CORTE COSTITUZIONALE, 10 marzo 2023, n. 40

La sanzione di cui all’art. 4 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, è diretta a una categoria peculiare e omogenea di soggetti, il cui compito è quello di verificare, secondo i protocolli, il rispetto delle regole sulle produzioni agroalimentari DOP o IGP. Se è vero che i controlli sono concepiti quale presidio di interessi di sicuro rilievo quali la concorrenza leale, il legittimo impiego economico del nome e la corretta informazione dei consumatori, è ugualmente vero che tali considerazioni possono giustificare sanzioni di entità consistente, ma non certo l’assoggettamento alla stessa sanzione di tutti gli illeciti possibili a tali imprese imputabili. La reazione sanzionatoria, dunque, risulta manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma, ragione per cui deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297 e per l’individuazione delle sanzioni irrogabili dovrà farsi riferimento all’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 20 del 2018, dettato in tema di produzione BIO, il quale ha una ratio assimilabile a quella della norma censurata poiché mira a garantire l’efficacia dei controlli sanzionando le irregolarità commesse dagli organismi privati a ciò delegati.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 del D.Lgs. 19 novembre 2004, n. 297, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari”, promosso dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, nel procedimento vertente tra l’Istituto nord est qualità (INEQ) e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con ordinanza del 14 marzo 2022, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Udito nella camera di consiglio dell’ il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2023.

1.- Con ordinanza pervenuta l’8 aprile 2022 (reg. ord. n. 43 del 2022), la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del D.Lgs. 19 novembre 2004, n. 297, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari”, in riferimento all’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

1.1.- Il giudice a quo premette che all’Istituto nord est qualità (INEQ), al tempo l’organismo di controllo della qualità delle produzioni di Prosciutto di San Daniele, denominazione di origine protetta (DOP), è stata applicata, con provvedimento ministeriale, la sanzione amministrativa pecuniaria di euro cinquantamila, in forza dell’art. 4 censurato, che prevede: “[a]lla struttura di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che non adempie alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorità pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di euro cinquantamila”. L’INEQ si è opposto alla sanzione, dinanzi al competente tribunale, adducendo l’insussistenza delle tre violazioni contestate: 1) avere omesso di rilevare che un’azienda agricola aveva rettificato un’annotazione sulla certificazione unitaria di conformità, utilizzando modalità diverse da quelle prescritte dal “manuale 1”; 2) avere omesso di rilevare l’errore del produttore che mancava di registrare cosce di suino introdotte per la lavorazione, violando regole impartite nel “manuale 2”; 3) non avere debitamente sottoscritto per presa visione il registro di un produttore, contravvenendo, ancora, a una regola del “manuale 2”. Adduceva, inoltre, il carattere eccessivo della sanzione fissa.

Il tribunale ha rigettato l’opposizione e anche la Corte d’appello di Venezia, adita da INEQ, ha disatteso l’impugnazione. La medesima Corte, nel confermare le decisioni sul merito della controversia, si è, inoltre, pronunciata sulla manifesta infondatezza dell’eccezione di parte sulla illegittimità costituzionale della norma sanzionatoria, in riferimento all’art. 3 Cost.

Nel ricorso per cassazione, l’INEQ ha proposto quattro motivi. Nei primi tre, ha denunciato l’erronea applicazione delle regole dei manuali sul controllo della qualità, da cui sarebbe scaturita l’ingiusta contestazione delle violazioni; nel quarto motivo, ha dedotto l’applicazione di un ragionamento “eccessivamente schematico” da parte dei giudici di merito, i quali – sulla scorta della “vincolatività” dei manuali – non si sarebbero soffermati a discernere quali condotte possano configurare un inadempimento alle prescrizioni e agli obblighi tanto grave da essere punito secondo la previsione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 297 del 2004. Il ricorrente, dunque, non insisteva sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale formulata in precedenza; la Corte di cassazione ha promosso, però, d’ufficio, l’incidente di legittimità costituzionale.

1.2.- Il Collegio rimettente osserva come la decisione delle questioni di legittimità costituzionale sia pregiudiziale alla soluzione della controversia dinanzi a esso pendente, la quale concerne proprio la legittimità dell’applicazione della sanzione prevista nel citato art. 4. Di qui, afferma la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.

1.3.- Queste ultime sarebbero, inoltre, non manifestamente infondate. Questa Corte, infatti, con la sentenza n. 185 del 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 6, secondo periodo, del D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 2012, n. 189, che prevedeva una sanzione amministrativa pari a euro cinquantamila per l’inosservanza di taluni obblighi informativi sui rischi connessi al gioco d’azzardo, riscontrando la violazione dell’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU. Tale pronuncia avrebbe affermato con nettezza che una sanzione fissa può superare il dubbio di legittimità costituzionale solo ove tutte le infrazioni ad essa riconducibili siano tanto gravi da non renderla manifestamente sproporzionata: in quell’ipotesi, l’accoglimento delle questioni sarebbe derivato proprio dalla circostanza che la fissità del trattamento sanzionatorio non permetteva di tenere conto del diverso disvalore dei singoli illeciti puniti.

Il giudice a quo ritiene che l’art. 4 del D.Lgs. n. 297 del 2004 presenti gli stessi profili d’illegittimità costituzionale: l’entità della sanzione sarebbe di notevole rilievo, “anche a volerla rapportare a capacità economica non modesta”, e il ventaglio delle condotte sanzionate sarebbe vasto, punendo la previsione l’inadempimento “alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorità pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta”.

Nella fattispecie concreta, sarebbe palese che le inadempienze contestate avrebbero una diversa gravità: si tratterebbe, in primo luogo, dell’omesso rilievo di un’irregolarità formale; in secondo luogo, del mancato controllo sulla registrazione delle cosce di suino fresche introdotte per la lavorazione; in ultima istanza, dell’assenza della sottoscrizione di un registro per presa visione. Stando alla norma censurata, ciascuna di esse potrebbe essere punita con la sanzione di euro cinquantamila. Perciò, questa Corte sarebbe chiamata a rilevare, come ha fatto nella sentenza n. 185 del 2021, che “la reazione sanzionatoria [risulta] manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma”.

1.4.- Non vi sarebbe, peraltro, margine per l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata. Non potrebbero utilizzarsi in via analogica “modelli […] rinvenuti all’interno del contesto normativo di riferimento”.

Motivi della decisione

1.- La Corte di cassazione, sezione seconda civile, con ordinanza (reg. ord. n. 43 del 2022), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del D.Lgs. n. 297 del 2004, nella parte in cui prevede che “[a]lla struttura di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che non adempie alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorità pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di euro cinquantamila”. La norma punisce le inadempienze delle strutture di controllo delle produzioni agroalimentari registrate con denominazione di origine o indicazione geografica protetta (DOP o IGP): il giudice a quo sospetta che essa contrasti con l’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, in quanto – prevedendo per un’ampia gamma di condotte illecite, aventi in concreto diverso disvalore, l’applicazione della medesima sanzione – manifesterebbe un palese difetto di proporzionalità.

L’ordinanza premette che l’INEQ, all’epoca organismo di controllo della qualità delle produzioni del Prosciutto di San Daniele DOP, contestava la sanzione di cinquantamila euro che gli veniva applicata, con provvedimento ministeriale, in forza del citato art. 4. Rigettata l’opposizione e disattesa l’impugnazione della decisione di primo grado, veniva instaurato il giudizio di cassazione, durante il quale sono state sollevate, d’ufficio, le odierne questioni di legittimità costituzionale. L’INEQ, che nelle fasi di merito aveva dedotto l’insussistenza delle violazioni, in seguito chiedeva al giudice di legittimità di rilevare l’erronea applicazione delle norme sui controlli. Gli era stato, infatti, contestato di: 1) avere omesso di rilevare che un’azienda agricola rettificava un’annotazione sulla certificazione unitaria di conformità, utilizzando modalità diverse da quelle prescritte dal “manuale 1”; 2) avere mancato di rilevare che un produttore non aveva registrato il corretto numero di cosce di suino introdotte per la lavorazione, violando regole impartite nel “manuale 2”; 3) non avere debitamente sottoscritto per presa visione il registro di un produttore, contravvenendo ancora a una regola del “manuale 2”. I manuali cui si fa riferimento sono quelli per il controllo della qualità, approvati dall’autorità pubblica competente.

1.1.- Le questioni sarebbero rilevanti, visto che l’oggetto del giudizio principale verte sulla corretta applicazione della norma censurata: non sarebbe, dunque, possibile pronunciarsi indipendentemente dalla risoluzione dell’incidente di legittimità costituzionale.

1.2.- Le censure sarebbero, inoltre, non manifestamente infondate; la giurisprudenza di questa Corte avrebbe, difatti, stabilito la necessità che le sanzioni fisse rispondano al principio di proporzionalità. Sussisterebbero, in particolare, gli stessi vizi rilevati nella sentenza n. 185 del 2021, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma che puniva l’inosservanza di taluni obblighi informativi sui rischi connessi al gioco d’azzardo con sanzione amministrativa pari a euro cinquantamila, riscontrando la violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

2.- Prima di esaminare le questioni, è necessario individuare l’origine delle disposizioni in esame e il contesto normativo di riferimento.

Anzitutto, il D.Lgs. n. 297 del 2004, che contiene la norma censurata, è stato adottato, in attuazione della delega di cui all’art. 3 della L. 3 febbraio 2003, n. 14 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2002), per stabilire le sanzioni legate alla violazione delle norme del regolamento del Consiglio delle Comunità europee n. 2081/92, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, poi modificato con il passare del tempo: oggi la disciplina è contenuta nel regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.

2.1.- È, dunque, di matrice europea la regolazione del sistema di registrazione, tutela e valorizzazione dei prodotti connotati da qualità peculiari, la cui reputazione è dovuta all’ambiente geografico d’origine, nonché alle specifiche modalità di produzione. Secondo la disciplina ora richiamata, la denominazione di origine, infatti, è il nome che identifica un prodotto originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un Paese determinati; la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico e ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata. È istituito, a livello dell’Unione europea, un registro delle denominazioni di origine protette e indicazioni geografiche protette: si intende assicurare ai produttori la giusta remunerazione per la qualità degli alimenti, garantire la protezione uniforme dei nomi quali diritti di proprietà intellettuale sul territorio dell’Unione, nonché fornire ai consumatori informazioni chiare sui fattori che conferiscono valore aggiunto ai prodotti (artt. 4 e 5 del regolamento n. 1151/2012/UE); la registrazione della denominazione si ottiene secondo le procedure indicate nello stesso regolamento (artt. 8 e seguenti).

2.2.- Per utilizzare il nome, si deve osservare il disciplinare di produzione relativo allo specifico prodotto (art. 7). E, proprio al fine di assicurare il corretto sfruttamento delle potenzialità evocative legate all’uso di DOP e IGP, oltre che la stessa qualità di tali prodotti agroalimentari, è previsto che autorità pubbliche, designate dagli Stati membri, effettuino accurati controlli.

Viene, in proposito, in rilievo il regolamento (UE) n. 625/2017 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari. Esso si applica alle attività di controllo su “l’uso e l’etichettatura delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite” (art. 1, comma 2, lettera j, del regolamento n. 625/2017/UE). Questa disciplina stabilisce che “[i] controlli ufficiali ad opera delle autorità competenti sono eseguiti secondo procedure documentate. Tali procedure […] contengono istruzioni per il personale addetto ai controlli ufficiali. 2. Le autorità competenti dispongono di procedure di verifica dei controlli” (art. 12).

Tali autorità possono delegare organismi privati allo svolgimento, per loro conto, delle verifiche sul rispetto del disciplinare e sul corretto uso del nome. Ciò era contemplato, sin nella disciplina originaria, dall’art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081/92, ed è oggi previsto dall’art. 28 del regolamento n. 625/2017/UE. Perché sia idoneo a svolgere tali funzioni, l’organismo deve possedere caratteristiche specifiche, elencate nel successivo art. 29. Le indicazioni puntuali, ivi contenute, rivelano, nel loro complesso, la necessità che la struttura di controllo disponga di risorse umane, infrastrutturali e finanziarie che assicurino “poteri sufficienti a svolgere i compiti relativi ai controlli ufficiali che gli sono stati delegati”, oltre che l’esigenza di imparzialità dell’organismo, il quale assicura l’assenza di conflitti d’interesse.

Lo stesso regolamento prevede, inoltre, che “[g]li Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento e adottano tutte le misure necessarie ad assicurare la loro attuazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive” (così, l’art. 139). Sebbene, dunque, il diritto dell’Unione europea non indichi con esattezza quali misure gli Stati devono adottare per contrastare le violazioni della disciplina sulle produzioni di qualità, esso nondimeno richiede di controllare i produttori, di vigilare sull’attività dei soggetti che certificano la qualità dei prodotti e di prevedere sanzioni nei confronti di tutti gli operatori del sistema. Il tutto per consentire il complessivo corretto funzionamento del mercato agroalimentare DOP e IGP.

2.3.- In Italia la responsabilità dei controlli in questione compete al Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Ai sensi dell’art. 53 della L. 24 aprile 1998, n. 128 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 1995-1997), come modificato dall’art. 14 della L. 21 dicembre 1999, n. 526, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee”, in particolare, i controlli sulle denominazioni protette sono svolti “da autorità di controllo pubbliche designate e da organismi privati autorizzati con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali […]”. Queste deleghe “agli organismi di controllo privati devono preventivamente prevedere una valutazione dei requisiti relativi a: a) conformità alla norma europea EN 45011 del 26 giugno 1989; b) disponibilità di personale qualificato sul prodotto specifico e di mezzi per lo svolgimento dell’attività di controllo; c) adeguatezza delle relative procedure”.

Nel domandare l’autorizzazione, l’organismo presenta, dunque, la documentazione attestante il possesso dei requisiti: fornisce informazioni sulla struttura della società e sulle procedure di cui intende valersi nell’espletamento delle attività oggetto di delega (piani di controllo, manuali di controllo della qualità, protocolli). Il contenuto di tali documenti forma oggetto di valutazione da parte dell’autorità pubblica.

Il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste vigila sulla regolarità dei controlli, verificando l’attività svolta dagli organismi autorizzati, e commina le sanzioni conseguenti la violazione delle procedure, compresa quella prevista nella disposizione censurata.

2.4.- Va, adesso, presa in esame la disciplina del D.Lgs. n. 297 del 2004. Esso ha individuato le condotte illecite dei produttori, delle strutture di controllo e dei consorzi di tutela delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche protette, e le sanzioni amministrative correlate.

2.4.1.- Gli artt. 1 e 2 prevedono sanzioni amministrative pecuniarie, graduabili entro un minimo e un massimo, per i produttori di DOP e IGP che facciano un uso commerciale scorretto delle denominazioni protette. Sono, infatti, puniti comportamenti come il mancato assoggettamento al controllo, la violazione della disciplina di produzione, l’imitazione o contraffazione della denominazione nella presentazione del prodotto. È, inoltre, prevista l’inibizione all’uso della denominazione o l’inibizione del comportamento sanzionato, la cui inosservanza comporta l’applicabilità di una sanzione fissa di euro cinquantamila (art. 7).

2.4.2.- Gli artt. 4 e 6 stabiliscono le sanzioni applicabili agli organismi di controllo e ai consorzi di tutela che compiano condotte non lecite; si tratta di sanzioni stabilite in misura fissa.

La disposizione censurata nel presente giudizio, in particolare, prevede che l’inadempimento alle prescrizioni o agli obblighi imposti ai suddetti organismi comporta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria di euro cinquantamila. Lo stesso art. 4, inoltre, sottopone alla medesima sanzione l’organismo che continui a svolgere attività incompatibili con quella contemplata dal provvedimento autorizzatorio, non ottemperando all’intimazione da parte del Ministero, fatta salva la facoltà di quest’ultimo di procedere alla sospensione o alla revoca dell’autorizzazione; stabilisce, poi, per la struttura che, nell’espletamento delle attività di controllo, discrimina tra i soggetti da immettere o tra quelli immessi nel sistema di controllo, oppure pone ostacoli all’esercizio del diritto a detto accesso, la sanzione di euro sessantaduemila.

3.- Un sistema parallelo a quello che tutela le DOP è previsto per le produzioni da agricoltura biologica: da ultimo, regolamento (UE) n. 848/2018 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio. I produttori BIO, che devono osservare regole e procedure specifiche, vengono controllati dall’autorità pubblica o dagli organismi delegati, autorizzati a tali fini, sotto il coordinamento dell’ICQRF. Si applica la stessa disciplina sui controlli ufficiali di cui al più volte citato regolamento n. 625/2017/UE (art. 1, comma 2, lettera i); sia i produttori, sia gli organismi di controllo sono destinatari di sanzioni per l’inadempienza alle regole impartite, secondo quanto stabilito, nel diritto nazionale, dal D.Lgs. 23 febbraio 2018, n. 20, recante “Disposizioni di armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica, predisposto ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lett. g), della L. 28 luglio 2016, n. 154, e ai sensi dell’articolo 2 della L. 12 agosto 2016, n. 170”.

Secondo quanto disposto, in particolare, dall’art. 8 del D.Lgs. n. 20 del 2018, le strutture di controllo che commettano illeciti nello svolgimento delle attività delegate sono colpite da sanzioni amministrative pecuniarie ove impediscano l’accesso agli uffici alle autorità competenti o omettano le informazioni e l’assistenza necessarie per la verifica; impieghino personale privo dei requisiti; nell’attività di controllo e campionamento omettano le misure di adeguata analisi del rischio; impieghino personale che intrattiene rapporti professionali, economici o di consulenza con gli operatori assoggettati al controllo dell’organismo; accettino la vigilanza su un operatore precedentemente escluso, prima che siano trascorsi due anni dall’emanazione del provvedimento di esclusione, fatta salva l’esclusione di morosità; omettano la verifica delle azioni correttive poste in essere dagli operatori a seguito di sospensione o soppressione. Lo stesso articolo prevede che anche i rappresentanti, amministratori e direttori della società possono ritenersi responsabili delle suddette condotte. Punisce, inoltre, tali figure con ulteriori sanzioni, più lievi, ove pongano in essere altre tipologie di comportamenti illeciti, ivi elencati.

4.- Si può ora passare all’esame delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con l’ordinanza di rimessione, rilevando, in primo luogo, che il thema decidendum è circoscritto al solo primo periodo dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 297 del 2004, cui si rivolgono le censure del rimettente. Questa Corte non è chiamata ad occuparsi del secondo periodo di tale comma, né del comma 2.

5.- Le questioni sono fondate, nei termini che seguono.

5.1.- La norma in esame prevede che ogni inadempienza alle prescrizioni o agli obblighi impartiti dalle competenti autorità pubbliche agli organismi di controllo delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario, è punita con la sanzione amministrativa fissa di euro cinquantamila.

La gamma di condotte riconducibili alla medesima fattispecie sanzionatoria è quanto mai vasta. Va considerato che l’esecuzione dei controlli è regolata, per ciascuna produzione protetta, da “manuali”, che contengono indicazioni della natura più diversa: si può trattare di prescrizioni la cui inosservanza realizza un’inadempienza grave (si pensi, esemplificando, all’omessa verifica del difetto di corrispondenza, per profili essenziali, dell’insediamento produttivo alle caratteristiche strutturali e tecniche richieste per beneficiare della denominazione protetta) oppure di regole la cui violazione risulti, in concreto, avere rilievo marginale, per la complessiva efficacia dell’attività di controllo (si pensi a un minimo ritardo nell’invio al soggetto controllato di copia del rapporto delle operazioni di controllo).

Nel caso oggetto del giudizio a quo, peraltro, all’organismo delegato al controllo delle produzioni del Prosciutto di San Daniele DOP è stata applicata la sanzione di cinquantamila euro per tre violazioni dei “manuali”: violazioni di tipo assai eterogeneo, ma punibili con la stessa sanzione. Secondo la norma censurata, in effetti, anche se fosse stata commessa una sola inadempienza, magari poco significativa, l’autorità avrebbe dovuto applicare la suddetta misura.

La previsione in esame, in definitiva, equipara le condotte più gravi e pericolose a quelle di minor rilievo, stabilendo per tutte una sanzione in misura fissa. Ciò è in aperto contrasto con il principio di proporzionalità delle sanzioni.

5.2.- Con riferimento alle sanzioni penali, questa Corte ha già da tempo chiarito come l’individualizzazione della pena – che si ottiene con l’indicazione di una forbice edittale, che consenta al giudice di determinarla in base alle specificità della fattispecie concreta – costituisca “naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d’uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale” (sentenza n. 50 del 1980). In via di principio, perciò, “previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il “volto costituzionale” del sistema penale”, potendo il dubbio di illegittimità costituzionale essere superato solo “a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato” (sentenze n. 222 del 2018 e, nello stesso senso, n. 50 del 1980).

Tali affermazioni valgono anche in materia di sanzioni amministrative: le previsioni sanzionatorie rigide, “che colpiscono in egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura differenti, debb[o]no rispondere al principio di ragionevolezza” (sentenza n. 212 del 2019). Di qui l’esigenza di verificare che la sanzione non sia manifestamente sproporzionata anche in relazione alle condotte meno gravi (sentenze n. 95 del 2022, n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019).

Pure “per le sanzioni amministrative si prospetta, dunque, l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato” (sentenza n. 185 del 2021). Ciò discende, appunto, dal dovere di assicurare l’attuazione del principio di proporzionalità, il quale, in questo ambito, trae il proprio fondamento nell’art. 3 Cost. in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione (sentenze n. 112 e n. 88 del 2019).

Laddove il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore “si riveli manifestamente irragionevole a causa della sua evidente sproporzione rispetto alla gravità del fatto”, dunque, “un intervento correttivo del giudice delle leggi è possibile a condizione che il trattamento sanzionatorio medesimo possa essere sostituito sulla base di “precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo”, intesi quali “soluzioni già esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata”” (sentenze n. 222 del 2018, n. 236 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 40 del 2019).

5.3.- Il giudice a quo – sull’impronta della sentenza n. 185 del 2021 – denuncia il contrasto della norma censurata con l’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, adducendo l’irragionevole incisione del patrimonio delle strutture di controllo. La prospettazione coglie nel segno.

È ben vero, infatti, che la sanzione è diretta a una categoria peculiare e omogenea di soggetti, il cui compito è proprio quello di verificare, secondo i protocolli, il rispetto delle regole sulle produzioni agroalimentari DOP o IGP; soggetti che, visti i requisiti per lo svolgimento dell’attività, devono presumersi dotati di significative capacità economiche. È, altresì, vero che i controlli sono concepiti quale presidio di interessi di sicuro rilievo: la concorrenza leale, il legittimo impiego economico del nome e la corretta informazione dei consumatori. Queste considerazioni possono giustificare sanzioni di entità consistente, ma non certo l’assoggettamento alla stessa sanzione di tutti gli illeciti a tali imprese imputabili.

“[L]a reazione sanzionatoria”, dunque, può “risultare manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma” (sentenza n. 185 del 2021); ragione per cui la previsione censurata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

5.4.- La sanzione, tuttavia, non può, in questa occasione, essere eliminata puramente e semplicemente, per effetto della pronuncia di accoglimento.

Questa Corte ha precisato che una simile soluzione non è praticabile quando “la lacuna di punibilità che conseguirebbe a una pronuncia ablativa, non colmabile tramite l’espansione di previsioni sanzionatorie coesistenti, si riveli foriera di “insostenibili vuoti di tutela” per gli interessi protetti dalla norma incisa (sentenza n. 222 del 2018): come, ad esempio, quando ne derivasse una menomata protezione di diritti fondamentali dell’individuo o di beni di particolare rilievo per l’intera collettività rispetto a gravi forme di aggressione, con eventuale conseguente violazione di obblighi costituzionali o sovranazionali” (sentenza n. 185 del 2021).

Nel caso in esame, è necessario preservare la capacità dell’ordinamento di reagire efficacemente alla commissione di condotte illecite. Le ragioni di tale conclusione si colgono mettendo novamente in luce che la normativa del D.Lgs. n. 297 del 2004 trae origine dall’adesione all’Unione europea e costituisce attuazione della disciplina sovranazionale. Sia pure con previsione di carattere generale, è richiesto agli Stati membri di stabilire sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” per le violazioni del regolamento sui controlli ufficiali sulle produzioni alimentari, comprese quelle DOP e IGP (art. 139 del regolamento n. 625/2017/UE). Risulta, dunque, chiaro che l’ablazione secca della norma censurata lascerebbe le inadempienze sfornite di ogni sanzione, rischiando di minare la stessa credibilità del sistema italiano dei controlli sulle produzioni di qualità, e si presterebbe a generare una situazione di contrasto con obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.

5.5.- La rimozione del vulnus costituzionale deve, quindi, passare attraverso la sostituzione della sanzione censurata con altra conforme a Costituzione, secondo la regola che discende dalla già evocata e costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 40 del 2019, n. 222 del 2018 e n. 236 del 2016).

L’ampiezza delle fattispecie punibili impone la previsione di una misura sanzionatoria graduabile, la cui applicazione sia di volta in volta modulata in base alle caratteristiche degli illeciti commessi. L’importanza delle funzioni delegate alle strutture di controllo, da cui deriva l’esigenza che esse siano svolte scrupolosamente, impone, per altro verso, che la misura sia dotata di alta capacità deterrente.

5.5.1.- Si deve, perciò, ritenere ragionevole che le violazioni più gravi siano punite con la sanzione pecuniaria di cinquantamila euro, nel rispetto della scelta legislativa originaria, dovendosi, al contempo, individuare la forbice edittale entro cui commisurare la sanzione. Occorre, dunque, attingere a “precisi punti di riferimento”, nel tessuto normativo, per fissare il minimo edittale.

La soluzione è offerta, nella specie, dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 20 del 2018, che punisce con sanzione graduabile le violazioni degli organismi di controllo sui prodotti BIO. Esso prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di diecimila (e sino ad un massimo di trentamila euro) all’organismo di controllo che commetta illeciti nello svolgimento delle attività delegate.

Come è stato già messo in luce, il sistema di tutela dei prodotti BIO, anch’esso di matrice europea, è parallelo e complessivamente simile a quello concernente i prodotti DOP e IGP. Per quanto attiene, in particolare, alla disciplina dei controlli – che viene qui in rilievo – le produzioni biologiche sono assoggettate dal diritto dell’Unione europea alla medesima regolamentazione delle DOP e IGP (art. 1, comma 2, lettere i e j, del regolamento n. 625/2017/UE). Il citato art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 20 del 2018, ha una ratio assimilabile a quella della norma censurata e mira a garantire l’efficacia dei controlli sanzionando le irregolarità commesse dagli organismi privati a ciò delegati.

La disposizione assunta a riferimento adotta una tecnica casistica, indicando le condotte illecite per ripartirle, sul piano sanzionatorio, in ragione della loro decrescente gravità. Rivolge le sanzioni, per un primo gruppo di illeciti, all’organismo di controllo, come tale, e ai suoi rappresentanti, amministratori e direttori; individua, poi, ulteriori inadempienze imputabili, però, solamente a tali persone fisiche.

Tuttavia, la piena omogeneità finalistica consente di assumere la disposizione in questione come “punto di riferimento” per l’individuazione della soglia minima della sanzione da applicarsi alla struttura di controllo di produzioni DOP e IGP.

Per le ragioni che sono state esposte, va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 297 del 2004, per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, limitatamente al primo periodo, nella parte in cui prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria “di euro cinquantamila” anziché “da un minimo di diecimila a un massimo di cinquantamila euro”.

6.- La misura sanzionatoria indicata s’intende naturalmente modificabile dal legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, con altra, purché rispettosa del principio di proporzionalità (sentenze n. 40 del 2019 e n. 222 del 2018).

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. 19 novembre 2004, n. 297, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari”, nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa pecuniaria “di euro cinquantamila”, anziché “da un minimo di diecimila a un massimo di cinquantamila euro”.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2023.

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2023.