CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 10 gennaio 2025, n. 630
Nella valutazione della confondibilità del marchio, la descrizione e il campione del marchio depositato devono essere considerati congiuntamente. Anche se predominante è il campione depositato, la decisione sulla registrabilità del marchio deve fondarsi su entrambi i documenti considerati nel loro insieme.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta da
Dott. IOFRIDA Giulia – Presidente
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere
Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2224/2024 R.G. proposto da
Crastan Caffè Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Francesca Cassera, Tiberio Di Marco e Alessandro Pasquini
– ricorrente –
contro
Crastan Caffè Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Paolina Testa e Raffaella Arista
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1184/2023, depositata il 31 ottobre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2024 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
Svolgimento del processo
– la Castan Caffè Srl propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Genova, depositata il 10 novembre 2023, che, pronunciandosi a seguito della cassazione di una sua precedente sentenza, ha: i) dichiarato la confondibilità della denominazione sociale “CRASTAN CAFFÈ Srl” dell’odierna ricorrente con la denominazione sociale “CRASTAN Spa”; ii) dichiarato la nullità di due marchi nazionali e di un marchio Europeo di titolarità della ricorrente medesima (originariamente registrati rispettivamente con i nn. (Omissis), (Omissis) e (Omissis)); iii) ordinato alla medesima di modificare la denominazione sociale, nonché la ditta e i marchi suddetti, inibendole l’utilizzo della parola “CRASTAN” quale ragione sociale, marchio e ditta; iv) condannato la stessa al risarcimento dei danni in favore della CRASTAN Spa, da liquidarsi in separato giudizio; v) ordinato la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza; vi) respinto tutte le domande proposte dalla CRASTAN Caffè Srl;
– la Corte di appello ha dato atto che con il suo atto introduttivo del giudizio la CRASTAN Spa aveva chiesto accertarsi la confondibilità della denominazione sociale “CRASTAN Caffè” con la denominazione sociale “CRASTAN”, a lei spettante in forza di registrazione e uso poziore, la nullità della registrazione del marchio d’impresa n. (Omissis) effettuata in favore della convenuta e successivi rinnovi e il compimento di atti di concorrenza sleale da parte di quest’ultima e emanarsi ogni consequenziale pronuncia in termini di inibitoria, condanna generica al risarcimento dei danni e ordine di pubblicazione della sentenza;
– ha reso noto che la CRASTAN Srl, costituitasi nel giudizio di primo grado, aveva chiesto la reiezione delle domande attoree e, in via riconvenzionale, l’accertamento della decadenza per mancato uso dei marchi registrati dall’attrice concernenti la locuzione “CRASTAN”, della confondibilità della denominazione sociale “CRASTAN” adottata dalla attrice per la produzione e commercializzazione di caffè in tutti i possibili stati e forme con quella “CRASTAN Caffè” a lei spettante, della lesione dei suoi diritti esclusivi a causa dell’uso della dicitura “CRASTAN” unita al prodotto caffè operato dall’attrice, del compimento di atti di concorrenza sleale nei suoi confronti, con inibizione all’attrice dell’ulteriore impiego della denominazione “CRASTAN” associata alla produzione, commercializzazione, pubblicità e quant’altro di caffè, nonché l’emanazione delle conseguenti pronunce in materia di risarcimento danni e pubblicazione della sentenza;
– la Corte territoriale ha riferito che il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda riconvenzionale formulata dalla CRASTAN Caffè Srl, dichiarando che l’uso del marchio recante dicitura “CRASTAN” unito al prodotto “caffè” ledeva i diritti esclusivi di quest’ultima in forza della registrazione dei marchi nazionali e del marchio comunitario dalla medesima vantati e inibendo alla CRASTAN Spa l’impiego del marchio (Omissis), di titolarità dell’attrice, denominato “CRASTAN”, ove associato alla commercializzazione di caffè, e respinto le altre domande proposte;
– ha aggiunto che la sentenza di appello, confermativa della sentenza di primo grado, era stata cassata da questa Corte con sentenza del 14 agosto 2019, n. 21403, la quale, accogliendo i motivi di ricorso che investivano la statuizione relativa al conflitto tra le ragioni sociali delle due contendenti, aveva evidenziato che qualora due società di capitali abbiano la medesima denominazione il conflitto tra i segni va risolto attribuendo prevalenza all’iscrizione nel registro delle imprese, senza che assuma rilievo né il mero pregresso utilizzo della stessa denominazione da parte di altra società, che ha cessato da tempo di operare e che faceva capo a familiari del socio di una della società registrata per seconda, né il fatto che la denominazione di quest’ultima coincida con cognome di uno di tali soci;
– la Corte di appello ha, quindi, accolto la domanda dell’attrice di accertamento di confondibilità delle denominazioni sociali, in ragione della sussistenza del pericolo di confusione dei soggetti imprenditoriali in questione fra i terzi interessati, nonché quella di nullità dei marchi registrati dalla convenuta, sia quello indicato nell’atto di citazione (originariamente registrato al n. (Omissis)), sia quelli, oggetto di reconventio reconventionis, nn. (Omissis) e (Omissis) (quest’ultimo marchio dell’Unione Europea);
– il ricorso è affidato a dieci motivi;
– resiste la CRASTAN Spa con controricorso;
– le parti depositano memoria ai sensi dell’ art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;
Motivi della decisione
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2564 e 2567, secondo comma, cod. civ., per aver la sentenza impugnata esteso l’ambito di tutela della denominazione sociale della CRASTAN Spa ad ambiti merceologici che non costituivano la naturale e prevedibile espansione del suo oggetto sociale nella parte in cui ha ritenuto che la torrefazione del caffè fosse un naturale campo di espansione per la CRASTAN Spa, benché quest’ultima vi avesse fatto ingresso solo 97 anni dopo la sua costituzione;
– il motivo è inammissibile;
– la Corte di appello ha, sul punto, ritenuto che la sostanziale identità del cognome CRASTAN nelle due denominazioni sociali, l’irrilevanza in sé dell’attività concretamente svolta in origine (fino al 1996) dalla CRASTAN Spa – vale a dire la “produzione e distribuzione di surrogati del caffè (orzo, miscele di cereali) e di bevande solubili” piuttosto che (anche o solo) di caffè – la possibilità, da parte della CRASTAN Spa, di poter commerciare, anche in futuro, nel campo del caffè (come in effetti ha poi deciso di intraprendere a partire dal 1996), trattandosi di un prodotto alimentare affine a quello dei surrogati del caffè, nonché la contiguità territoriale delle attività di impresa delle due società costituissero un insieme di circostanze che deponevano per la sussistenza di un pericolo di confusione per i terzi interessati in ordine all’identità dei soggetti interessati;
– parte ricorrente non contesta l’affermazione del principio, richiamato nella sentenza (ed espresso in Cass. 8 maggio 2009, n. 10587 ; Cass. 28 marzo 2007, n. 7651; Cass. 15 dicembre 1994, n. 10728; Cass. 13 novembre 1993, n. 11570), per cui ai fini della valutazione della possibilità di confusione tra le denominazioni di due società, alla stregua dell’art. 2564 cod. civ., per l’oggetto delle imprese ed il luogo in cui esse sono esercitate, assume rilevanza non tanto il rapporto tra le attività effettivamente svolte dalle società, quanto quello tra i rispettivi oggetti sociali, valutati anche in considerazione delle loro potenzialità espressive ed espansive e quindi con inclusione anche delle attività complementari e similari che potenzialmente potrebbero coltivare in futuro e che sono da parte del pubblico naturalmente associabili ad una determinata ditta;
– si lamenta, invece, della valutazione operata dalla Corte territoriale secondo cui quello del caffè sarebbe un mercato di naturale espansione per la CRASTAN Spa benché vi avesse fatto ingresso solo 97 anni dopo la sua costituzione;
– una siffatta critica, tuttavia, investe un accertamento che è riservato al giudice di merito, attenendo alla valutazione degli elementi probatori, per cui ne è precluso il sindacato dinanzi a questa Corte in relazione al vizio di violazione o falsa applicazione della legge (cfr.
Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2564 e 2567, secondo comma, cod. civ., per aver la Corte territoriale proceduto alla valutazione della confondibilità delle denominazioni sociali secondo un criterio analitico e non sintetico;
– con il terzo motivo si duole della nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 132 cod. proc. civ. e 118, disp. att., cod. proc. civ. su tale aspetto;
– i due motivi possono essere trattati unitariamente e sono l’uno inammissibile e l’altro infondato;
– come rilevato in precedenza, la Corte di appello ha ritenuto che le denominazioni sociali fossero confondibili in ragione della sostanziale identità del cognome CRASTAN presente in esse, della sovrapponibilità delle attività sociali esercitabili e della contiguità territoriale;
– diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente la Corte non ha proceduto a una valutazione atomistica dei singoli elementi contemplati dalla norma ma ha effettuato una valutazione complessiva degli elementi ritenuti rilevanti ed è giunta a ritenere sussistenza la confondibilità delle denominazioni sociali;
– la doglianza articolata sul punto, dunque, muove da un assunto non veritiero, ragione per cui risulta priva della necessaria concludenza;
– la riferita motivazione, poi, consente di individuare agevolmente l’iter argomentativo seguito dal giudice, per cui si sottrae alla censura articolata con il terzo motivo, avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale che nel caso in esame risulta essere presente (cfr.
Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso, più recentemente, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127);
– con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 26 R.D. 21 giugno 1942, n. 929, e 4 D.P.R. 8 maggio 1948, n. 795, nella parte in cui nel ritenere nullo il marchio “CRASTAN Caffè”, originariamente registrato al n. (Omissis), per difetto di novità rispetto ai marchi anteriori registrati dalla CRASTAN Spa, ha attribuito prevalenza ai campioni di tali marchi rispetto alle rispettive descrizioni;
– il motivo è inammissibile;
– la Corte di appello ha rilevato che benché nella descrizione dei marchi anteriori vantati dalla CRASTAN Spa non comparisse la parola “CRASTAN” la stessa era presente, “a caratteri evidenti”, sul campione del marchio depositato unitamente alla domanda di registrazione;
– ha, quindi, ritenuto che nella individuazione dell’oggetto della registrazione doveva prendersi in esame sia la descrizione dello stesso contenuta nella relativa domanda, sia l’esemplare alla stessa allegato e che all’esito dell’esame di entrambi i documenti, la parola “CRASTAN” contribuiva alla caratterizzazione del segno;
– solo quale ulteriore elemento argomentativo ha poi affermato che l’art. 26R.D. n. 929 del 1942 “pare (ndo) dare rilievo al campione di marchio depositato, piuttosto che alla descrizione”;
– tale statuizione, pertanto, non esprime la ratio decidendi, per cui la questione investita dalla doglianza pecca della necessaria concludenza;
– con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 17 e 47R.D. n. 929 del 1942, 12, 20 e 25 c.p.i. e 52 Regolamento CE n. 40/94, per aver la Corte di appello ritenuto che affini i prodotti commercializzati dalle parti;
– con il sesto motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 Cost., 132 cod. proc. civ. e 118, disp. att., cod. proc. civ. su tale punto;
– i due motivi possono essere trattati unitariamente e sono infondati;
– la Corte territoriale ha ritenuto che i prodotti commercializzati dalle due società fossero affini in ragione del fatto entrambi costituivano alimenti (rispettivamente surrogati di caffè e caffè), che il termine “surrogato”, secondo il suo significato letterale, evoca il concetto di sostituibilità con effetti e risultati analoghi e che caffè e surrogati di caffè rientrano nella stessa classe merceologica;
– la ricorrente contesta una siffatta valutazione evidenziando la non concludenza della riconducibilità dei prodotti a una medesima classe merceologica e della loro relazione di succedaneità, in quanto non espressiva della necessaria fungibilità;
– orbene deve rammentarsi che, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, per affini devono intendersi quei prodotti che per la loro natura e la loro destinazione alla medesima clientela o alla soddisfazione del medesimo bisogno risultano in misura rilevante fungibili e pertanto in concorrenza, cosicché la mancanza della distinzione precisa tra i segni che li identificano nel mercato comporta, per l’appunto, il rischio di confusione e, dunque, dell’illecita aggressione all’altrui avviamento ed all’altrui clientela (cfr. Cass. 22 dicembre 2004, n. 23787);
– se è vero che l’inclusione di due prodotti nella stessa classe non è idonea a provarne l’affinità (così, Cass. 18 agosto 2017, n. 20189), a diversa conclusione deve pervenirsi qualora i prodotti in comparazione siano strutturalmente diretti a soddisfare una specifica domanda di mercato tanto da risultare, anche per la loro sostituibilità, in concorrenza nel mercato di riferimento (così, la menzionata Cass. n. 23787 del 2004);
– la decisione impugnata, nel ritenere i prodotti affini in ragione (anche) della loro sostituibilità, risulta coerente con i richiamati principi;
– del pari, priva di pregio è la doglianza di vizio motivazionale avuto riguardo alla idoneità della sentenza a rendere palese e chiaro l’iter argomentativo seguito dai giudici (Cass. SU 22232/2016);
– con il settimo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli
artt. 1, 17 e 47 R.D. n. 929 del 1942, 12, 20 e 25 c.p.i. e 8 e 52 Reg. CE n. 40/94, nella parte in cui ha effettuato il giudizio di confondibilità dei marchi non in maniera globale, bensì analitica, fondato unicamente sulla presenza nei segni in comparazione del comune elemento rappresentato dalla parola “CRASTAN”;
– con l’ottavo motivo allega la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 111Cost., 132 cod. proc. civ. e 118, disp. att., cod. proc. civ. su tale aspetto;
– i due motivi possono essere trattati unitariamente e sono infondati;
– pur in assenza di una puntuale individuazione da parte della Corte di appello della tipologia del marchio contestato, dall’esame della sentenza sembra potersi evincere che lo stesso sia stato qualificato quale marchio complesso, avendo il giudice di merito accertato che lo stesso era composto da una parte denominativa e da una parte figurativa al cui interno la componente denominativa si inseriva;
– come noto, il marchio complesso consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dei quali dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile, e si distingue dal marchio d’insieme, in quanto in tale segno manca l’elemento caratterizzante e tutti i vari elementi sono singolarmente privi di distintività, derivando il valore distintivo, più o meno accentuato, soltanto dalla loro combinazione o, appunto, dal loro insieme (cfr. Cass. 18 maggio 2018, n. 12368; Cass. 18 gennaio 2013, n. 1249; Cass. 3 dicembre 2010, n, 24620);
– in presenza di un marchio complesso, la valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente e a paragonarla con un altro marchio, occorrendo procedere all’esame dei segni in conflitto considerati ciascuno nel suo insieme (Corte Giust. UE 18 settembre 2014, C-308/13 P e C-309/13 P, Società Italiana Calzature / UAMI; Corte Giust. UE 3 settembre 2009, C-498/07 P, Aceites del Sur-Coosur v Koipe; Corte Giust. UE 12 giugno 2007, C-334/05 P, UAMI/Shaker; in tal senso, anche, più recentemente, Trib. UE 8 febbraio 2019, T-67/17, Serendipity e a./ EUIPO – CKL Holdings);
– ciò non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere influenzata da una o più delle sue componenti e, in tali casi, laddove tutte le altre componenti assumano un rilievo trascurabile, la valutazione di somiglianza possa essere affidata al solo esame di tali componenti (cfr.
Cass. 24 luglio 2023, n. 22034; Cass. 15 dicembre 2022, n. 36862);
– la decisione della Corte territoriale non si pone in contrasto con tali principi e, pertanto, si sottrae alla censura articolata;
– anche con riferimento a tale statuizione la sentenza consente di individuare il percorso motivazionale seguito, per cui non si ravvisa il denunciato vizio motivazionale;
– con il nono motivo la ricorrente critica la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 17 e 47R.D. n. 929 del 1942, 12, 20 e 25 c.p.i. e 8 e 52 Reg. CE n. 40/94, in relazione all’omessa applicazione del principio di preclusione per coesistenza;
– con l’ultimo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, individuato nella protratta coesistenza, in due province prossime (L e P), di due imprese che in buona fede avevano entrambe utilizzato come denominazione sociale e marchio anche il nome “CRASTAN”;
– i due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili;
– il principio della preclusione per coesistenza – espresso nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 22 settembre 2011 (C-482/09, Budejovický Budvar) invocata dalla ricorrente – esclude che il titolare di un marchio anteriore possa ottenere l’annullamento di un marchio posteriore identico che designa prodotti identici in caso di uso simultaneo in buona fede e di lunga durata di tali due marchi d’impresa quando tale uso non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio d’impresa, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi (cfr., nella giurisprudenza nazionale, Cass. 3 agosto 2023, n. 23727);
– l’operatività di tale principio richiede, dunque, oltre che la coesistenza dei segni per una lunga durata, anche la buona fede degli operatori e l’assenza di pregiudizi, anche potenziali, alla funzione distintiva del marchio;
– tuttavia, nella sentenza impugnata non vi è alcun riscontro degli elementi della buona fede e dell’assenza di pericolo di pregiudizio per la funzione distintiva del marchio, per cui le doglianze risultano poggiare su un assunto fattuale di cui il giudice di merito non ha dato evidenza;
– pertanto, la doglianza articolata nel nono motivo non rispetta il requisito per la formulazione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, consistente nell’assunzione dell’accertamento di fatto come operato dal giudice del merito quale termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
– inammissibile è, altresì, il motivo formulato con il decimo e ultimo motivo, atteso che i fatti asseritamente non esaminati risultano essere privi del necessario carattere di decisività, in quanto inidonei a condurre necessariamente, laddove dimostrati, alla invalidazione, con un giudizio di certezza (o, comunque, di elevata probabilità logica), del convincimento del giudice di merito in ordine alla mancata applicazione del principio di preclusione per coesistenza, difettando la prova dell’assenza del pericolo di pregiudizio alla funzione distintiva dei marchi vantati dalla CRASTAN Spa (cfr. sul tema della decisività del fatto storico asseritamente non esaminato, Cass. 21 ottobre 2019, n. 26764; Cass., ord., 17 giugno 2019, n. 16214);
– pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
– le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 8.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2025.