull’esistenza di un rischio di confusione e sul vantaggio derivante dalla notorietà del marchio nonché sul pregiudizio arrecato a tale notorietà.
16 La Buongiorno ha negato l’esistenza di una violazione di diritti conferiti dal marchio ZARA sostenendo di avere fatto un uso occasionale di tale segno, non in quanto marchio, ma per indicare in cosa consistesse uno dei premi offerti ai vincitori dell’estrazione a sorte. Secondo la Buongiorno, un simile uso, «referenziale», rientra negli usi leciti di segni distintivi di terzi disciplinati dall’articolo 37 della legge sui marchi, sia nella sua versione iniziale che in quella modificata.
17 Il giudice di primo grado ha respinto la domanda della Inditex. Dopo avere considerato che l’utilizzo del marchio ZARA da parte della Buongiorno non costituiva un uso «referenziale» rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 37 della legge sui marchi, nella sua versione iniziale, detto giudice ha ritenuto che non fossero soddisfatte le condizioni enunciate all’articolo 34, paragrafo 2, lettere b) e c), della legge sui marchi.
18 Avverso tale decisione la Inditex ha interposto appello dinanzi all’Audiencia Provincial de Madrid (Corte provinciale di Madrid, Spagna), facendo valere l’esistenza di una contraffazione del marchio ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), della legge sui marchi. L’appello è stato respinto dall’Audiencia Provincial de Madrid (Corte provinciale di Madrid) che ha considerato che l’uso del marchio ZARA da parte della Buongiorno non arrecava pregiudizio alla notorietà di tale marchio e non traeva indebitamente vantaggio da detta notorietà.
19 La Inditex ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna), giudice del rinvio.
20 Tale giudice indica che l’articolo 37, lettera c), della legge sui marchi, nella sua versione iniziale, applicabile ratione temporis ai fatti del procedimento principale, costituiva la trasposizione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104, il cui testo non è stato modificato sostanzialmente dalla direttiva 2008/95.
21 Detto giudice precisa che la versione attuale dell’articolo 37, paragrafo 1, lettera c), della legge sui marchi traspone l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, dato che tale direttiva ha abrogato e sostituito la direttiva 2008/95.
22 Il giudice del rinvio rileva che nell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 figura la menzione di una condotta generale, vale a dire «identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio», seguita dal termine «specie», seguito a sua volta dalla menzione di una condotta più specifica, ossia «se l’uso del marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio». Dato che solo la condotta più specifica figurava all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104, tale giudice nutre dubbi quanto alla portata della menzione della condotta generale introdotta all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436. Detto giudice si chiede se tale menzione costituisca un’esplicitazione di un elemento che figurava implicitamente nell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 o se la portata degli usi «referenziali» sia stata estesa dalla direttiva 2015/2436.
23 Al riguardo, il giudice del rinvio precisa che il suo interrogativo è messo in luce dall’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 nelle sentenze del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland (C-228/03, EU:C:2005:177), nonché dell’8 luglio 2010, Portakabin (C-558/08, EU:C:2010:416, punti 63 e 64). Tale giudice ritiene che la Corte sembra aver ristretto la portata della limitazione degli effetti del marchio all’uso necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto, tanto più quando ha spiegato che l’obiettivo perseguito dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 è quello di «permettere ai fornitori di prodotti o servizi aventi carattere complementare rispetto ai prodotti o servizi offerti dal titolare di un marchio, di utilizzare tale marchio al fine di informare il pubblico sul nesso utilitaristico esistente tra i loro prodotti o servizi e quelli del suddetto titolare».
24 Il giudice del rinvio indica che la risposta alla questione pregiudiziale inciderà sull’esito della controversia principale. Precisa che, qualora esso accolga il motivo di impugnazione vertente sull’interpretazione e sull’applicazione della disposizione che conferisce tutela ai marchi notori, dovrà esaminare se l’uso del marchio ZARA da parte della Buongiorno rientri nella limitazione prevista all’articolo 37, paragrafo 1, lettera c), della legge sui marchi, nella sua versione iniziale, applicabile ratione temporis alla controversia oggetto dell’impugnazione, limitazione che è equivalente a quella prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104. Secondo il giudice del rinvio, la condotta della Buongiorno potrebbe tuttavia corrispondere più al tenore letterale dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 che a quello di tale articolo 6, paragrafo 1, lettera c).
25 In tali circostanze, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della [prima direttiva 89/104] debba essere interpretato nel senso che la condotta più generale alla quale fa riferimento adesso l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva [2015/2436] sia implicitamente inclusa nel limite al diritto dei marchi: uso “del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio”».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
26 La Inditex ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile per due motivi.
27 In sostanza, la Inditex rileva, in primo luogo, che, secondo il giudice del rinvio, l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 è pertinente solo se l’impugnazione può essere accolta a causa di una violazione dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), della legge sui marchi, vale a dire a causa di un pregiudizio a un marchio notorio. Secondo la Inditex, l’uso del marchio altrui non sarà, in tal caso, conforme agli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale», ai sensi dell’articolo 37, paragrafo 1, lettera c), della legge sui marchi, nella sua versione iniziale. Poiché la risposta alla questione non è, pertanto, determinante ai fini della decisione che il giudice del rinvio deve emettere, la domanda di pronuncia pregiudiziale sarebbe irricevibile.
28 Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, nell’ambito della cooperazione tra quest’ultima e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia principale e che deve assumere la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, quanto la rilevanza della questione che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se la questione sollevata verte sull’interpretazione o sulla validità di una norma di diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire (sentenza del 16 marzo 2023, Beobank, C-351/21, EU:C:2023:215, punto 43 e giurisprudenza citata).
29 Ne consegue che una questione pregiudiziale che verte sul diritto dell’Unione gode di una presunzione di rilevanza. Il diniego della Corte di statuire su una simile questione è possibile solo qualora risulti manifestamente che la sollecitata interpretazione, o valutazione della validità, delle disposizioni del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, o qualora il problema sia di natura ipotetica, o ancora qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per risolvere utilmente la questione che le viene sottoposta [sentenza del 16 marzo 2023, Saatgut-Treuhandverwaltung (KWS Meridian), C-522/21, EU:C:2023:218, punto 26 e giurisprudenza citata].
30 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la controversia principale verte sull’asserito uso di un marchio nazionale da parte di un terzo, senza l’autorizzazione del titolare di tale marchio, e che le parti di detta controversia sono in disaccordo, in particolare, quanto all’applicabilità dell’articolo 37, paragrafo 1, lettera c), della legge sui marchi, nella sua versione iniziale. Dall’ordinanza di rinvio emerge inoltre che il giudice nazionale si interroga sulla portata dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104, che riguarda la limitazione degli effetti di un marchio nazionale e che è stato trasposto nel diritto spagnolo da tale articolo 37.
31 In tali circostanze, non risulta manifestamente che l’interpretazione richiesta dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale o che il problema sollevato sia di natura ipotetica.
32 Inoltre, nei limiti in cui la Inditex sostiene che la questione pregiudiziale è ipotetica in ragione del fatto che le condizioni dell’uso lecito previste all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 coincidono con quelle dell’uso relativo a un marchio notorio al quale il suo titolare può opporsi, conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, cosicché queste due disposizioni si escludono reciprocamente, occorre rilevare che tale argomento riguarda l’interpretazione dell’ultima frase dell’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva. Tale argomento della Inditex tende, pertanto, a sollevare una questione di interpretazione di tale articolo 6, paragrafo 1, diversa da quella sollevata dal giudice del rinvio e non se ne può dedurre che la questione sollevata presenti un carattere manifestamente ipotetico.
33 In secondo luogo, la Inditex sostiene che il giudice del rinvio sembra ritenere che la formulazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 consenta l’uso del marchio di cui al procedimento principale, in quanto si tratterebbe di un uso «referenziale», a differenza di quanto risulterebbe da un’interpretazione letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104. Essa osserva che l’uso di un marchio «per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio» non è lecito di per sé, ma deve, inoltre, essere conforme agli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale» e rispettare le regole dell’esaurimento del diritto di marchio in caso di operazioni aventi ad oggetto prodotti altrui. Pertanto, la risposta alla questione pregiudiziale non sarebbe utile, in quanto sarebbe insufficiente per rispondere alla questione di diritto sollevata nella controversia principale.
34 Orbene, la circostanza che, al fine di dirimere tale controversia, il giudice del rinvio possa anche essere tenuto a esaminare o a prendere in considerazione disposizioni diverse da quelle oggetto della sua questione non può indurre a ritenere che quest’ultima non abbia alcun rapporto con l’oggetto della controversia e sia quindi irricevibile.
35 Pertanto, i due argomenti presentati dalla Inditex per contestare la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale devono essere respinti.
36 Nelle sue osservazioni, la Commissione europea, senza tuttavia sostenere chiaramente che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile, osserva che la questione dell’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95, applicabile ratione temporis alla controversia di cui principale, si pone solo nel caso in cui l’uso del marchio ZARA da parte della Buongiorno costituisca un uso da parte di terzi nel commercio, vietato dall’articolo 5 di tale direttiva. Dato che il giudice nazionale di primo grado non sembrerebbe essere incorso in errori di diritto nel ritenere che l’uso del marchio ZARA non rientrasse in nessuno dei casi di uso del marchio previsti all’articolo 34 della legge sui marchi, che traspone nel diritto spagnolo detto articolo 5, non sarebbe necessario esaminare se siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 37 di tale legge, che traspone, nella sua versione iniziale, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95.
37 Al riguardo, occorre rilevare che l’argomento della Commissione implica che la Corte si pronunci sull’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 2008/95. Pertanto, esso deve essere respinto per gli stessi motivi esposti al punto 34 della presente sentenza.
38 Di conseguenza, si deve considerare ricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale.
Sulla questione pregiudiziale
39 Dalla decisione di rinvio risulta che i fatti all’origine della controversia principale si sono verificati nel corso del 2010. Poiché la prima direttiva 89/104 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/95, entrata in vigore il 28 novembre 2008, la disposizione applicabile, ratione temporis, all’epoca dei fatti della controversia principale è l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95, e non l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104, poiché tale seconda disposizione è stata sostituita dalla prima. Occorre tuttavia precisare che la formulazione di queste due disposizioni è identica.
40 Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta anche che il giudice del rinvio non esprime dubbi quanto al fatto che, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95, l’uso del marchio deve riguardare l’identificazione di prodotti o servizi, o il riferimento ai medesimi, «come prodotti o servizi del titolare di tale marchio». Occorre infatti precisare che, sebbene la formulazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 esprima ormai esplicitamente tale requisito, l’esistenza di quest’ultimo risultava dalla giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104 (v., in tal senso, sentenze del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland, C-228/03, EU:C:2005:177, punto 33, nonché dell’8 luglio 2010, Portakabin, C-558/08, EU:C:2010:416, punto 64).
41 Quindi i dubbi del giudice del rinvio quanto all’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 derivano dalla diversa redazione della disposizione che l’ha sostituito, ossia l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, per quanto riguarda la portata dell’uso del marchio da parte di un terzo che il titolare di tale marchio non potrebbe vietare, dato che detto uso non riguarderebbe solo l’indicazione della destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo.
42 Pertanto, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre riformulare la questione nel senso che, con essa, tale giudice chiede sostanzialmente se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 debba essere interpretato nel senso che esso riguarda qualsiasi uso del marchio nel commercio da parte di un terzo per identificare, conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, o per farvi riferimento, oppure nel senso che esso riguarda unicamente un uso di tale marchio necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo.
43 Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, quando si interpreta una disposizione del diritto dell’Unione occorre tenere conto non soltanto della formulazione di quest’ultima, ma anche del suo contesto e degli obiettivi che persegue l’atto di cui fa parte. Anche la genesi di una disposizione di diritto dell’Unione può rivelare elementi pertinenti per la sua interpretazione (sentenza del 16 marzo 2023, Towercast, C-449/21, EU:C:2023:207, punto 31 e giurisprudenza citata).
44 Secondo il tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95, il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.
45 Per contro, l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 enuncia, anzitutto, che esso riguarda l’uso del marchio d’impresa per identificare prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, o per farvi riferimento, poi riprende il contenuto normativo di tale articolo 6, paragrafo 1, lettera c), preceduto dal termine «specie».
46 Dal confronto su un piano letterale di queste due disposizioni risulta quindi che l’uso idoneo a limitare gli effetti del marchio di impresa in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 costituisce ormai una delle ipotesi dell’uso lecito al quale il titolare di un marchio non può opporsi in forza dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436.
47 Ne consegue che la portata dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 è più limitata rispetto a quella dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, dato che tale articolo 6, paragrafo 1, lettera c), riguarda solo l’uso, nel commercio, del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio.
48 Tale interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 è corroborata sia dagli obiettivi perseguiti da detta direttiva, e in particolare da quello di tale disposizione, come definito dalla giurisprudenza, sia dall’analisi della genesi della disposizione che l’ha sostituita, ossia l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436.
49 In primo luogo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, limitando gli effetti dei diritti di cui il titolare di un marchio di impresa gode ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2008/95, l’articolo 6 della direttiva medesima mira a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio con quelli della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi nel mercato interno, in modo tale che il diritto di marchio possa svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende stabilire e conservare (v., in tal senso, sentenza del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland, C-228/03, EU:C:2005:177, punto 29).
50 Per quanto riguarda, più in particolare, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95, la Corte ha indicato che l’applicazione di tale disposizione non è limitata alle situazioni in cui è necessario utilizzare un marchio di impresa per contraddistinguere la destinazione di un prodotto «come accessori o pezzi di ricambio» (v., in tal senso, sentenza del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland, C-228/03, EU:C:2005:177, punto 32). Tuttavia, le situazioni ricadenti nella sfera di applicazione del citato articolo 6, paragrafo 1, lettera c), devono restare limitate a quelle corrispondenti alla finalità di tale disposizione (sentenza dell’8 luglio 2010, Portakabin, C-558/08, EU:C:2010:416, punto 64).
51 Al riguardo, la Corte ha precisato che l’obiettivo perseguito dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 è di consentire ai fornitori di prodotti o di servizi, complementari a prodotti o servizi offerti dal titolare di un marchio, di utilizzare tale marchio al fine di informare, in modo comprensibile e completo, il pubblico sulla destinazione del prodotto che commercializzano o del servizio che offrono o, in altri termini, sul nesso utilitaristico esistente tra i loro prodotti o i loro servizi e quelli del suddetto titolare del marchio (v., in tal senso, sentenze del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland, C-228/03, EU:C:2005:177, punti 33 e 34, nonché dell’8 luglio 2010, Portakabin, C-558/08, EU:C:2010:416, punto 64).
52 Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza, l’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 riguarda l’uso del marchio d’impresa per identificare prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, o per farvi riferimento, unicamente qualora detto uso sia limitato alla situazione in cui è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo. Orbene, nel contesto dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, una situazione del genere corrisponde solo a una delle ipotesi in cui l’uso del marchio d’impresa non può essere vietato dal suo titolare.
53 In secondo luogo, dato che con la sua questione il giudice del rinvio si interroga sulla portata dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 alla luce del contenuto normativo della disposizione che l’ha sostituito, la genesi di quest’ultima disposizione può rivelare elementi pertinenti per l’interpretazione di tale articolo 6, paragrafo 1, lettera c).
54 Al riguardo, dalla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa [COM(2013) 162 final] risulta che è stato «considerato (…) opportuno prevedere (…) una limitazione esplicita per l’uso referenziale in generale». Pertanto, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 78 delle sue conclusioni, i termini «opportuno prevedere» indicavano la volontà della Commissione di proporre di introdurre una limitazione degli effetti del marchio di impresa riguardante in generale l’uso referenziale e di estendere la portata della limitazione, ora prevista all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, e non di proporre un semplice chiarimento o precisazione dei contorni dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva 89/104.
55 Inoltre, come altresì rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, l’intenzione della Commissione di estendere la portata della limitazione precedentemente figurante all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 risulta dalla formulazione del considerando 25 della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa [COM(2013) 162 final], il quale indicava che «occorre che il titolare non abbia il diritto di impedire un uso generale corretto e onesto del marchio per designare e menzionare prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare».
56 Di conseguenza, la genesi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 corrobora l’interpretazione secondo la quale la portata dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 è più limitata rispetto a quella di tale articolo 14, paragrafo 1, lettera c).
57 Nel caso di specie, spetta al giudice nazionale, in particolare, determinare, prendendo in considerazione l’insieme delle circostanze del procedimento principale, se la Buongiorno – con la sua campagna pubblicitaria lanciata per un abbonamento a uno dei suoi servizi, che consentiva la partecipazione a un’estrazione a sorte di cui uno dei premi consisteva in un «buono regalo ZARA», e in cui il sottoscrittore vedeva apparire sullo schermo il segno «ZARA» circondato da un rettangolo, che evocava il formato dei buoni regalo – abbia fatto un uso del marchio ZARA ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2008/95 e, in caso affermativo, valutare, alla luce dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, se tale uso fosse necessario per contraddistinguere la destinazione di un servizio che la Buongiorno offriva nonché, eventualmente, se tale uso fosse conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.
58 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che esso riguarda un uso del marchio di impresa nel commercio da parte di un terzo per identificare, conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, o per farvi riferimento, unicamente quando un simile uso del marchio sia necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo.
59 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
PQM
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
L’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che:
esso riguarda un uso del marchio di impresa nel commercio da parte di un terzo per identificare, conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, o per farvi riferimento, unicamente quando un simile uso del marchio sia necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo.