deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria (3), considerando quanto segue:
È necessario stabilire a livello dell’Unione norme sul ripristino degli ecosistemi al fine di garantire il recupero di una natura ricca di biodiversità e resilienza in tutto il territorio dell’Unione. Il ripristino degli ecosistemi contribuisce inoltre agli obiettivi dell’Unione in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento ai medesimi.
La comunicazione della Commissione dell’11 dicembre 2019 dal titolo «Il Green Deal europeo» («Green Deal europeo») definisce una tabella di marcia ambiziosa per trasformare l’Unione in una società equa e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, volta a proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’Unione e a proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi e dagli impatti ambientali. Nell’ambito del Green Deal europeo, la comunicazione della Commissione del 20 maggio 2020 dal titolo
«Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2023 — Riportare la natura nella nostra vita» definisce la strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030.
(3) L’Unione e i suoi Stati membri sono parti della convenzione sulla diversità biologica (4). In quanto tali, si sono impegnati a rispettare la visione strategica a lungo termine adottata in occasione della decima riunione della conferenza delle parti di tale convenzione il 18-29 ottobre 2010 con la decisione X/2 «Piano strategico per la biodiversità 2011-2020», secondo cui, entro il 2050, la biodiversità deve essere valorizzata, conservata, ripristinata e usata con saggezza, mantenendo i servizi ecosistemici, sostenendo un pianeta sano e conseguendo vantaggi essenziali per tutte le persone.
Il quadro globale in materia biodiversità, adottato in occasione della quindicesima riunione della conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica tenutasi dal 7 al 19 dicembre 2022, stabilisce obiettivi operativi globali per un’azione urgente nel decennio fino al 2030. L’obiettivo 1 consiste nel garantire che tutti i settori siano oggetto di una pianificazione territoriale partecipativa, integrata e inclusiva in termini di biodiversità e/o di processi di gestione efficaci che affrontino il cambiamento di uso del suolo e del mare; portare a valori prossimi allo zero entro il 2030 la perdita di zone di elevata importanza in termini di biodiversità, compresi gli ecosistemi di elevata integrità ecologica, rispettando nel contempo i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali, come stabilito nella dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. L’obiettivo 2 consiste nel garantire che, entro il 2030, almeno il 30 % delle zone degli ecosistemi terrestri, idrici interni, marini e costieri degradati sia oggetto di un ripristino efficace, al fine di rafforzare la biodiversità e migliorare le funzioni e i servizi ecosistemici,
(1) GU C 140 del 21.4.2023, pag. 46.
(2) GU C 157 del 3.5.2023, pag. 38.
(3) Posizione del Parlamento europeo del 27 febbraio 2024 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 17 giugno 2024.
(4) GU L 309 del 13.12.1993, pag. 3.
l’integrità ecologica e la connettività. L’obiettivo 11 consiste nel ripristinare, mantenere e migliorare il contributo della natura alle persone, comprese le funzioni e i servizi ecosistemici, quali la regolazione dell’aria, dell’acqua e del clima, la salute del suolo, l’impollinazione e la riduzione del rischio di malattie, nonché la protezione dai rischi e dalle catastrofi naturali, attraverso soluzioni basate sulla natura e/o approcci ecosistemici a beneficio di tutte le persone e della natura. Il quadro globale in materia di biodiversità consentirà di compiere progressi verso il conseguimento degli obiettivi orientati ai risultati per il 2050.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, in particolare gli obiettivi 14.2, 15.1, 15.2 e 15.3, fanno riferimento alla necessità di garantire la conservazione, il ripristino e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi di acqua dolce e terrestri e dei loro servizi, in modo particolare delle foreste, delle zone umide, delle montagne e delle zone aride.
Nella risoluzione del 1o marzo 2019, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il periodo 2021-2030 il decennio delle Nazioni Unite per il ripristino degli ecosistemi, con l’obiettivo di sostenere e intensificare gli sforzi per prevenire, fermare e invertire il degrado degli ecosistemi in tutto il mondo e sensibilizzare in merito all’importanza del ripristino degli ecosistemi.
La strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 mira a garantire che la biodiversità europea sia riportata sulla via della ripresa entro il 2030, nell’interesse delle persone, del pianeta, del clima e della nostra economia. Stabilisce un ambizioso piano dell’UE di ripristino della natura corredato di una serie di impegni fondamentali, tra cui quello di presentare una proposta di obiettivi di ripristino della natura nell’UE giuridicamente vincolanti al fine di ripristinare gli ecosistemi degradati, in particolare quelli potenzialmente più in grado di catturare e stoccare il carbonio nonché di prevenire e ridurre l’impatto delle catastrofi naturali.
Nella risoluzione del 9 giugno 2021 sulla Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 il Parlamento europeo ha accolto con grande favore l’impegno a elaborare una proposta legislativa con obiettivi vincolanti di ripristino della natura, ritenendo che, oltre a un obiettivo di ripristino generale, dovrebbero essere inclusi obiettivi di ripristino specifici per gli ecosistemi, gli habitat e le specie, che riguardino foreste, praterie (formazioni erbose), zone umide, torbiere, impollinatori, fiumi a scorrimento libero, zone costiere ed ecosistemi marini.
Nelle conclusioni del 23 ottobre 2020 il Consiglio ha riconosciuto che prevenire un ulteriore declino dell’attuale stato della biodiversità e della natura sarà fondamentale, ma non sufficiente a riportare la natura nelle nostre vite. Ha ribadito che occorre rafforzare l’ambizione sul fronte del ripristino della natura, come proposto nel nuovo piano dell’UE in materia che include misure volte a proteggere e ripristinare la biodiversità al di là delle zone protette. Il Consiglio ha inoltre dichiarato di attendersi una proposta di obiettivi di ripristino giuridicamente vincolanti, sottoposta a una valutazione d’impatto.
La strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 stabilisce l’impegno a proteggere giuridicamente almeno il 30 % della superficie terrestre, comprese le acque interne, e il 30 % dei mari dell’Unione, di cui almeno un terzo dovrebbe essere oggetto di una protezione rigorosa, comprese tutte le foreste primarie e antiche ancora esistenti. I criteri e gli orientamenti per la designazione di ulteriori zone protette da parte degli Stati membri («Criteri e orientamenti»), elaborati dalla Commissione nel 2022 in collaborazione con gli Stati membri e i portatori di interessi, sottolineano che se, una volta che il ripristino avrà prodotto tutti i suoi effetti, le zone ripristinate rispettano o si prevede che rispettino i criteri per le zone protette, esse dovrebbero contribuire anche al conseguimento degli obiettivi dell’Unione in materia di zone protette. Nei Criteri e orientamenti si sottolinea inoltre che le zone protette possono offrire un importante contributo agli obiettivi di ripristino della strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, creando le condizioni per il buon esito degli sforzi di ripristino. Ciò vale in particolare per le zone che possono riprendersi naturalmente se si mette fine o si limitano alcune pressioni derivanti dalle attività umane. Per garantire il recupero delle ricchezze naturali che ospitano, in alcuni casi basterà sottoporre queste zone, anche dell’ambiente marino, a una protezione rigorosa. Nei Criteri e orientamenti si sottolinea anche che tutti gli Stati membri sono tenuti a contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione in materia di zone protette stabiliti dalla strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, in misura proporzionata alle ricchezze naturali che ospitano e al loro potenziale di ripristino della natura.
La strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 stabilisce l’obiettivo di garantire che non si verifichi un deterioramento delle tendenze o dello stato di conservazione degli habitat e delle specie protetti e che almeno il 30 % delle specie e degli habitat il cui attuale stato di conservazione non è soddisfacente lo diventi o evidenzi una netta tendenza positiva in modo da raggiungere questo stato entro il 2030. Gli orientamenti elaborati dalla Commissione, in collaborazione con gli Stati membri e i portatori di interessi, per sostenere il raggiungimento di tali obiettivi sottolineano che è probabile che siano necessari sforzi di mantenimento e ripristino per la maggior parte di tali habitat e specie mediante interventi che pongano fine alle attuali tendenze negative entro il 2030, mantengano le tendenze attualmente stabili o di segno positivo, o impediscano il declino di habitat e specie il cui stato di
conservazione è soddisfacente. Rilevano inoltre che tali sforzi di ripristino devono essere pianificati, attuati e coordinati principalmente a livello nazionale o regionale e che, nella selezione e nella definizione delle priorità delle specie e degli habitat da migliorare entro il 2030, occorre ricercare sinergie con altri obiettivi dell’Unione e internazionali, in particolare con gli obiettivi della politica ambientale o climatica.
La relazione della Commissione del 15 ottobre 2020 dal titolo «Lo stato della natura nell’Unione europea» («relazione 2020 sullo stato della natura») ha rilevato che l’Unione non è ancora riuscita ad arginare il calo dei tipi di habitat e delle specie protetti la cui conservazione è motivo di preoccupazione nell’Unione. Questo calo è dovuto principalmente all’abbandono dell’agricoltura estensiva, all’intensificazione delle pratiche di gestione, alla modifica dei regimi idrologici, all’urbanizzazione e all’inquinamento, nonché alle attività forestali non sostenibili e allo sfruttamento delle specie. Inoltre, le specie esotiche invasive e i cambiamenti climatici rappresentano minacce importanti e crescenti per la fauna e la flora autoctone dell’Unione.
Il Green Deal europeo porterà a una progressiva e profonda trasformazione dell’economia dell’Unione e dei suoi Stati membri, che a sua volta avrà un forte impatto sull’azione esterna dell’Unione. È importante che l’Unione utilizzi la sua politica commerciale e la sua vasta rete di accordi commerciali per dialogare con i partner sulla protezione dell’ambiente e della biodiversità anche a livello mondiale, promuovendo nel contempo condizioni di parità.
È opportuno fissare un obiettivo generale per il ripristino degli ecosistemi al fine di favorire la trasformazione economica e sociale, la creazione di posti di lavoro di elevata qualità e una crescita sostenibile. Gli ecosistemi ricchi di biodiversità come le zone umide, le acque dolci, le foreste e gli ecosistemi agricoli, scarsamente vegetati, marini, costieri e urbani forniscono, se in buono stato, una serie di servizi ecosistemici essenziali e i benefici del ripristino del buono stato degli ecosistemi degradati in tutte le zone terrestri e marine superano di gran lunga i costi. Questi servizi contribuiscono a un’ampia gamma di benefici socioeconomici, in funzione delle caratteristiche economiche, sociali, culturali, regionali e locali.
La Commissione statistica delle Nazioni Unite ha adottato il Sistema di contabilità economico-ambientale — Contabilità degli ecosistemi (System of Environmental Economic Accounting — Ecosystem Accounting — SEEA EA) in occasione della sua 52a sessione nel marzo 2021. Il SEEA EA costituisce un quadro statistico integrato e completo che serve a organizzare i dati concernenti gli habitat e i paesaggi, misurare la portata, le condizioni e i servizi degli ecosistemi, monitorare l’evoluzione delle risorse degli ecosistemi e collegare tali informazioni all’attività economica e ad altre attività umane.
La disponibilità di ecosistemi ricchi di biodiversità e la lotta ai cambiamenti climatici sono intrinsecamente collegate. La natura e le soluzioni basate sulla natura, compresi gli stock e i pozzi naturali di assorbimento di carbonio, sono fondamentali per combattere la crisi climatica. Allo stesso tempo, la crisi climatica è già un fattore di cambiamento degli ecosistemi terrestri e marini e l’Unione deve prepararsi a un aumento dell’intensità, della frequenza e della pervasività dei suoi effetti. La relazione speciale del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change — IPCC) sugli effetti del riscaldamento globale di 1,5 oC ha sottolineato che alcuni impatti possono essere duraturi o irreversibili. Nella sesta relazione di valutazione dell’IPCC si afferma che il ripristino degli ecosistemi sarà fondamentale per contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici e anche per ridurre i rischi per la sicurezza alimentare. La piattaforma intergovernativa di politica scientifica per la biodiversità e i servizi ecosistemici (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services — IPBES), nella sua relazione di valutazione globale del 2019 sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, considera i cambiamenti climatici un fattore chiave dei cambiamenti nella natura e prevede che gli effetti dei cambiamenti climatici aumenteranno nel corso dei prossimi decenni, superando in alcuni casi l’impatto di altri fattori di cambiamento degli ecosistemi, come i cambiamenti dell’uso dei suoli e dei mari.
(17) Il regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio (5) stabilisce l’obiettivo vincolante della neutralità climatica nell’Unione entro il 2050 e, successivamente, del conseguimento di emissioni negative, dando priorità a riduzioni rapide e prevedibili delle emissioni e, nel contempo, potenziando degli assorbimenti dai pozzi naturali. Il ripristino degli ecosistemi può contribuire in ampia misura a mantenere, gestire e migliorare i pozzi naturali e a incrementare la biodiversità, contrastando nel contempo i cambiamenti climatici. Il regolamento (UE) 2021/1119 impone inoltre alle istituzioni competenti dell’Unione e agli Stati membri di garantire progressi costanti nel rafforzamento della capacità di adattamento e della resilienza nonché nella riduzione della vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Richiede inoltre agli Stati membri di integrare l’adattamento in tutti i settori di intervento e di promuovere un adattamento basato sugli ecosistemi e soluzioni basate sulla natura. Le soluzioni basate sulla natura
(5) Regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 giugno 2021, che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento (CE) n. 401/2009 e il regolamento (UE) 2018/1999 («Normativa europea sul clima») (GU L 243 del 9.7.2021, pag. 1).
sono quelle ispirate alla natura e da essa supportate, sono convenienti, forniscono al contempo benefici ambientali, sociali ed economici e contribuiscono a creare resilienza. Tali soluzioni apportano una presenza maggiore, e più diversificata, della natura nonché delle caratteristiche e dei processi naturali nelle città e nei paesaggi terrestri e marini tramite interventi sistemici adattati localmente ed efficienti sotto il profilo delle risorse. Le soluzioni basate sulla natura devono pertanto favorire la biodiversità e sostenere la fornitura di una serie di servizi ecosistemici.
La comunicazione della Commissione del 24 febbraio 2021 dal titolo «Plasmare un’Europa resiliente ai cambiamenti climatici — La nuova strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climatici» sottolinea la necessità di promuovere soluzioni basate sulla natura e riconosce che un adattamento ai cambiamenti climatici efficace sotto il profilo dei costi può essere conseguito proteggendo e ripristinando le zone umide e le torbiere nonché gli ecosistemi costieri e marini, sviluppando spazi verdi urbani, installando tetti e muri verdi e promuovendo e gestendo in modo sostenibile le foreste e i terreni agricoli. La presenza di un maggior numero di ecosistemi ricchi di biodiversità determina una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici e offre modalità più efficaci di riduzione e prevenzione delle catastrofi.
La politica climatica dell’Unione è in fase di revisione al fine di seguire il percorso indicato nel regolamento (UE) 2021/1119 per ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. In particolare, il regolamento (UE) 2023/839 del Parlamento europeo e del Consiglio (6) mira a rafforzare il contributo del settore del suolo all’ambizione globale in materia di clima per il 2030 e allinea gli obiettivi concernenti la contabilizzazione delle emissioni e degli assorbimenti risultanti dal settore dell’uso del suolo, dei cambiamenti di uso del suolo e della silvicoltura (land use, land use change and forestry — LULUCF) alle iniziative strategiche correlate in materia di biodiversità. Il regolamento pone l’accento sulla necessità di proteggere e potenziare gli assorbimenti di carbonio basati sulla natura, migliorare la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici, ripristinare i terreni e gli ecosistemi degradati e riumidificare le torbiere. Mira inoltre a migliorare il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti dei gas a effetto serra dei terreni oggetto di misure di protezione e ripristino. In tale contesto, è importante che gli ecosistemi di tutte le categorie di terreni, compresi i pascoli (formazioni erbose), le foreste, le terre coltivate e le zone umide, siano in buono stato in modo da poter catturare e immagazzinare il carbonio in maniera efficace.
Come indicato nella comunicazione della Commissione del 23 marzo 2022 dal titolo «Proteggere la sicurezza alimentare e rafforzare la resilienza dei sistemi alimentari», gli sviluppi della situazione geopolitica hanno ulteriormente evidenziato la necessità di salvaguardare la resilienza dei sistemi alimentari. È comprovato che il ripristino degli ecosistemi agricoli ha effetti positivi sulla produttività alimentare a lungo termine e che il ripristino della natura funge da polizza assicurativa per garantire la sostenibilità e la resilienza a lungo termine dell’Unione.
Nella relazione finale della Conferenza sul futuro dell’Europa di maggio 2022, i cittadini invitano l’Unione a proteggere e ripristinare la biodiversità, i paesaggi e gli oceani, a eliminare l’inquinamento e a promuovere la conoscenza, la sensibilizzazione, l’istruzione e il dialogo in materia di ambiente, cambiamenti climatici, uso dell’energia e sostenibilità.
Il ripristino degli ecosistemi, associato agli sforzi volti a ridurre il commercio e il consumo di flora e fauna selvatiche, contribuirà inoltre a prevenire possibili future malattie trasmissibili con potenziale zoonotico e a rafforzare la resilienza di fronte a queste malattie, riducendo così il rischio di epidemie e pandemie, e contribuirà a sostenere gli sforzi dell’Unione e a livello mondiale per applicare l’approccio «One Health», che riconosce il nesso intrinseco tra la salute umana, la salute animale e una natura integra e resiliente.
I suoli sono parte integrante degli ecosistemi terrestri. La comunicazione della Commissione del 17 novembre 2021 dal titolo «Strategia dell’UE per il suolo 2030 — Suoli sani a vantaggio delle persone, degli alimenti, della natura e del clima» delinea la necessità di ripristinare i suoli degradati e di migliorare la biodiversità del suolo. Il Meccanismo Globale, un organismo creato nel quadro della convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione nei paesi gravemente colpiti dalla siccità e/o dalla desertificazione, in particolare in Africa (7), e il segretariato di tale convenzione hanno istituito il programma per la definizione di obiettivi di neutralità in termini di degrado del suolo al fine di aiutare i paesi a raggiungere la neutralità in termini di degrado del suolo entro il 2030.
(6) Regolamento (UE) 2023/839 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 aprile 2023, che modifica il regolamento (UE) 2018/841 per quanto riguarda l’ambito di applicazione, semplificando le norme di comunicazione e conformità e stabilendo gli obiettivi degli Stati membri per il 2030, e il regolamento (UE) 2018/1999 per quanto riguarda il miglioramento del monitoraggio, della comunicazione, della rilevazione dei progressi e della revisione (GU L 107 del 21.4.2023, pag. 1).
(7) GU L 83 del 19.3.1998, pag. 3.
(24) La direttiva 92/43/CEE del Consiglio (8) e la direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (9) mirano a garantire la protezione, la conservazione e la sopravvivenza a lungo termine delle specie e degli habitat più preziosi e minacciati d’Europa, nonché degli ecosistemi di cui fanno parte. Natura 2000, la più grande rete coordinata di aree protette al mondo istituita nel 1992, è lo strumento chiave per la realizzazione degli obiettivi di queste due direttive. È opportuno che il presente regolamento si applichi al territorio europeo degli Stati membri cui si applicano i trattati, allineandosi in tal modo alle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE, come pure alla direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (10).
La Commissione ha messo a punto un quadro e orientamenti per determinare il buono stato dei tipi di habitat protetti in virtù della direttiva 92/43/CEE e per determinare la qualità e la quantità sufficienti degli habitat delle specie che rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Gli obiettivi di ripristino per questi tipi di habitat e habitat di specie possono essere fissati sulla base di questo quadro e questi orientamenti. Tuttavia, il ripristino che ne risulta non sarà sufficiente a invertire la perdita di biodiversità e a consentire il recupero di tutti gli ecosistemi. È pertanto opportuno stabilire obblighi supplementari basati su indicatori specifici al fine di migliorare la biodiversità a livello di ecosistemi più ampi.
Sulla base delle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE e al fine di sostenere il conseguimento degli obiettivi ivi stabiliti, gli Stati membri dovrebbero mettere in atto misure di ripristino per garantire il recupero degli habitat e delle specie protetti, compresi gli uccelli selvatici, in tutte le regioni dell’Unione, anche in zone che non rientrano tra i siti di Natura 2000.
La direttiva 92/43/CEE mira a mantenere o ripristinare, in uno stato di conservazione soddisfacente, gli habitat naturali e le specie di fauna e flora selvatiche di interesse unionale. Tuttavia, non fissa un termine per il conseguimento di tale obiettivo. Analogamente, la direttiva 2009/147/CE non stabilisce un termine per il recupero delle popolazioni di uccelli nell’Unione.
È opportuno fissare un termine per l’attuazione delle misure di ripristino all’interno e al di fuori dei siti Natura 2000, al fine di migliorare gradualmente lo stato dei tipi di habitat protetti in tutta l’Unione e al fine di ristabilirli fino a quando non sarà raggiunta la superficie di riferimento favorevole necessaria perché pervengano a uno stato di conservazione soddisfacente. Nell’attuazione delle misure di ripristino gli Stati membri dovrebbero dare priorità, se del caso e fino al 2030, alle zone dei tipi di habitat che non sono in buono stato e che sono situate nei siti Natura 2000, considerato il ruolo essenziale di tali siti per la conservazione della natura e il fatto che, ai sensi del diritto dell’Unione vigente, esiste già l’obbligo di istituire sistemi efficaci per garantire l’efficacia a lungo termine delle misure di ripristino nei siti Natura 2000. Al fine di concedere agli Stati membri la flessibilità necessaria per intraprendere iniziative di ripristino su vasta scala, è opportuno che gli Stati membri mantengano la possibilità di mettere in atto misure di ripristino nelle zone dei tipi di habitat che non sono in buono stato e che sono situate al di fuori dei siti Natura 2000, laddove giustificato da circostanze e condizioni locali specifiche. Inoltre, è opportuno raggruppare i tipi di habitat in funzione dell’ecosistema cui appartengono e fissare gli obiettivi per gruppi di tipi di habitat, con scadenze definite e quantificati in base alla superficie. Ciò consentirebbe agli Stati membri di scegliere quali habitat ripristinare per primi all’interno di un determinato gruppo.
Le prescrizioni stabilite per gli habitat delle specie che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 92/43/CEE e per gli habitat degli uccelli selvatici che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/147/CE dovrebbero essere analoghe, tenendo conto in particolare della connettività necessaria tra questi due habitat affinché le popolazioni delle specie possano prosperare.
È necessario che le misure di ripristino per tipi di habitat siano adeguate e idonee affinché tali tipi di habitat raggiungano un buono stato e affinché siano stabilite superfici di riferimento favorevoli il più rapidamente possibile, al fine di conseguire uno stato di conservazione soddisfacente di tali tipi di habitat. È importante che le misure di ripristino siano quelle necessarie per conseguire gli obiettivi con scadenze definite e quantificati in base alla superficie. È inoltre necessario che le misure di ripristino degli habitat delle specie siano adeguate e idonee a raggiungere il più rapidamente possibile la qualità e quantità sufficienti al fine di conseguire uno stato di conservazione soddisfacente delle specie.
(8) Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7).
(9) Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 20 del 26.1.2010, pag. 7).
(10) Direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino) (GU L 164 del 25.6.2008, pag. 19).
Le misure di ripristino messe in atto ai sensi del presente regolamento per ripristinare o mantenere determinati tipi di habitat di cui all’allegato I, come i tipi di habitat di formazioni erbose, brughiere o zone umide, potrebbero in alcuni casi richiedere la rimozione delle foreste al fine di reintrodurre una gestione basata sulla conservazione, che potrebbe includere attività quali lo sfalcio o il pascolo. Il ripristino della natura e l’arresto della deforestazione sono entrambi obiettivi ambientali importanti che si rafforzano a vicenda. La Commissione elaborerà orientamenti, come indicato al considerando 36 del regolamento (UE) 2023/1115 del Parlamento europeo e del Consiglio (11), al fine di chiarire l’interpretazione della definizione di «uso agricolo» di cui a tale regolamento, in particolare in relazione alla conversione di aree forestali in terreni la cui destinazione non è l’uso agricolo.
È importante garantire che le misure di ripristino messe in atto a norma del presente regolamento apportino un miglioramento concreto e misurabile dello stato degli ecosistemi, sia a livello delle singole zone soggette a ripristino sia a livello nazionale e dell’Unione.
Per garantire che le misure di ripristino siano efficaci e che i loro risultati possano essere misurati nel tempo, è essenziale che le aree soggette a queste misure di ripristino, destinate a migliorare lo stato degli habitat che rientrano nell’ambito di applicazione dell’allegato I della direttiva 92/43/CEE, ristabilirli e migliorarne la connettività, registrino costanti miglioramenti fino al raggiungimento di un buono stato.
È inoltre essenziale che le zone soggette a misure di ripristino intese a migliorare la qualità e la quantità degli habitat delle specie che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 92/43/CEE, nonché degli habitat degli uccelli selvatici che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/147/CE, registrino costanti miglioramenti verso il conseguimento di una quantità e di una qualità sufficienti degli habitat di queste specie.
È importante garantire un aumento graduale, in tutto il territorio europeo degli Stati membri e nell’insieme dell’Unione, delle superfici coperte dai tipi di habitat oggetto della direttiva 92/43/CEE che si trovano in buone condizioni, fino a quando non si raggiunge la superficie di riferimento favorevole per ciascun tipo di habitat e almeno il 90 % di tali superfici a livello di Stato membro sia in buono stato, in modo da consentire a questi tipi di habitat di conseguire uno stato di conservazione soddisfacente nell’Unione. Ove debitamente giustificato e per i tipi di habitat che sono molto comuni e diffusi nell’Unione e coprono oltre il 3 % del territorio europeo dello Stato membro interessato, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati ad applicare una percentuale inferiore al 90 % per la superficie che deve essere in buono stato per i singoli tipi di habitat di cui all’allegato I del presente regolamento, laddove tale percentuale non impedisca il raggiungimento o il mantenimento a livello biogeografico nazionale di uno stato di conservazione soddisfacente per tali tipi di habitat, determinato a norma dell’articolo 1, lettera e), della direttiva 92/43/CEE. Ove applichi tale deroga, lo Stato membro dovrebbe giustificarla nel proprio piano nazionale di ripristino.
È importante garantire un aumento graduale, in tutto il territorio europeo degli Stati membri e nell’insieme dell’Unione, della qualità e della quantità degli habitat delle specie che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 92/43/CEE, nonché degli habitat degli uccelli selvatici che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/147/CE, fino a quando non saranno sufficienti a garantire la sopravvivenza a lungo termine di queste specie.
È importante che gli Stati membri mettano in atto misure volte a far sì che le zone coperte dai tipi di habitat rientranti nell’ambito di applicazione del presente regolamento soggette a misure di ripristino mostrino un costante miglioramento dello stato fino al raggiungimento di un buono stato e che gli Stati membri mettano in atto misure volte a far sì che, una volta raggiunto un buono stato, tali tipi di habitat non si deteriorino in misura significativa in modo da non comprometterne il mantenimento a lungo termine o il raggiungimento di un buono stato. Il fatto di non conseguire questi risultati non implica il mancato rispetto dell’obbligo di mettere in atto misure idonee a conseguirli. È altresì importante che gli Stati membri cerchino di adoperarsi per prevenire un deterioramento significativo delle zone coperte da tali tipi di habitat che sono già in buono stato o che non sono in buono stato ma che non sono ancora soggette a misure di ripristino. Tali misure sono importanti per evitare l’aumento delle esigenze di ripristino in futuro e dovrebbero concentrarsi sulle superfici dei tipi di habitat, individuate dagli Stati membri nei rispettivi piani nazionali di ripristino, il cui ripristino è necessario per conseguire gli obiettivi di ripristino. È opportuno considerare l’eventualità di casi di forza maggiore, come le catastrofi naturali, che potrebbero comportare
(11) Regolamento (UE) 2023/1115 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 maggio 2023, relativo alla messa a disposizione sul mercato dell’Unione e all’esportazione dall’Unione di determinate materie prime e determinati prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale e che abroga il regolamento (UE) n. 995/2010 (GU L 150 del 9.6.2023, pag. 206).
il deterioramento di zone coperte da tali tipi di habitat, nonché di trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici. Al di fuori dei siti Natura 2000 è opportuno considerare anche il risultato di un piano o di un progetto di interesse pubblico prevalente per il quale non sono disponibili soluzioni alternative meno dannose. Per le zone soggette a misure di ripristino, ciò dovrebbe essere determinato caso per caso. Per i siti Natura 2000, i piani e i progetti sono autorizzati a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CEE. È opportuno garantire che gli Stati membri mantengano la possibilità, in assenza di alternative, di applicare l’obbligo di non deterioramento a livello di ciascuna regione biogeografica del loro territorio per ciascun tipo di habitat e ciascun habitat di specie. Tale possibilità dovrebbe essere consentita a determinate condizioni, compresa l’adozione di misure di compensazione per ogni caso di deterioramento significativo. Se, come risultato ricercato di una misura di ripristino, una zona è trasformata da un tipo di habitat rientrante nell’ambito di applicazione del presente regolamento a un altro tipo di habitat rientrante nell’ambito di applicazione del presente regolamento, la zona in questione non dovrebbe essere considerata una zona che si è deteriorata.
Ai fini delle deroghe agli obblighi di miglioramento costante e di non deterioramento al di fuori dei siti Natura 2000 nell’ambito del presente regolamento, gli Stati membri dovrebbero presumere che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, la loro connessione alla rete, la rete stessa e gli impianti di stoccaggio siano di interesse pubblico prevalente. Gli Stati membri dovrebbero poter decidere di limitare l’applicazione di tale presunzione in circostanze debitamente giustificate e specifiche, come ad esempio motivi connessi alla difesa nazionale. Gli Stati membri dovrebbero inoltre poter esentare tali progetti relativi alle energie rinnovabili dall’obbligo che non vi siano disponibili soluzioni alternative meno dannose ai fini dell’applicazione di tali deroghe, a condizione che i progetti siano stati oggetto di una valutazione ambientale strategica o di una valutazione dell’impatto ambientale. Il fatto di considerare tali impianti di interesse pubblico prevalente e, se del caso, limitare l’obbligo di valutare soluzioni alternative meno dannose consentirebbe a tali progetti di beneficiare di una valutazione semplificata per quanto riguarda le deroghe alla valutazione dell’interesse pubblico prevalente ai sensi del presente regolamento.
È opportuno dare la massima priorità alle attività il cui unico scopo è la difesa o la sicurezza nazionale. Pertanto, quando attuano misure di ripristino, gli Stati membri dovrebbero poter esentare le zone utilizzate per le suddette attività, qualora tali misure siano ritenute incompatibili con un continuo uso militare delle zone in questione. Inoltre, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente regolamento in materia di deroghe agli obblighi di miglioramento costante e di non deterioramento al di fuori dei siti Natura 2000, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati a presumere che i piani e i progetti riguardanti tali attività siano di interesse pubblico prevalente. Gli Stati membri dovrebbero inoltre poter esentare tali piani e progetti dall’obbligo che non vi siano disponibili soluzioni alternative meno dannose. Tuttavia, qualora applichino tale esenzione, gli Stati membri dovrebbero essere tenuti a mettere in atto misure, per quanto ragionevole e fattibile, volte a mitigare l’impatto di tali piani e progetti sui tipi di habitat.
La strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 sottolinea la necessità di un’azione più incisiva per ripristinare gli ecosistemi marini degradati, compresi quelli ricchi di carbonio e le zone importanti di riproduzione e crescita del novellame. Tale strategia indica inoltre che la Commissione proporrà un nuovo piano d’azione per la conservazione delle risorse alieutiche e la protezione degli ecosistemi marini.
I tipi di habitat marini che figurano nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE sono definiti a grandi linee e comprendono molti sottotipi ecologicamente diversi caratterizzati da potenziali di ripristino diversi, il che rende difficile per gli Stati membri mettere in atto misure di ripristino adeguate a livello di questi tipi di habitat. È opportuno pertanto specificare ulteriormente i tipi di habitat marini che figurano nell’allegato I della suddetta direttiva utilizzando i pertinenti livelli di classificazione del sistema UE d’informazione sulla natura (European nature information system — EUNIS). Gli Stati membri dovrebbero stabilire le superfici di riferimento favorevoli per il raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente per ciascuno di questi tipi di habitat, nella misura in cui tali superfici di riferimento non siano già contemplate in altre normative dell’Unione. Il gruppo di tipi di habitat marini caratterizzati da sedimenti morbidi, corrispondenti ad alcuni dei tipi generali di habitat bentonici specificati nella direttiva 2008/56/CE, è ampiamente rappresentato nelle acque marine di vari Stati membri. Gli Stati membri dovrebbero pertanto essere autorizzati a limitare le misure di ripristino attuate gradualmente a una percentuale inferiore della superficie di tali tipi di habitat che non sono in buono stato, a patto che ciò non impedisca il conseguimento o il mantenimento di un buono stato ecologico quale determinato a norma della direttiva 2008/56/CE, tenendo conto in particolare dei valori soglia fissati per i descrittori per la determinazione del buono stato ecologico di cui ai punti 1 e 6 dell’allegato I di tale direttiva stabiliti conformemente all’articolo 9, paragrafo 3, della stessa, per l’entità della perdita di tali tipi di habitat, per gli effetti negativi sulla condizione di tali tipi di habitat e per l’entità massima ammessa di tali effetti negativi.
Qualora la protezione degli habitat costieri e marini richieda che le attività di pesca o di acquacoltura siano regolamentate, si applica la politica comune della pesca (PCP). Il regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (12) prevede, in particolare, che la PCP attui un approccio ecosistemico in materia di gestione della pesca in modo da garantire che gli impatti negativi delle attività di pesca sull’ecosistema marino siano ridotti al minimo. Il regolamento prevede inoltre che la PCP si adoperi per garantire che le attività di acquacoltura e di pesca evitino il degrado dell’ambiente marino.
Al fine di conseguire l’obiettivo di un recupero continuo, a lungo termine e duraturo della biodiversità e della resilienza della natura, gli Stati membri dovrebbero sfruttare appieno le possibilità offerte dalla PCP. Nell’ambito della competenza esclusiva dell’Unione per quanto riguarda la conservazione delle risorse biologiche marine, gli Stati membri hanno la possibilità di adottare misure non discriminatorie per la conservazione e la gestione degli stock ittici e per il mantenimento o il miglioramento dello stato di conservazione degli ecosistemi marini entro il limite di
12 miglia nautiche. Inoltre, gli Stati membri che hanno un interesse di gestione diretto, quale definito nel regolamento (UE) n. 1380/2013, possono concordare di presentare raccomandazioni comuni concernenti le misure di conservazione necessarie ai fini del rispetto degli obblighi previsti dal diritto dell’Unione in materia ambientale. Qualora uno Stato membro includa, nel proprio piano nazionale di ripristino, misure di conservazione necessarie per contribuire agli obiettivi del presente regolamento e tali misure di conservazione richiedano la presentazione di raccomandazioni comuni, lo Stato membro interessato dovrebbe avviare consultazioni e presentare tali raccomandazioni comuni entro un termine che ne consenta l’adozione tempestiva prima dello scadere dei rispettivi termini, allo scopo di promuovere la coerenza tra le diverse politiche di conservazione degli ecosistemi marini. Queste misure devono essere valutate e adottate conformemente alle norme e alle procedure previste dalla PCP.
La direttiva 2008/56/CE impone agli Stati membri di cooperare a livello bilaterale e nell’ambito di meccanismi di cooperazione regionale e subregionale, ivi comprese le convenzioni marittime regionali, segnatamente la convenzione per la protezione dell’ambiente marino nell’Atlantico nordorientale (13), la convenzione sulla protezione dell’ambiente marino nella zona del Mar Baltico (14), la convenzione per la protezione dell’ambiente marino e del litorale del Mediterraneo (15) e la convenzione per la protezione del Mar Nero, firmata a Bucarest il
21 aprile 1992, nonché, per quanto riguarda le misure nel settore della pesca, nei gruppi regionali istituiti nell’ambito della PCP.
È importante che siano messe in atto misure di ripristino anche per gli habitat di determinate specie marine, quali squali e razze, che rientrano nell’ambito di applicazione, ad esempio, della convenzione sulla conservazione delle specie migratrici della fauna selvatica, firmata a Bonn il 23 giugno 1979, o degli elenchi di specie in pericolo o minacciate di cui alle convenzioni marittime regionali, ma non in quello della direttiva 92/43/CEE, giacché svolgono una funzione importante nell’ecosistema.
Per sostenere il ripristino e il non deterioramento degli habitat terrestri, di acqua dolce, costieri e marini, gli Stati membri hanno la possibilità di designare altre zone come «zone protette» o «zone rigorosamente protette», attuare altre misure di conservazione efficaci in base alla superficie e promuovere misure di conservazione dei terreni privati.
Gli ecosistemi urbani rappresentano circa il 22 % della superficie terrestre dell’Unione ed è qui che vive la maggioranza dei cittadini dell’Unione. Gli spazi verdi urbani comprendono, tra l’altro, boschi, parchi e giardini urbani, fattorie urbane, strade alberate, prati e siepi urbane. Gli ecosistemi urbani, come gli altri ecosistemi oggetto del presente regolamento, costituiscono habitat importanti per la biodiversità, in particolare per le piante, gli uccelli e gli insetti, compresi gli impollinatori. Forniscono inoltre molti altri servizi ecosistemici essenziali, tra cui la riduzione e il contenimento del rischio di catastrofi naturali, ad esempio per le inondazioni e gli effetti «da isole di calore urbano», il raffrescamento, le attività ricreative, la depurazione dell’acqua e dell’aria, nonché la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. L’aumento dello spazio verde urbano è un parametro importante per misurare l’aumento della capacità degli ecosistemi urbani di fornire questi servizi essenziali. Incrementare la copertura vegetale in una determinata area urbana rallenta il deflusso delle acque, riducendo così il rischio di inquinamento dei fiumi dovuto alle tracimazioni causate da piogge violente, e contribuisce a contenere le temperature estive, rafforzando così la resilienza climatica, oltre ad offrire alla natura uno spazio supplementare per prosperare. Aumentare il livello degli spazi verdi urbani migliorerà, in molti casi, la salute dell’ecosistema urbano.
(12) Regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, relativo alla politica comune della pesca, che modifica i regolamenti (CE) n. 1954/2003 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga i regolamenti (CE)
n. 2371/2002 e (CE) n. 639/2004 del Consiglio, nonché la decisione 2004/585/CE del Consiglio (GU L 354 del 28.12.2013, pag. 22).
(13) GU L 104 del 3.4.1998, pag. 2.
(14) GU L 73 del 16.3.1994, pag. 20.
(15) GU L 240 del 19.9.1977, pag. 3.
A loro volta, ecosistemi urbani sani sono essenziali per favorire la salute di altri ecosistemi europei fondamentali, ad esempio grazie al fatto di collegare le aree naturali situate nelle zone rurali circostanti, di migliorare la salute dei fiumi lontano dalla città, di offrire un rifugio e un luogo di riproduzione per le specie di uccelli e impollinatori legate agli habitat agricoli e forestali, nonché di fornire habitat importanti per gli uccelli migratori.
Occorre rafforzare notevolmente le azioni volte a scongiurare il rischio di riduzione della copertura di spazi verdi urbani, in particolare di alberi. Al fine di garantire che gli spazi verdi urbani continuino a fornire i servizi ecosistemici necessari, occorre porre fine alla loro scomparsa ripristinandoli e ampliandoli, tra l’altro integrando le infrastrutture verdi e le soluzioni basate sulla natura, come tetti e muri verdi, nella progettazione degli edifici. Tale integrazione può contribuire a mantenere e ad aumentare non solo la superficie degli spazi verdi urbani, ma anche, se include alberi, la superficie della copertura della volta arborea urbana.
I dati scientifici suggeriscono che la luce artificiale ha un impatto negativo sulla biodiversità e può altresì influire sulla salute umana. In fase di preparazione dei rispettivi piani nazionali di ripristino a norma del presente regolamento, gli Stati membri dovrebbero poter prendere in considerazione la possibilità di arrestare o ridurre l’inquinamento luminoso in tutti gli ecosistemi oppure porvi rimedio.
La strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 indica che occorre adoperarsi di più per ripristinare gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi. Il ripristino degli ecosistemi di acqua dolce dovrebbe includere interventi volti a ripristinare la connettività naturale dei fiumi, delle loro zone rivierasche e delle loro pianure alluvionali, anche attraverso l’eliminazione delle barriere artificiali, al fine di agevolare il conseguimento di uno stato di conservazione soddisfacente per i fiumi, i laghi, gli habitat alluvionali e le specie che vivono in questi habitat protetti dalle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE, nonché il conseguimento di uno degli obiettivi fondamentali della strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, ossia il ripristino di almeno 25 000 km di fiumi a scorrimento libero, rispetto al 2020 quando è stata adottata tale strategia. Nell’eliminare le barriere, gli Stati membri dovrebbero innanzitutto considerare le barriere obsolete, ossia quelle che non sono più necessarie per la produzione di energia rinnovabile, la navigazione interna, l’approvvigionamento idrico o altri usi.
Nell’Unione gli impollinatori sono drasticamente diminuiti negli ultimi decenni: una specie di api e di farfalle su tre è in declino e una su dieci di tali specie è a rischio di estinzione. Gli impollinatori sono essenziali per il funzionamento degli ecosistemi terrestri, il benessere delle persone e la sicurezza alimentare, in quanto consentono l’impollinazione di piante selvatiche e coltivate. La relazione 2021 basata sui risultati del progetto Integrated System for Natural Capital Accounting (INCA), avviato congiuntamente dai servizi della Commissione e dall’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), mostra che una quota della produzione agricola annua dell’Unione equivalente a quasi 5 miliardi di EUR è direttamente attribuibile agli insetti impollinatori.
In risposta agli inviti del Parlamento europeo e del Consiglio, la Commissione, attraverso la sua comunicazione del 1o giugno 2018, ha varato l’iniziativa dell’UE a favore degli impollinatori per affrontare il problema della loro riduzione. Dalla relazione del 27 maggio 2021 sui progressi compiuti nell’attuazione dell’iniziativa emerge che sussistono sfide significative nella lotta contro i fattori all’origine del problema, tra cui l’uso dei pesticidi. Sia il Parlamento europeo, nella risoluzione del 9 giugno, sia il Consiglio, nelle conclusioni del 17 dicembre 2020 sulla relazione speciale n. 15/2020 della Corte dei conti europea, hanno chiesto azioni più incisive per affrontare il declino degli impollinatori, l’istituzione di un quadro di monitoraggio a livello dell’Unione per gli impollinatori, nonché obiettivi e indicatori chiari per quanto riguarda l’impegno a invertire questa tendenza. Nella relazione speciale pubblicata nel 2020, la Corte dei conti europea ha raccomandato alla Commissione di istituire adeguati meccanismi di governance e controllo per le azioni destinate ad affrontare le minacce che gravano sugli impollinatori. Nella comunicazione del 24 gennaio 2023, la Commissione ha presentato una versione riveduta dell’iniziativa dell’UE a favore degli impollinatori dal titolo «Revisione dell’iniziativa dell’UE a favore degli impollinatori — Un nuovo patto per gli impollinatori», la quale definisce le azioni che devono adottare l’Unione e i suoi Stati membri per invertire la tendenza al declino degli impollinatori entro il 2030.
La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari mira a disciplinare uno dei fattori alla base della diminuzione degli impollinatori vietando l’uso di pesticidi nelle zone ecologicamente sensibili, molte delle quali sono disciplinate dal presente regolamento, ad esempio quelle che ospitano specie impollinatrici che nelle liste rosse europee delle specie sono classificate come a rischio di estinzione.
Per disporre di prodotti alimentari sicuri, sostenibili, nutrienti e a prezzi accessibili sono necessari ecosistemi agricoli sostenibili, resilienti e ricchi di biodiversità. Gli ecosistemi agricoli ricchi di biodiversità aumentano inoltre la resilienza dell’agricoltura ai cambiamenti climatici e ai rischi ambientali, garantendo nel contempo la sicurezza degli alimenti e del loro approvvigionamento e creando nuovi posti di lavoro nelle zone rurali, in particolare posti di lavoro legati all’agricoltura biologica nonché al turismo rurale e alle attività ricreative. L’Unione deve pertanto
migliorare la biodiversità dei suoi terreni agricoli ricorrendo a una serie di pratiche esistenti utili o compatibili con il miglioramento della biodiversità, compreso il ricorso all’agricoltura estensiva. L’agricoltura estensiva è essenziale per il mantenimento di molte specie e habitat nelle zone ricche di biodiversità. Esistono numerose pratiche agricole estensive che comportano molti benefici importanti per la protezione della biodiversità, dei servizi ecosistemici e degli elementi caratteristici del paesaggio, come l’agricoltura di precisione, l’agricoltura biologica, l’agroecologia, l’agrosilvicoltura e prati permanenti a bassa intensità. Tali pratiche non intendono arrestare l’uso del suolo agricolo, bensì adattare questo tipo di uso a vantaggio del funzionamento e della produttività a lungo termine degli ecosistemi agricoli. Regimi di finanziamento attraenti sul piano finanziario in grado di spingere proprietari, agricoltori e altri gestori di terreni a intraprendere volontariamente tali pratiche sono importanti per ottenere i benefici a lungo termine del ripristino.
È necessario adottare misure di ripristino per migliorare la biodiversità degli ecosistemi agricoli in tutta l’Unione, anche nelle zone non coperte dai tipi di habitat che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 92/43/CEE. In assenza di un metodo comune di valutazione delle condizioni degli ecosistemi agricoli che consenta di fissare i relativi obiettivi di ripristino specifici, è opportuno stabilire l’obbligo generale di migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli e misurarne il rispetto sulla base di una selezione di indicatori tra l’indice delle farfalle comuni (Grassland Butterfly Index), gli stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati o la percentuale di terreni agricoli con elementi caratteristici del paesaggio a elevata diversità.
Poiché l’avifauna in habitat agricolo è un indicatore chiave noto e ampiamente riconosciuto della salute degli ecosistemi agricoli, è opportuno fissare obiettivi per il suo ripristino. L’obbligo di raggiungere tali obiettivi dovrebbe applicarsi agli Stati membri e non ai singoli agricoltori. Gli Stati membri dovrebbero conseguire gli obiettivi mettendo in atto misure di ripristino efficaci nelle aree agricole, collaborando con gli agricoltori e altri portatori di interessi e sostenendoli nella progettazione e attuazione sul campo di queste misure.
Gli elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità nei terreni agricoli, in particolare fasce tampone, maggese completo o con rotazione, siepi, alberi isolati o in gruppi, filari, bordi di campi, particelle, fossati, ruscelli, piccole zone umide, terrazzamenti, tumuli funerari (cairns), muretti di pietra, piccoli stagni ed elementi culturali, offrono spazio alle piante e agli animali selvatici, compresi gli impollinatori, prevengono l’erosione e l’impoverimento del suolo, filtrano l’aria e l’acqua, sostengono la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici e la produttività agricola delle colture dipendenti dall’impollinazione. Anche gli elementi produttivi possono essere considerati elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità a determinate condizioni.
La politica agricola comune (PAC) mira a sostenere e rafforzare la protezione dell’ambiente, compresa la biodiversità. La PAC si prefigge, tra l’altro, di contribuire ad arrestare e invertire il processo di perdita della biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi. La nuova norma di condizionalità della PAC n. 8 per il mantenimento del terreno in buone condizioni agronomiche e ambientali (BCAA 8) di cui all’allegato III del regolamento (UE) 2021/2115 del Parlamento europeo e del Consiglio (16) impone ai beneficiari di pagamenti per superficie di destinare almeno il 4 % dei seminativi a livello di azienda agricola a superfici ed elementi non produttivi, ad esempio i terreni lasciati a riposo, e a mantenere gli elementi caratteristici del paesaggio esistenti. La percentuale del 4 % da attribuire al rispetto della norma BCAA 8 può essere ridotta al 3 % se sono soddisfatti determinati prerequisiti. Questo obbligo contribuirà a far sì che gli Stati membri registrino una tendenza positiva per quanto riguarda gli elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità sui terreni agricoli. Inoltre, nell’ambito della PAC, gli Stati membri hanno la possibilità di istituire regimi ecologici per le pratiche agricole attuate dagli agricoltori sulle superfici agricole, che possono includere il mantenimento e la creazione di elementi caratteristici del paesaggio o di superfici non produttive. Analogamente, nei loro piani strategici della PAC, gli Stati membri possono includere anche impegni agro-climatico-ambientali, compresa una migliore gestione degli elementi caratteristici del paesaggio che vada oltre la norma BCAA 8 o i regimi ecologici. Anche i progetti nell’ambito del sottoprogramma «Natura e biodiversità» del programma LIFE, istituito dal regolamento (UE) 2021/783 del Parlamento europeo e del Consiglio (17), contribuiranno a riportare la biodiversità dei terreni agricoli in Europa sulla via della ripresa entro il
(16) Regolamento (UE) 2021/2115 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 2 dicembre 2021, recante norme sul sostegno ai piani strategici che gli Stati membri devono redigere nell’ambito della politica agricola comune (piani strategici della PAC) e finanziati dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga i regolamenti (UE) n. 1305/2013 e (UE) n. 1307/2013 (GU L 435 del 6.12.2021, pag. 1).
(17) Regolamento (UE) 2021/783 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2021, che istituisce un programma per l’ambiente e l’azione per il clima (LIFE), e abroga il regolamento (UE) n. 1293/2013 (GU L 172 del 17.5.2021, pag. 53).
2030, sostenendo l’attuazione delle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE nonché della strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030.
Il ripristino e la riumidificazione dei suoli organici, quali definiti nelle linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra, per uso agricolo, ossia in quanto formazioni erbose e terreni coltivati, che sono torbiere drenate contribuiscono a conseguire benefici significativi in termini di biodiversità, una riduzione importante delle emissioni di gas a effetto serra e altri benefici ambientali, contribuendo nel contempo alla diversificazione del paesaggio agricolo. Gli Stati membri possono scegliere tra un’ampia gamma di misure di ripristino per le torbiere drenate a uso agricolo, che vanno dalla conversione delle terre coltivate in prati permanenti e da interventi di estensivizzazione accompagnati da una riduzione del drenaggio, alla piena riumidificazione con possibilità di uso produttivo delle torbiere (paludicoltura) o di insediamento di vegetazione che formerà la torba. I benefici climatici più significativi sono generati dal ripristino e dalla riumidificazione delle terre coltivate e dal ripristino dei prati intensivi. Per consentire un’attuazione flessibile dell’obiettivo di ripristino delle torbiere drenate per uso agricolo, gli Stati membri dovrebbero poter conteggiare misure di ripristino e di riumidificazione delle torbiere drenate nelle zone dei siti di estrazione della torba nonché, in una certa misura, il ripristino e la riumidificazione delle torbiere drenate destinate ad altri usi, ad esempio le foreste, quali misure che contribuiscono al conseguimento degli obiettivi di ripristino relativi alle torbiere drenate per uso agricolo. Ove debitamente giustificato, qualora la riumidificazione delle torbiere drenate per uso agricolo non possa essere effettuata a causa di notevoli ripercussioni negative per gli edifici, le infrastrutture, l’adattamento ai cambiamenti climatici o altri interessi pubblici e non sia possibile riumidificare le torbiere destinate ad altri usi, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di ridurre la portata della riumidificazione delle torbiere.
Al fine di sfruttare appieno i benefici in termini di biodiversità, il ripristino e la riumidificazione delle zone delle torbiere drenate dovrebbero estendersi al di là delle aree dei tipi di habitat delle zone umide di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE che devono essere ripristinate e ristabilite. I dati relativi all’estensione dei suoli organici e alle loro emissioni e assorbimenti di gas a effetto serra sono monitorati in virtù degli obblighi di rendicontazione del settore LULUCF e resi disponibili negli inventari nazionali dei gas a effetto serra degli Stati membri trasmessi nell’ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Le torbiere ripristinate e riumidificate possono continuare ad essere valorizzate in modo produttivo con modalità diverse. Ad esempio, la paludicoltura — la pratica di coltivazione su torbiere umide — può comprendere la coltivazione di vari tipi di canne, alcuni tipi di legname, la coltivazione di mirtilli, di mirtilli rossi e di sfagno e il pascolo di bufali d’acqua. Queste pratiche dovrebbero basarsi sui principi della gestione sostenibile e mirare a migliorare la biodiversità in modo da rivestire un valore elevato sia dal punto di vista finanziario che ecologico. La paludicoltura può inoltre essere vantaggiosa per diverse specie minacciate nell’Unione e può facilitare la connettività delle zone umide e delle popolazioni di specie ad esse associate nell’Unione. Il finanziamento di misure volte a ripristinare e a riumidificare le torbiere drenate e a compensare eventuali perdite di reddito può provenire da un’ampia gamma di fonti, tra cui le spese a carico del bilancio dell’Unione e i programmi di finanziamento dell’Unione.
La nuova strategia dell’UE per le foreste per il 2030, illustrata nella comunicazione della Commissione del 16 luglio 2021, ha sottolineato la necessità di ripristinare la biodiversità forestale. Le foreste e le altre superfici boschive coprono oltre il 43,5 % del territorio dell’Unione. Gli ecosistemi forestali che ospitano una ricca biodiversità sono vulnerabili ai cambiamenti climatici, ma sono anche un alleato naturale nell’adattamento e nella lotta ai cambiamenti climatici e ai rischi legati al clima, anche grazie alla loro funzione di stock di carbonio e di pozzi di assorbimento del carbonio. Forniscono inoltre molti altri servizi e benefici ecosistemici essenziali, quali legname e legno, prodotti alimentari e altri prodotti non legnosi, la regolazione del clima, la stabilizzazione del suolo, il contenimento dell’erosione e la depurazione dell’aria e dell’acqua.
È necessario adottare misure di ripristino per migliorare la biodiversità degli ecosistemi forestali in tutta l’Unione, anche nelle zone che non ospitano tipi di habitat che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 92/43/CEE. In assenza di un metodo comune per la valutazione dello stato degli ecosistemi forestali che consenta di fissare obiettivi di ripristino specifici per questi ecosistemi, è opportuno stabilire l’obbligo generale di migliorare la biodiversità negli ecosistemi forestali e misurarne il rispetto sulla base dell’indice dell’avifauna comune in habitat forestale (Common Forest Bird Index) e di una selezione di altri indicatori, tra il legno morto in piedi, il legno morto a terra, la quota di foreste disetanee, la connettività forestale, gli stock di carbonio organico, la percentuale di foreste dominate da specie arboree autoctone e la diversità delle specie arboree.
Nella pianificazione e nell’attuazione delle misure di ripristino necessarie per rafforzare la biodiversità negli ecosistemi forestali e nella fissazione di livelli soddisfacenti per gli indicatori di biodiversità per le foreste, gli Stati
membri dovrebbero tenere conto dei rischi di incendi boschivi sulla base delle circostanze locali. Gli Stati membri dovrebbero avvalersi delle migliori pratiche per ridurre tali rischi, in particolare come descritto negli orientamenti della Commissione sulla prevenzione degli incendi boschivi basata sul territorio, pubblicati nel 2021.
La strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 prevede l’impegno a piantare almeno tre miliardi di nuovi alberi nell’Unione entro il 2030 nel pieno rispetto dei principi ecologici. La nuova strategia dell’UE per le foreste per il 2030, illustrata nella comunicazione della Commissione del 16 luglio 2021, comprende una tabella di marcia per l’attuazione di tale impegno basata sul principio generale di piantare e far crescere l’albero giusto nel posto giusto e per lo scopo giusto. Un contatore di alberi online è disponibile quale strumento per registrare i contributi all’impegno e i relativi progressi compiuti; gli Stati membri dovrebbero documentare nello strumento gli alberi piantati. Come stabilito nella strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 e nella tabella di marcia contenuta nella nuova strategia dell’UE per le foreste per il 2030, il 17 marzo 2023 la Commissione ha pubblicato orientamenti sull’imboschimento, il rimboschimento e l’impianto di alberi nel rispetto della biodiversità. Tali orientamenti, che definiscono il quadro di principi ecologici da considerare, mirano a contribuire all’impegno e, in tal modo, a sostenere l’attuazione del presente regolamento.
Gli obiettivi e gli obblighi di ripristino per gli habitat e le specie protetti a norma delle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE per gli impollinatori e per gli ecosistemi di acqua dolce, urbani, agricoli e forestali dovrebbero essere complementari e operare in sinergia, al fine di conseguire l’obiettivo generale di ripristinare gli ecosistemi nelle zone terrestri e marine degli Stati membri. Le misure di ripristino necessarie per conseguire un obiettivo specifico contribuiranno, in molti casi, al conseguimento di altri obiettivi o all’adempimento di altri obblighi. Gli Stati membri dovrebbero pertanto pianificare le misure di ripristino in modo strategico al fine di massimizzarne l’efficacia nel contribuire al ripristino della natura in tutta l’Unione. Le misure di ripristino dovrebbero inoltre essere pianificate in modo da concorrere alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento ai medesimi, nonché alla prevenzione e al controllo dell’impatto delle catastrofi naturali e del degrado del suolo. Dovrebbero mirare a ottimizzare le funzioni ecologiche, economiche e sociali degli ecosistemi, compreso il loro potenziale di produttività, tenendo conto del loro contributo allo sviluppo sostenibile delle regioni e comunità interessate. Al fine di evitare conseguenze indesiderate, gli Stati membri dovrebbero considerare anche gli impatti socioeconomici prevedibili e i benefici previsti dell’attuazione delle misure di ripristino. È importante che gli Stati membri elaborino piani nazionali di ripristino dettagliati sulla base delle migliori evidenze scientifiche disponibili. I registri documentati sulla distribuzione e sulla superficie storica, nonché sui cambiamenti delle condizioni ambientali previsti a causa dei cambiamenti climatici, dovrebbero servire da base per la determinazione delle superfici di riferimento favorevoli per tipi di habitat. Inoltre, è importante che al pubblico siano offerte tempestivamente possibilità effettive di partecipare alla preparazione dei piani. Gli Stati membri dovrebbero tenere conto delle condizioni e delle esigenze specifiche nel loro territorio, affinché i piani possano rispondere alle pressioni, alle minacce e ai fattori della perdita di biodiversità, e dovrebbero cooperare per garantire il ripristino e la connettività a livello transfrontaliero.
Per garantire sinergie tra le diverse misure che sono state o devono essere messe in atto per proteggere, conservare e ripristinare la natura nell’Unione, nella preparazione dei loro piani nazionali di ripristino gli Stati membri dovrebbero tenere conto delle misure di conservazione stabilite per i siti Natura 2000 e dei quadri di azioni prioritarie preparati ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE, delle misure per conseguire un buono stato ecologico e chimico dei corpi idrici incluse nei piani di gestione dei bacini idrografici preparati conformemente alla direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (18), delle strategie per l’ambiente marino volte a conseguire un buono stato ecologico per tutte le regioni marine dell’Unione preparate conformemente alla direttiva 2008/56/CE, dei programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico preparati nel quadro della direttiva (UE) 2016/2284 del Parlamento europeo e del Consiglio (19), delle strategie nazionali in materia di biodiversità e dei piani d’azione elaborati a norma dell’articolo 6 della convenzione sulla diversità biologica, delle misure di conservazione adottate a norma del regolamento (UE) n. 1380/2013 e delle misure tecniche adottate a norma del regolamento (UE) 2019/1241 del Parlamento europeo e del Consiglio (20).
(18) Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (GU L 327 del 22.12.2000, pag. 1).
(19) Direttiva (UE) 2016/2284 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2016, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE (GU L 344 del 17.12.2016, pag. 1).
(20) Regolamento (UE) 2019/1241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativo alla conservazione delle risorse della pesca e alla protezione degli ecosistemi marini attraverso misure tecniche, che modifica i regolamenti (CE) n. 1967/2006, (CE)
n. 1224/2009 del Consiglio e i regolamenti (UE) n. 1380/2013, (UE) 2016/1139, (UE) 2018/973, (UE) 2019/472 e (UE) 2019/1022 del Parlamento europeo e del Consiglio, e che abroga i regolamenti (CE) n. 894/97, (CE) n. 850/98, (CE) n. 2549/2000, (CE)
n. 254/2002, (CE) n. 812/2004 e (CE) n. 2187/2005 del Consiglio (GU L 198 del 25.7.2019, pag. 105).
Al fine di garantire la coerenza tra gli obiettivi del presente regolamento e della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio (21), del regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio (22)e della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (23) per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, in particolare durante la preparazione dei piani nazionali di ripristino, gli Stati membri dovrebbero tenere conto del potenziale dei progetti di energia rinnovabile di contribuire al conseguimento degli obiettivi di ripristino della natura.
Considerata l’importanza di affrontare in modo coerente la duplice sfida della perdita di biodiversità e dei cambiamenti climatici, il ripristino della biodiversità dovrebbe tenere conto della diffusione delle energie rinnovabili e viceversa. Dovrebbe essere fattibile combinare le attività di ripristino e i progetti relativi alla diffusione delle energie rinnovabili, ove possibile, incluso nelle zone di accelerazione per le energie rinnovabili e nelle apposite zone della rete. La direttiva (UE) 2018/2001 impone agli Stati membri di effettuare una mappatura coordinata per la diffusione delle energie rinnovabili sul loro territorio al fine di determinare il potenziale interno e la superficie terrestre, la sottosuperficie, il mare o le acque interne disponibili necessari per l’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, e della correlata infrastruttura, come reti e impianti di stoccaggio, incluso lo stoccaggio termico, che sono necessari al fine di soddisfare almeno i loro contributi nazionali all’obiettivo riveduto per il 2030 in materia di rinnovabili. Tali zone necessarie, inclusi gli impianti e i meccanismi di cooperazione esistenti, devono essere commisurate alle traiettorie stimate e alla potenza totale installata pianificata delle tecnologie per le energie rinnovabili stabilite nei piani nazionali per l’energia e il clima. Gli Stati membri dovrebbero designare un sottoinsieme di tali zone come zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Le zone di accelerazione per le energie rinnovabili sono luoghi specifici, sulla terraferma o in mare, particolarmente adatti all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, in cui si prevede che la diffusione di un tipo specifico di energia rinnovabile non abbia impatti ambientali significativi, tenuto conto delle particolarità del territorio selezionato. Gli Stati membri devono assegnare priorità alle superfici artificiali ed edificate, come i tetti e le facciate degli edifici, le infrastrutture di trasporto e le loro immediate vicinanze, i parcheggi, le aziende agricole, i siti di smaltimento dei rifiuti, i siti industriali, le miniere, i corpi idrici interni artificiali, i laghi artificiali o i bacini artificiali e, se del caso, i siti di trattamento delle acque reflue urbane, così come i terreni degradati non utilizzabili per attività agricole. La direttiva (UE) 2018/2001 stabilisce inoltre che sia concesso agli Stati membri di adottare uno o più piani per designare apposite zone per le infrastrutture per lo sviluppo di progetti di rete e di stoccaggio necessari per integrare l’energia rinnovabile nel sistema elettrico, qualora si preveda che tale sviluppo non abbia un impatto ambientale significativo, che tale impatto possa essere debitamente attenuato oppure, ove ciò non sia possibile, compensato. L’obiettivo di tali zone deve essere di sostenere e integrare le zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Nella designazione delle zone di accelerazione per le energie rinnovabili e delle apposite zone per le infrastrutture, gli Stati membri devono evitare le zone protette e tenere conto dei loro piani nazionali di ripristino. È opportuno che gli Stati membri coordinino l’elaborazione dei piani nazionali di ripristino con la mappatura delle zone che sono necessarie per rispettare almeno il loro contributo nazionale per il conseguimento dell’obiettivo per il 2030 in materia di rinnovabili e, se del caso, con la designazione delle zone di accelerazione per le energie rinnovabili e delle apposite zone della rete. Durante la preparazione dei piani nazionali di ripristino, gli Stati membri dovrebbero garantire sinergie con lo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’infrastruttura energetica e con le zone di accelerazione per le energie rinnovabili e le apposite zone della rete già designate e assicurare che rimanga invariato il funzionamento di tali zone , comprese le procedure di autorizzazione applicabile nelle zone in questione previste dalla direttiva (UE) 2018/2001.
Al fine di garantire sinergie con le misure di ripristino già pianificate o messe in atto negli Stati membri, i piani nazionali di ripristino dovrebbero riconoscerle e tenerne conto. Alla luce della sesta relazione di valutazione dell’IPCC, che ha sottolineato l’urgenza di interventi di ripristino degli ecosistemi degradati, gli Stati membri dovrebbero attuare queste misure parallelamente alla preparazione dei piani di ripristino.
I piani nazionali di ripristino e le misure di ripristino degli habitat nonché le misure volte a prevenirne il deterioramento dovrebbero inoltre tenere conto dei risultati dei progetti di ricerca pertinenti per la valutazione dello stato degli ecosistemi, l’individuazione e l’attuazione di misure di ripristino e le attività di monitoraggio. Ove
(21) Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (GU L 328 del 21.12.2018, pag. 82).
(22) Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima che modifica i regolamenti (CE) n. 663/2009 e (CE) n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive del Consiglio 2009/119/CE e (UE) 2015/652 e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 328 del 21.12.2018, pag. 1).
(23) Direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel e recante modificazione della direttiva 93/12/CEE del Consiglio (GU L 350 del 28.12.1998, pag. 58).
opportuno, dovrebbero altresì tenere conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione, in conformità dell’articolo 191, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come le esigenze sociali, economiche e culturali nonché le caratteristiche regionali e locali, compresa la densità della popolazione.
È opportuno tener conto della situazione particolare delle regioni ultraperiferiche dell’Unione, elencate all’articolo 349 TFUE, che prevede misure specifiche a loro sostegno. Come previsto anche dalla strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, si dovrebbe prestare particolare attenzione alla protezione e al ripristino degli ecosistemi delle regioni ultraperiferiche, per via della loro eccezionale ricchezza sotto il profilo della biodiversità. Nel contempo è opportuno tenere conto dei costi associati per la protezione e il ripristino di tali ecosistemi e della grande distanza, dell’insularità, della superficie ridotta, della topografia e del clima difficili delle regioni ultraperiferiche, in particolare nell’elaborazione dei piani nazionali di ripristino. Gli Stati membri sono incoraggiati a includere, su base volontaria, misure di ripristino specifiche nelle regioni ultraperiferiche che non rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento.
L’AEA dovrebbe sostenere gli Stati membri nella preparazione dei loro piani nazionali di ripristino e nel monitoraggio dei progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi e l’adempimento degli obblighi di ripristino. La Commissione dovrebbe valutare se i piani nazionali di ripristino siano adeguati al conseguimento di tali obiettivi e all’adempimento di tali obblighi, al conseguimento degli obiettivi generali dell’Unione di coprire congiuntamente, in quanto obiettivo dell’Unione, nell’insieme delle zone e degli ecosistemi che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, almeno il 20 % delle zone terrestri e almeno il 20 % delle zone marine entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050, agli obiettivi di ripristinare almeno 25 000 km di fiumi a scorrimento libero nell’Unione entro il 2030, nonché a contribuire all’impegno di piantare almeno tre miliardi di nuovi alberi nell’Unione entro il 2030.
Dalla relazione sullo stato della natura del 2020 è emerso che una parte sostanziale delle informazioni comunicate dagli Stati membri a norma dell’articolo 17 della direttiva 92/43/CEE e dell’articolo 12 della direttiva 2009/147/CE, in particolare sullo stato di conservazione e sulle tendenze degli habitat e delle specie che le direttive proteggono, proviene da indagini parziali o si basa unicamente sul parere di esperti. La relazione ha inoltre indicato che lo stato di diversi tipi di habitat e specie protetti a norma della direttiva 92/43/CEE è ancora sconosciuto. È necessario colmare queste lacune di conoscenze e investire nel monitoraggio e nella sorveglianza al fine di fondare i piani nazionali di ripristino su informazioni solide e scientificamente comprovate. Per aumentare la tempestività, l’efficacia e la coerenza di vari metodi di monitoraggio, il monitoraggio e la sorveglianza dovrebbero utilizzare al meglio i risultati dei progetti di ricerca e innovazione finanziati dall’Unione e le nuove tecnologie, come il monitoraggio in situ e il telerilevamento, utilizzando i dati e i servizi spaziali forniti nell’ambito delle componenti EGNOS, Galileo e Copernicus del programma spaziale dell’Unione istituito dal regolamento (UE) 2021/696 del Parlamento europeo e del Consiglio (24). Le missioni dell’UE «Far rivivere i nostri mari e le nostre acque», «Adattamento ai cambiamenti climatici» e «Un patto europeo per i suoli», presentate nella comunicazione della Commissione del 29 settembre 2021 sulle missioni europee, sosterranno l’attuazione degli obiettivi di ripristino.
In considerazione delle particolari sfide tecniche e finanziarie associate alla mappatura e al monitoraggio degli ambienti marini, gli Stati membri dovrebbero poter utilizzare, a complemento delle informazioni comunicate a norma dell’articolo 17 della direttiva 92/43/CEE e dell’articolo 17 della direttiva 2008/56/CE, le informazioni sulle pressioni e le minacce o altre informazioni pertinenti come base per effettuare estrapolazioni nel valutare lo stato degli habitat marini elencati nell’allegato II del presente regolamento. Dovrebbe essere possibile utilizzare tale approccio anche come base per la pianificazione delle misure di ripristino degli habitat marini in conformità del presente regolamento. La valutazione generale dello stato degli habitat marini di cui all’allegato II del presente regolamento dovrebbe basarsi sulle migliori conoscenze disponibili e sui più recenti progressi tecnici e scientifici.
Al fine di garantire il monitoraggio dei progressi compiuti nell’attuazione dei piani nazionali di ripristino, delle misure di ripristino messe in atto, delle zone soggette a misure di ripristino e dei dati sull’inventario delle barriere alla continuità fluviale, è opportuno introdurre un sistema che imponga agli Stati membri di istituire, tenere aggiornati e rendere accessibili i dati sui risultati del monitoraggio. La comunicazione elettronica dei dati alla Commissione dovrebbe avvenire mediante il sistema Reportnet dell’AEA, mirando a limitare il più possibile gli oneri amministrativi a carico di tutti i soggetti. Al fine di garantire un’infrastruttura adeguata per l’accesso del pubblico e la
(24) Regolamento (UE) 2021/696 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 aprile 2021, che istituisce il programma spaziale dell’Unione e l’Agenzia dell’Unione europea per il programma spaziale e che abroga i regolamenti (UE) n. 912/2010, (UE)
n. 1285/2013 e (UE) n. 377/2014/CE e la decisione n. 541/2014/UE (GU L 170 del 12.5.2021, pag. 69).
comunicazione e la condivisione dei dati tra le autorità pubbliche, gli Stati membri, se del caso, dovrebbero basare le specifiche dei dati su quelle previste dalle direttive 2003/4/CE (25), 2007/2/CE (26) e (UE) 2019/1024 (27) del Parlamento europeo e del Consiglio.
Affinché il presente regolamento sia attuato efficacemente, la Commissione dovrebbe sostenere gli Stati membri, su loro richiesta, attraverso lo strumento di sostegno tecnico istituito a norma del regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio (28), che prevede un’assistenza tecnica su misura per l’elaborazione e l’attuazione delle riforme. Il sostegno tecnico fornito nel quadro di tale strumento è destinato, ad esempio, a rafforzare la capacità amministrativa, armonizzare i quadri legislativi e condividere le migliori pratiche.
La Commissione dovrebbe riferire in merito ai progressi compiuti dagli Stati membri nel conseguimento degli obiettivi e nell’adempimento degli obblighi di ripristino previsti dal presente regolamento, sulla base di relazioni intermedie a livello dell’Unione elaborate dall’AEA nonché di altre analisi e relazioni messe a disposizione dagli Stati membri nei settori strategici pertinenti, quali la politica di tutela della natura, la politica marittima e la politica in materia di acqua.
Per garantire il conseguimento degli obiettivi e l’adempimento degli obblighi di cui al presente regolamento, è indispensabile effettuare adeguati investimenti pubblici e privati a favore del ripristino. Gli Stati membri dovrebbero pertanto integrare nei rispettivi bilanci nazionali la spesa per gli obiettivi di biodiversità, anche in relazione ai costi di opportunità e di transizione derivanti dall’attuazione dei piani nazionali di ripristino, e indicare le modalità di utilizzo dei finanziamenti dell’Unione. Per quanto riguarda il finanziamento dell’Unione, le spese a carico del bilancio dell’Unione e dei programmi di finanziamento dell’Unione, quali il programma LIFE, il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA), istituito dal regolamento (UE) 2021/1139 del Parlamento europeo e del Consiglio (29), il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), istituiti entrambi dal regolamento (UE) 2020/2220 del Parlamento europeo e del Consiglio (30), il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo di coesione, istituiti entrambi dal regolamento (UE) 2021/1058 del Parlamento europeo e del Consiglio (31), e il Fondo per una transizione giusta, istituito dal regolamento (UE) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio (32), nonché il programma quadro di ricerca e innovazione Orizzonte Europa, istituito dal regolamento (UE) 2021/695 del Parlamento europeo e del Consiglio (33), contribuiscono agli obiettivi di biodiversità con l’ambizione di destinare il 7,5 % nel 2024 e il 10 % nel 2026 e nel 2027 della spesa annuale nell’ambito del quadro finanziario pluriennale per gli anni dal 2021 al 2027 di cui al regolamento (UE, Euratom) 2020/2093 del Consiglio (34) («QFP 2021-2027») agli obiettivi di biodiversità. Il dispositivo per la ripresa e la resilienza, istituito dal regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio (35), è un’altra fonte di finanziamento per la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. Con riferimento al programma LIFE, si dovrebbe prestare particolare attenzione all’uso appropriato dei progetti strategici di tutela della natura in quanto strumenti specifici che potrebbero sostenere l’attuazione del presente regolamento, integrando in modo efficace ed efficiente le risorse finanziarie disponibili.
(25) Direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio (GU L 41 del 14.2.2003, pag. 26).
(26) Direttiva 2007/2/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2007, che istituisce un’Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea (Inspire) (GU L 108 del 25.4.2007, pag. 1).
(27) Direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (GU L 172 del 26.6.2019, pag. 56).
(28) Regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 febbraio 2021, che istituisce uno strumento di sostegno tecnico (GU L 57 del 18.2.2021, pag. 1).
(29) Regolamento (UE) 2021/1139 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2021, che istituisce il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura e che modifica il regolamento (UE) 2017/1004 (GU L 247 del 13.7.2021, pag. 1).
(30) Regolamento (UE) 2020/2220 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 dicembre 2020, che stabilisce alcune disposizioni transitorie relative al sostegno da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) negli anni 2021 e 2022 e che modifica i regolamenti (UE) n. 1305/2013, (UE) n. 1306/2013 e (UE) n. 1307/2013 per quanto riguarda le risorse e l’applicazione negli anni 2021 e 2022 e il regolamento (UE) n. 1308/2013 per quanto riguarda le risorse e la distribuzione di tale sostegno in relazione agli anni 2021 e 2022 (GU L 437 del 28.12.2020, pag. 1).
(31) Regolamento (UE) 2021/1058 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione (GU L 231 del 30.6.2021, pag. 60).
(32) Regolamento (UE) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, che istituisce il Fondo per una transizione giusta (GU L 231 del 30.6.2021, pag. 1).
(33) Regolamento (UE) 2021/695 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 aprile 2021, che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazione Orizzonte Europa e ne stabilisce le norme di partecipazione e diffusione, e che abroga i regolamenti (UE)
n. 1290/2013 e (UE) n. 1291/2013 (GU L 170 del 12.5.2021, pag. 1).
(34) Regolamento (UE, Euratom) 2020/2093 del Consiglio, del 17 dicembre 2020, che stabilisce il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027 (GU L 433 I del 22.12.2020, pag. 11).
(35) Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (GU L 57 del 18.2.2021, pag. 17).
La preparazione dei piani nazionali di ripristino non dovrebbe comportare l’obbligo per gli Stati membri di riprogrammare finanziamenti a titolo della PAC, della PCP o di altri programmi o strumenti di finanziamento per l’agricoltura e la pesca nell’ambito del QFP 2021-2027 ai fini dell’attuazione del presente regolamento.
Esiste una serie di iniziative dell’Unione, nazionali e private per incentivare i finanziamenti privati, come il programma InvestEU istituito dal regolamento (UE) 2021/523 del Parlamento europeo e del Consiglio (36), che offre l’opportunità di mobilitare finanziamenti pubblici e privati per sostenere, tra l’altro la valorizzazione della natura e della biodiversità attraverso progetti di infrastrutture verdi e blu e il sequestro del carbonio nei suoli agricoli come modello imprenditoriale verde. Si potrebbe promuovere il finanziamento sul campo di misure di ripristino della natura attraverso finanziamenti pubblici o privati, tra cui un sostegno basato sui risultati e regimi innovativi come i sistemi di certificazione degli assorbimenti di carbonio. Anche gli investimenti privati potrebbero essere incentivati attraverso regimi di investimento pubblico, compresi strumenti finanziari, sovvenzioni e altri strumenti, purché siano rispettate le norme in materia di aiuti di Stato.
Per garantire l’attuazione del presente regolamento sono essenziali investimenti pubblici e privati adeguati per le misure di ripristino della natura. Pertanto, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento e in consultazione con gli Stati membri, la Commissione dovrebbe presentare una relazione corredata di un’analisi che individui eventuali carenze nell’attuazione del presente regolamento. La relazione dovrebbe essere accompagnata, se del caso, da proposte di misure adeguate, comprese misure finanziarie per far fronte alle carenze individuate, come l’istituzione di finanziamenti ad hoc, e fatte salve le prerogative dei colegislatori per l’adozione del quadro finanziario pluriennale per il periodo successivo al 2027.
Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia dell’Unione europea, in virtù del principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea (TUE), spetta agli organi giurisdizionali degli Stati membri assicurare la tutela giurisdizionale dei diritti di una persona nell’ambito del diritto dell’Unione. Inoltre, l’articolo 19, paragrafo 1, TUE prevede che gli Stati membri stabiliscano i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione. L’Unione e i suoi Stati membri sono parti della convenzione della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (37) («convenzione di Aarhus»). Ai sensi della convenzione di Aarhus, gli Stati membri devono provvedere, conformemente al pertinente ordinamento giuridico nazionale, affinché i membri del pubblico interessato abbiano accesso alla giustizia.
Gli Stati membri dovrebbero promuovere un approccio equo e trasversale alla preparazione e all’attuazione dei loro piani nazionali di ripristino. Dovrebbero mettere in atto le misure necessarie per coinvolgere le autorità locali e regionali, i proprietari terrieri e gli utilizzatori dei terreni e le loro associazioni, le organizzazioni della società civile, la comunità imprenditoriale, le comunità della ricerca e dell’istruzione, gli agricoltori, i pescatori, i silvicoltori, gli investitori e altri portatori di interessi pertinenti nonché il grande pubblico in tutte le fasi della preparazione, della revisione e dell’attuazione dei piani nazionali di ripristino, e per promuovere il dialogo e la diffusione di informazioni scientifiche sulla biodiversità e sui benefici del ripristino.
A norma del regolamento (UE) 2021/2115, i piani strategici della PAC sono intesi a contribuire al conseguimento dei target nazionali a lungo termine fissati o derivanti dagli atti legislativi elencati all’allegato XIII ed essere coerenti con tali target. Sarebbe opportuno tenere conto del presente regolamento quando, a norma dell’articolo 159 del regolamento (UE) 2021/2115, la Commissione riesaminerà, entro il 31 dicembre 2025, l’elenco di cui all’allegato XIII di tale regolamento.
In linea con l’impegno assunto nell’8o programma di azione per l’ambiente enunciato nella decisione (UE) 2022/591 del Parlamento europeo e del Consiglio (38), gli Stati membri devono eliminare gradualmente le sovvenzioni dannose per l’ambiente a livello nazionale, utilizzando al meglio gli strumenti di mercato e gli strumenti di bilancio e di finanziamento verdi, anche quelli necessari per garantire una transizione socialmente equa, e sostenendo le imprese e gli altri portatori di interessi nello sviluppo di pratiche contabili standardizzate per quanto riguarda il capitale naturale.
(36) Regolamento (UE) 2021/523 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 marzo 2021, che istituisce il programma InvestEU e che modifica il regolamento (UE) 2015/1017 (GU L 107 del 26.3.2021, pag. 30).
(37) GU L 124 del 17.5.2005, pag. 4.
(38) Decisione (UE) 2022/591 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 aprile 2022, relativa a un programma generale di azione dell’Unione per l’ambiente fino al 2030 (GU L 114 del 12.4.2022, pag. 22).
Per garantire il necessario adeguamento del presente regolamento, è opportuno delegare alla Commissione il potere di adottare atti conformemente all’articolo 290 TFUE riguardo all’integrazione del presente regolamento, stabilendo e aggiornando un metodo scientifico di monitoraggio della diversità e delle popolazioni degli impollinatori, e alla modifica degli allegati da I a VII del presente regolamento, adeguando al progresso tecnico e scientifico i gruppi e gli elenchi dei tipi di habitat, l’elenco delle specie marine, l’elenco delle specie utilizzate per l’indice dell’avifauna comune in habitat agricolo, la descrizione, l’unità e il metodo in relazione agli indicatori di biodiversità per gli ecosistemi agricoli e gli ecosistemi forestali e l’elenco di esempi delle misure di ripristino, per tenere conto dell’esperienza acquisita con l’applicazione del presente regolamento o per garantire la coerenza con i tipi di habitat dell’EUNIS. È di particolare importanza che durante i lavori preparatori la Commissione svolga valutazioni d’impatto e adeguate consultazioni, anche a livello di esperti, nel rispetto dei principi stabiliti nell’accordo interistituzionale «Legiferare meglio» del 13 aprile 2016 (39). In particolare, al fine di garantire la parità di partecipazione alla preparazione degli atti delegati, il Parlamento europeo e il Consiglio ricevono tutti i documenti contemporaneamente agli esperti degli Stati membri, e i loro esperti hanno sistematicamente accesso alle riunioni dei gruppi di esperti della Commissione incaricati della preparazione di tali atti delegati.
Al fine di garantire condizioni uniformi di attuazione del presente regolamento, è opportuno conferire alla Commissione competenze di esecuzione per specificare i metodi di monitoraggio degli indicatori per gli ecosistemi agricoli di cui all’allegato IV del presente regolamento e gli indicatori per gli ecosistemi forestali di cui all’allegato VI del presente regolamento, definire quadri di riferimento per la fissazione dei livelli soddisfacenti di spazi verdi urbani, di copertura della volta arborea urbana negli ecosistemi urbani, di impollinatori, di indicatori di biodiversità per gli ecosistemi agricoli di cui all’allegato IV del presente regolamento e di indicatori per gli ecosistemi forestali di cui all’allegato VI del presente regolamento, predisporre un formato tipo per i piani nazionali di ripristino e definire il formato, la struttura e le modalità dettagliate della comunicazione elettronica dei dati e delle informazioni alla Commissione. È altresì opportuno che tali competenze siano esercitate conformemente al regolamento (UE)
n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio (40).
Al fine di consentire una risposta rapida ed efficace quando si verifica un evento imprevedibile, eccezionale e non provocato al di fuori del controllo dell’Unione, con gravi conseguenze a livello dell’Unione sulla disponibilità di terreni necessari per garantire una produzione agricola sufficiente per il consumo alimentare dell’Unione, è opportuno conferire alla Commissione competenze di esecuzione per quanto riguarda la sospensione temporanea dell’applicazione delle pertinenti disposizioni del presente regolamento nella misura e per il periodo strettamente necessari, fino a un massimo di 12 mesi, preservando nel contempo gli obiettivi del presente regolamento. È altresì opportuno che tali competenze siano esercitate conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011.
La Commissione dovrebbe procedere alla valutazione del presente regolamento. Conformemente all’accordo interistituzionale «Legiferare meglio» del 13 aprile 2016, la valutazione dovrebbe fondarsi sui criteri di efficienza, efficacia, pertinenza, coerenza e valore aggiunto e dovrebbe servire da base per le valutazioni d’impatto delle opzioni di azione ulteriore. Inoltre, la Commissione dovrebbe valutare la necessità di stabilire ulteriori obiettivi di ripristino, sulla base di metodi comuni di valutazione dello stato degli ecosistemi non contemplati dagli articoli 4 e 5 del presente regolamento, tenendo conto delle evidenze scientifiche più recenti.
(90) È opportuno modificare di conseguenza il regolamento (UE) 2022/869 del Parlamento europeo e del Consiglio (41).
Poiché gli obiettivi del presente regolamento, vale a dire garantire il recupero a lungo termine e duraturo della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi in tutto il territorio europeo degli Stati membri, attraverso misure di ripristino che gli Stati membri devono attuare per conseguire collettivamente un obiettivo dell’Unione per il ripristino delle zone terrestri e marine entro il 2030 e di tutte le zone che necessitano di ripristino entro il 2050, non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della portata e degli effetti dell’azione in oggetto, possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 TUE. Il presente regolamento si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo,
(39) GU L 123 del 12.5.2016, pag. 1.
(40) Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13).
(41) Regolamento (UE) 2022/869 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2022, sugli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee, che modifica i regolamenti (CE) n. 715/2009, (UE) 2019/942 e (UE) 2019/943 e le direttive 2009/73/CE e (UE) 2019/944, e che abroga il regolamento (UE) n. 347/2013 (GU L 152 del 3.6.2022, pag. 45).
HANNO ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo1
Oggetto
Il presente regolamento stabilisce norme destinate a contribuire:
al recupero a lungo termine e duraturo della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi in tutte le zone terrestri e marine degli Stati membri attraverso il ripristino degli ecosistemi degradati;
al conseguimento degli obiettivi generali dell’Unione in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai medesimi e neutralità in termini di degrado del suolo;
a una maggiore sicurezza alimentare;
all’adempimento degli impegni internazionali dell’Unione.
Il presente regolamento istituisce un quadro nel cui ambito gli Stati membri attuano misure di ripristino efficaci basate sulla superficie allo scopo di coprire congiuntamente, in quanto obiettivo dell’Unione, nell’insieme delle zone e degli ecosistemi che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, almeno il 20 % delle zone terrestri e almeno il 20 % delle zone marine entro il 2030, e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.
Articolo2
Ambito geografico
Il presente regolamento si applica agli ecosistemi di cui agli articoli da 4 a 12:
sul territorio degli Stati membri;
nelle acque costiere, quali definite all’articolo 2, punto 7), della direttiva 2000/60/CE, degli Stati membri, nei loro fondali marini o nei loro sottosuoli;
nelle acque, nei fondali o nei sottosuoli situati al di là della linea di base che serve a misurare l’estensione delle acque territoriali di uno Stato membro fino ai confini della zona su cui uno Stato membro ha o esercita diritti sovrani o giurisdizione, conformemente alla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (42).
Il presente regolamento si applica solo agli ecosistemi del territorio europeo degli Stati membri cui si applicano i trattati.
Articolo3
Definizioni
Ai fini del presente regolamento si applicano le definizioni seguenti:
«ecosistema»: complesso dinamico di comunità di piante, animali, funghi e microrganismi e del loro ambiente non vivente che interagiscono formando un’unità funzionale; comprende tipi di habitat, habitat di specie e popolazioni di specie;
«habitat di una specie»: habitat di una specie quale definito all’articolo 1, lettera f), della direttiva 92/43/CEE;
(42) GU L 179 del 23.6.1998, pag. 3.
«ripristino»: processo volto ad aiutare, attivamente o passivamente, il ripristino di un ecosistema al fine di migliorarne la struttura e le funzioni, con lo scopo di conservare o rafforzare la biodiversità e la resilienza degli ecosistemi, migliorando una superficie di un tipo di habitat fino a portarla a un buono stato , ristabilendo la superficie di riferimento favorevole e migliorando l’habitat di una specie fino a portarlo a una qualità e quantità sufficienti conformemente all’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3, e all’articolo 5, paragrafi 1, 2 e 3, nonché conseguendo gli obiettivi e adempiendo gli obblighi di cui agli articoli da 8 a 12, e anche raggiungendo livelli soddisfacenti per gli indicatori di cui agli articoli da 8 a 12;
«buono stato»: con riferimento a una superficie di un tipo di habitat, stato in cui le caratteristiche fondamentali del tipo di habitat, in particolare la sua struttura, le sue funzioni e le sue specie tipiche o la sua composizione di specie tipiche, riflettono l’elevato livello di integrità, stabilità e resilienza ecologica necessario per garantirne il mantenimento a lungo termine e contribuiscono così al raggiungimento o al mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente di un habitat, qualora il tipo di habitat in questione sia elencato nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE, e, negli ecosistemi marini, contribuiscono al raggiungimento o al mantenimento di un buono stato ecologico;
«buono stato ecologico»: buono stato ecologico quale definito all’articolo 3, punto 5), della direttiva 2008/56/CE;
«stato di conservazione soddisfacente di un habitat»: stato di conservazione soddisfacente ai sensi dell’articolo 1, lettera e), della direttiva 92/43/CEE;
«stato di conservazione soddisfacente di una specie»: stato di conservazione soddisfacente ai sensi dell’articolo 1, lettera e), della direttiva 92/43/CEE;
«superficie di riferimento favorevole»: superficie totale di un tipo di habitat in una data regione biogeografica o marina a livello nazionale che è considerata il minimo necessario per garantire la sostenibilità a lungo termine del tipo di habitat e delle sue specie tipiche o della sua composizione di specie tipiche, e di tutte le variazioni ecologiche significative di tale tipo di habitat nella sua area di ripartizione naturale, costituita dalla superficie attuale del tipo di habitat e, se tale superficie non è sufficiente per la sostenibilità a lungo termine del tipo di habitat e delle sue specie tipiche o della sua composizione di specie tipiche, dalla superficie aggiuntiva necessaria per il ristabilimento del tipo di habitat; qualora il tipo di habitat in questione sia elencato nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE, tale ristabilimento contribuisce al raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente di un habitat e, negli ecosistemi marini, tale ristabilimento contribuisce al conseguimento o al mantenimento di un buono stato ecologico;
«qualità sufficiente dell’habitat»: qualità dell’habitat di una specie che consente di soddisfare le esigenze ecologiche della specie in qualsiasi fase del suo ciclo biologico in modo che essa continui a lungo termine ad essere un elemento vitale del suo habitat nella sua area di ripartizione naturale, contribuendo al raggiungimento o al mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente di una specie elencata nell’allegato II, IV o V della direttiva 92/43/CEE e proteggendo le popolazioni delle specie degli uccelli selvatici contemplate dalla direttiva 2009/147/CE e, inoltre, negli ecosistemi marini, contribuendo al raggiungimento o al mantenimento di un buono stato ecologico;
«quantità sufficiente dell’habitat»: quantità dell’habitat di una specie che consente di soddisfare le esigenze ecologiche della specie in qualsiasi fase del suo ciclo biologico in modo che essa continui a lungo termine a essere un elemento vitale del suo habitat nella sua area di ripartizione naturale, contribuendo al raggiungimento o al mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente di una specie elencata nell’allegato II, IV o V della direttiva 92/43/CEE e proteggendo le popolazioni delle specie degli uccelli selvatici contemplate dalla direttiva 2009/147/CE e, inoltre, negli ecosistemi marini, contribuendo al raggiungimento o al mantenimento di un buono stato ecologico;
«tipo di habitat molto comune e diffuso»: un tipo di habitat che si trova in diverse regioni biogeografiche dell’Unione con un intervallo superiore a 10 000 km2;
«impollinatore»: insetto selvatico che trasporta polline dall’antera allo stigma di una pianta, consentendo la fertilizzazione e la produzione di sementi;
«diminuzione delle popolazioni di impollinatori»: diminuzione dell’abbondanza e/o della diversità degli impollinatori;
«specie arborea autoctona»: una specie arborea presente nella sua area di ripartizione naturale, passata o presente, e nella sua area naturale di dispersione potenziale, ossia all’interno dell’area di ripartizione che occupa naturalmente o che potrebbe occupare senza l’introduzione o l’intervento diretti o indiretti da parte dell’uomo;
«unità amministrativa locale» o «LAU»: divisione amministrativa di basso livello di uno Stato membro, al di sotto del livello di provincia, regione o Stato, istituita conformemente all’articolo 4 del regolamento (CE) n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio (43);
«centri urbani» e «agglomerati urbani»: unità territoriali classificate in città, piccole città e sobborghi utilizzando la tipologia basata sulla griglia in conformità dell’articolo 4 ter, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1059/2003;
«città»: LAU in cui almeno il 50 % della popolazione vive in uno o più centri urbani, percentuale misurata utilizzando il grado di urbanizzazione stabilito conformemente all’articolo 4 ter, paragrafo 3, lettera a), del regolamento (CE)
n. 1059/2003;
«piccole città e sobborghi»: LAU in cui meno del 50 % della popolazione vive in un centro urbano ma almeno il 50 % vive in un agglomerato urbano, percentuali misurate utilizzando il grado di urbanizzazione stabilito conformemente all’articolo 4 ter, paragrafo 3, lettera a), del regolamento (CE) n. 1059/2003;
«zone periurbane»: zone adiacenti ai centri urbani o agli agglomerati urbani, comprese almeno tutte le zone situate entro un chilometro dai limiti esterni di tali centri urbani o agglomerati urbani, e situate nella stessa città o nella stessa piccola città e sobborgo di tali centri urbani o agglomerati urbani;
«spazi verdi urbani»: superficie totale di alberi, di boscaglie, di arbusti, di vegetazione erbacea permanente, di licheni e di muschi, di stagni e di corsi d’acqua presente nelle città, nelle piccole città e nei sobborghi, calcolata sulla base dei dati forniti dal servizio di monitoraggio del territorio di Copernicus nell’ambito della componente Copernicus del programma spaziale dell’Unione, istituito dal regolamento (UE) 2021/696, e, se disponibili per lo Stato membro interessato, di altri opportuni dati supplementari forniti da tale Stato membro;
«copertura della volta arborea urbana»: superficie totale di copertura arborea nelle città, nelle piccole città e nei sobborghi, calcolata sulla base dei dati sulla densità di copertura arborea forniti dal servizio di monitoraggio del territorio di Copernicus nell’ambito della componente Copernicus del programma spaziale dell’Unione, istituito dal regolamento (UE) 2021/696, e, se disponibili per lo Stato membro interessato, di altri opportuni dati supplementari forniti da tale Stato membro;
«fiume a scorrimento libero»: un fiume o un tratto di fiume la cui connettività longitudinale, laterale e verticale non è ostacolata da strutture artificiali che formano una barriera e le cui funzioni naturali sono in gran parte inalterate;
«riumidificazione delle torbiere»: processo di trasformazione di un terreno torboso drenato in terreno torboso umido;
«zona di accelerazione per le energie rinnovabili»: zona di accelerazione per le energie rinnovabili quale definita all’articolo 2, punto 9 bis), della direttiva (UE) 2018/2001.
CAPO II
OBIETTIVI E OBBLIGHI DI RIPRISTINO
Articolo4
Ripristino degli ecosistemi terrestri, costieri e di acqua dolce
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per riportare in buono stato le zone dei tipi di habitat di cui all’allegato I che non lo sono. Tali misure di ripristino sono attuate:
entro il 2030 su almeno il 30 % della superficie totale di tutti i tipi di habitat di cui all’allegato I che non è in buono stato, come quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15;
entro il 2040 su almeno il 60 % e entro il 2050 su almeno il 90 % della superficie di ciascun gruppo di tipi di habitat di cui all’allegato I che non è in buono stato, come quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15.
(43) Regolamento (CE) n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, relativo all’istituzione di una classificazione comune delle unità territoriali per la statistica (NUTS) (GU L 154 del 21.6.2003, pag. 1).
Ai fini del presente paragrafo, gli Stati membri, se del caso, danno priorità, fino al 2030, alle misure di ripristino in zone situate nei siti Natura 2000.
In deroga al paragrafo 1, primo comma, lettere a) e b), gli Stati membri, ove debitamente giustificato e ai fini di tale paragrafo, possono escludere dal pertinente gruppo di tipi di habitat i tipi di habitat molto comuni e diffusi che coprono più del 3 % del loro territorio europeo.
Qualora applichi la deroga di cui al primo comma, uno Stato membro mette in atto misure di ripristino:
entro il 2050 su una superficie che rappresenta almeno l’80 % della superficie che non è in buono stato per ciascuno di tali tipi di habitat;
entro il 2030 su almeno un terzo della percentuale di cui alla lettera a); e
entro il 2040 su almeno due terzi della percentuale di cui alla lettera a).
La deroga di cui al primo comma si applica solo se è garantito che la percentuale di cui al secondo comma, lettera a), non impedisce il raggiungimento o il mantenimento a livello biogeografico nazionale di uno stato di conservazione soddisfacente per ciascuno di tali tipi di habitat.
Se uno Stato membro applica la deroga a norma del paragrafo 2, l’obbligo di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera a), si applica alla superficie totale di tutti gli altri tipi di habitat di cui all’allegato I che non è in buono stato e l’obbligo di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), si applica alle restanti superfici dei pertinenti gruppi di tipi di habitat di cui all’allegato I che non sono in buono stato.
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per ristabilire i tipi di habitat di cui all’allegato I nelle zone che non ospitano tali tipi di habitat al fine di raggiungere la superficie di riferimento favorevole per tali tipi di habitat. Queste misure sono attuate entro il 2030 in zone che rappresentano almeno il 30 % della superficie supplementare necessaria per raggiungere la superficie di riferimento favorevole totale per ciascun gruppo di tipi di habitat di cui all’allegato I, quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15, entro il 2040 in zone che rappresentano almeno il 60 % di tale superficie ed entro il 2050 sul 100 % di tale superficie.
In deroga al paragrafo 4 del presente articolo, se uno Stato membro ritiene che non sia possibile attuare entro il 2050 le misure di ripristino necessarie per raggiungere la superficie di riferimento favorevole per uno specifico tipo di habitat sul 100 % della superficie, lo Stato membro interessato può fissare una percentuale inferiore, a un livello compreso tra il 90 % e il 100 %, nel suo piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15 e fornire una giustificazione adeguata. In tal caso, lo Stato membro mette in atto gradualmente le misure di ripristino necessarie per conseguire tale percentuale inferiore entro il 2050. Entro il 2030 tali misure di ripristino coprono almeno il 30 % della superficie supplementare necessaria per raggiungere tale percentuale inferiore entro il 2050 e, entro il 2040, coprono almeno il 60 % della superficie supplementare necessaria per raggiungere tale percentuale inferiore entro il 2050.
Se uno Stato membro applica la deroga di cui al paragrafo 5 a specifici tipi di habitat, l’obbligo di cui al paragrafo 4 si applica ai restanti tipi di habitat che fanno parte dei gruppi di tipi di habitat di cui all’allegato I a cui appartengono tali tipi di habitat specifici.
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino degli habitat terrestri, costieri e di acqua dolce delle specie di cui agli allegati II, IV e V della direttiva 92/43/CEE e degli habitat terrestri, costieri e di acqua dolce degli uccelli selvatici che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/147/CE che sono necessarie, oltre alle misure di ripristino a norma dei paragrafi 1 e 4 del presente articolo, per migliorare la qualità e la quantità di tali habitat, anche ristabilendoli, e per migliorarne la connettività, finché raggiungono una qualità e una quantità sufficienti.
La determinazione delle zone più idonee per le misure di ripristino a norma dei paragrafi 1, 4 e 7 del presente articolo si basa sulle migliori conoscenze disponibili e sulle evidenze scientifiche più recenti relative allo stato dei tipi di habitat di cui all’allegato I del presente regolamento, misurato in base alla struttura e alle funzioni necessarie per il loro mantenimento a lungo termine, compreso il mantenimento delle loro specie tipiche di cui all’articolo 1, lettera e), della direttiva 92/43/CEE, nonché alla qualità e alla quantità degli habitat delle specie di cui al paragrafo 7 del presente articolo, utilizzando le informazioni comunicate a norma dell’articolo 17 della direttiva 92/43/CEE e dell’articolo 12 della direttiva 2009/147/CE, e se del caso tenendo conto della diversità delle situazioni in varie regioni di cui all’articolo 14, paragrafo 16, lettera c), del presente regolamento.
Gli Stati membri provvedono, al più tardi entro il 2030, affinché sia conosciuto lo stato dei tipi di habitat di almeno il 90 % della zona ripartita su tutti i tipi di habitat di cui all’allegato I e affinché entro il 2040 sia conosciuto lo stato di tutte le superfici dei tipi di habitat di cui all’allegato I.
Le misure di ripristino di cui ai paragrafi 1 e 4 tengono conto della necessità di migliorare la connettività tra i tipi di habitat di cui all’allegato I e delle esigenze ecologiche delle specie di cui al paragrafo 7 presenti in questi tipi di habitat.
Gli Stati membri mettono in atto misure volte a far sì che le zone soggette a misure di ripristino a norma dei paragrafi 1, 4 e 7 registrino un costante miglioramento dello stato dei tipi di habitat di cui all’allegato I fino al raggiungimento di un buono stato, e un costante miglioramento della qualità degli habitat delle specie di cui al paragrafo 7, fino al raggiungimento di una qualità sufficiente di tali habitat.
Fatta salva la direttiva 92/43/CEE, gli Stati membri mettono in atto misure volte a far sì che le zone in cui è stato raggiunto un buono stato e una qualità sufficiente degli habitat delle specie non si deteriorino in misura rilevante.
Fatta salva la direttiva 92/43/CEE, entro la data di pubblicazione dei rispettivi piani nazionali di ripristino a norma dell’articolo 17, paragrafo 6, del presente regolamento gli Stati membri si adoperano per mettere in atto le misure necessarie al fine di prevenire il deterioramento significativo di zone che ospitano i tipi di habitat di cui all’allegato I del presente regolamento e che sono in buono stato o sono necessari per conseguire gli obiettivi di ripristino di cui ai paragrafo 17 del presente articolo.
Per quanto riguarda i paragrafi 11 e 12 del presente articolo, al di fuori dei siti Natura 2000, in assenza di alternative gli Stati membri possono applicare gli obblighi di non deterioramento di cui ai suddetti paragrafi a livello di ciascuna regione biogeografica del loro territorio per ciascun tipo di habitat e ciascun habitat di specie, a condizione che lo Stato membro interessato notifichi alla Commissione l’intenzione di applicare il presente paragrafo dal 19 febbraio 2025 e adempia agli obblighi di cui all’articolo 15, paragrafo 3, lettera g), all’articolo 20, paragrafo 1, lettera j), all’articolo 21, paragrafo 1, e all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b).
Al di fuori dei siti Natura 2000, l’obbligo di cui al paragrafo 11 non si applica al deterioramento dovuto a:
casi di forza maggiore, comprese le catastrofi naturali;
trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici;
un piano o progetto di interesse pubblico prevalente per il quale non sono disponibili soluzioni alternative meno dannose, da determinarsi caso per caso; o
un’azione o inerzia di paesi terzi di cui lo Stato membro interessato non è responsabile.
Al di fuori dei siti Natura 2000, l’obbligo di cui al paragrafo 12, non si applica al deterioramento dovuto a:
casi di forza maggiore, comprese le catastrofi naturali;
trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici;
un piano o progetto di interesse pubblico prevalente per il quale non sono disponibili soluzioni alternative meno dannose; o
un’azione o inerzia di paesi terzi di cui lo Stato membro interessato non è responsabile.
All’interno dei siti Natura 2000, il mancato rispetto degli obblighi di cui ai paragrafi 11 e 12 è giustificato se è dovuto a:
casi di forza maggiore, comprese le catastrofi naturali;
trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici; o
un piano o progetto autorizzato a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CEE.
Gli Stati membri provvedono affinché si verifichi:
un aumento della superficie in buono stato per i tipi di habitat di cui all’allegato I fino a quando almeno il 90 % sia in buono stato e fino al raggiungimento della superficie di riferimento favorevole per ciascun tipo di habitat in ciascuna regione biogeografica dello Stato membro interessato;
una tendenza crescente verso una quantità e una qualità sufficienti degli habitat terrestri, costieri e di acqua dolce delle specie elencate agli allegati II, IV e V della direttiva 92/43/CEE e delle specie che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/147/CE.
Articolo5
Ripristino degli ecosistemi marini
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per riportare in buono stato le zone dei tipi di habitat di cui all’allegato II che non lo sono. Tali misure di ripristino sono attuate:
entro il 2030 su almeno il 30 % della superficie totale dei gruppi da 1 a 6 dei tipi di habitat di cui all’allegato II che non è in buono stato, come quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15;
entro il 2040 su almeno il 60 % e entro il 2050 su almeno il 90 % della superficie di ciascuno dei gruppi da 1 a 6 dei tipi di habitat di cui all’allegato II che non è in buono stato, come quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15;
entro il 2040 su almeno due terzi della percentuale di cui alla lettera d) del presente paragrafo della superficie del gruppo 7 dei tipi di habitat di cui all’allegato II che non è in buono stato, come quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15; e
entro il 2050 su una percentuale, individuata a norma dell’articolo 14, paragrafo 3, della superficie del gruppo 7 dei tipi di habitat di cui all’allegato II che non è in buono stato, come quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15.
La percentuale di cui al primo comma, lettera d), del presente articolo è fissata in modo da non impedire il conseguimento o il mantenimento di un buono stato ecologico quale determinato a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2008/56/CE.
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per ristabilire i tipi di habitat nei gruppi da 1 a 6 elencati all’allegato II nelle zone che non ospitano tali tipi di habitat al fine di raggiungere la superficie di riferimento favorevole per tali tipi di habitat. Queste misure sono attuate entro il 2030 in zone che rappresentano almeno il 30 % della superficie supplementare necessaria per raggiungere la superficie di riferimento favorevole di ciascun gruppo di tipi di habitat, quantificata nel piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15, entro il 2040 in zone che rappresentano almeno il 60 % di tale superficie ed entro il 2050 sul 100 % di tale superficie.
In deroga al paragrafo 2 del presente articolo, se uno Stato membro ritiene che non sia possibile attuare entro il 2050 le misure di ripristino necessarie per raggiungere la superficie di riferimento favorevole per uno specifico tipo di habitat sul 100 % della superficie, lo Stato membro interessato può fissare una percentuale inferiore, a un livello compreso tra il 90 % e il 100 %, nel suo piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 15 e fornire una giustificazione adeguata. In tal caso, lo Stato membro mette in atto gradualmente le misure di ripristino necessarie per conseguire tale percentuale inferiore entro il 2050. Entro il 2030 tali misure di ripristino coprono almeno il 30 % della superficie supplementare necessaria per raggiungere tale percentuale inferiore entro il 2050 e, entro il 2040, coprono almeno il 60 % della superficie supplementare necessaria per raggiungere tale percentuale inferiore entro il 2050.
Se uno Stato membro applica la deroga di cui al paragrafo 3 a specifici tipi di habitat, l’obbligo di cui al paragrafo 2 si applica alla superficie supplementare restante necessaria per raggiungere la superficie di riferimento favorevole di ciascun gruppo di tipi di habitat di cui all’allegato II a cui appartengono tali tipi di habitat specifici.
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino degli habitat marini delle specie di cui all’allegato III del presente regolamento e agli allegati II, IV e V della direttiva 92/43/CEE e degli habitat marini degli uccelli selvatici che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/147/CE che sono necessarie, oltre alle misure di ripristino di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo, per migliorare la qualità e la quantità di tali habitat, anche ristabilendoli, e per migliorarne la connettività, finché raggiungono una qualità e una quantità sufficienti.
La determinazione delle zone più idonee per le misure di ripristino a norma dei paragrafi 1, 2 e 5 del presente articolo si basa sulle migliori conoscenze disponibili e sui progressi tecnici e scientifici più recenti che determinano lo stato dei tipi di habitat di cui all’allegato II del presente regolamento nonché la qualità e la quantità degli habitat delle specie di cui al paragrafo 5 del presente articolo, utilizzando le informazioni comunicate a norma dell’articolo 17 della direttiva 92/43/CEE, dell’articolo 12 della direttiva 2009/147/CE e dell’articolo 17 della direttiva 2008/56/CE.
Gli Stati membri provvedono affinché lo stato delle seguenti zone sia conosciuto:
entro il 2030, per almeno il 50 % della zona ripartita su tutti i tipi di habitat nei gruppi da 1 a 6 dei tipi di habitat elencati all’allegato II;
entro il 2040, per tutte le zone dei tipi di habitat nei gruppi da 1 a 6 dei tipi di habitat elencati all’allegato II;
entro il 2040, per almeno il 50 % della zona ripartita su tutti i tipi di habitat nel gruppo 7 dei tipi di habitat elencati all’allegato II;
entro il 2050, per tutte le zone dei tipi di habitat nel gruppo 7 dei tipi elencati all’allegato II.
Le misure di ripristino di cui ai paragrafi 1 e 2 tengono conto della necessità di migliorare la coerenza ecologica e la connettività tra i tipi di habitat di cui all’allegato II e delle esigenze ecologiche delle specie di cui al paragrafo 5 presenti in tali tipi di habitat.
Gli Stati membri mettono in atto misure volte a far sì che le zone soggette a misure di ripristino a norma dei paragrafi 1, 2 e 5 registrino un costante miglioramento dello stato dei tipi di habitat di cui all’allegato II fino al raggiungimento di un buono stato e un costante miglioramento della qualità degli habitat delle specie di cui al paragrafo 5, fino al raggiungimento di una qualità sufficiente di tali habitat.
Fatta salva la direttiva 92/43/CEE, gli Stati membri mettono in atto misure volte a far sì che le zone in cui è stato raggiunto un buono stato e una qualità sufficiente degli habitat delle specie non si deteriorino in misura rilevante.
Fatta salva la direttiva 92/43/CEE, entro la data di pubblicazione dei rispettivi piani nazionali di ripristino a norma dell’articolo 17, paragrafo 6, del presente regolamento gli Stati membri si adoperano per mettere in atto le misure necessarie al fine di prevenire il deterioramento significativo di zone che ospitano i tipi di habitat di cui all’allegato II del presente regolamento e che sono in buono stato o sono necessari per conseguire gli obiettivi di ripristino di cui al paragrafo 14 del presente articolo.
Al di fuori dei siti Natura 2000, l’obbligo di cui al paragrafo 9 non si applica al deterioramento dovuto a:
casi di forza maggiore, comprese le catastrofi naturali;
trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici;
un piano o progetto di interesse pubblico prevalente per il quale non sono disponibili soluzioni alternative meno dannose, da determinarsi caso per caso; o
un’azione o inerzia di paesi terzi di cui lo Stato membro interessato non è responsabile.
Al di fuori dei siti Natura 2000, l’obbligo di cui al paragrafo 10 non si applica al deterioramento dovuto a:
casi di forza maggiore, comprese le catastrofi naturali;
trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici;
un piano o progetto di interesse pubblico prevalente per il quale non sono disponibili soluzioni alternative meno dannose; o
un’azione o inerzia di paesi terzi di cui lo Stato membro interessato non è responsabile.
All’interno dei siti Natura 2000, il mancato rispetto degli obblighi di cui ai paragrafi 9 e 10 è giustificato se è dovuto a:
casi di forza maggiore, comprese le catastrofi naturali;
trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici; o
un piano o progetto autorizzato a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CEE.
Gli Stati membri provvedono affinché si verifichi:
un aumento della superficie in buono stato per i tipi di habitat dei gruppi da 1 a 6 dei tipi di habitat di cui all’allegato II fino a quando almeno il 90 % sia in buono stato e fino al raggiungimento della superficie di riferimento favorevole per ciascun tipo di habitat in ciascuna regione biogeografica dello Stato membro interessato;
un aumento della superficie in buono stato per i tipi di habitat del gruppo 7 dei tipi di habitat di cui all’allegato II fino a quando almeno la percentuale di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera d), sia in buono stato e fino al raggiungimento della superficie di riferimento favorevole per ciascun tipo di habitat in ciascuna regione biogeografica dello Stato membro interessato;
una tendenza crescente verso una quantità e una qualità sufficienti degli habitat marini delle specie di cui all’allegato III del presente regolamento e agli allegati II, IV e V della direttiva 92/43/CEE e delle specie che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/147/CE.
Articolo6
Energia da fonti rinnovabili
Ai fini dell’articolo 4, paragrafi 14 e 15, e dell’articolo 5, paragrafi 11 e 12, la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, la loro connessione alla rete, la rete stessa e gli impianti di stoccaggio sono presunti di interesse pubblico prevalente. Gli Stati membri possono esentare tali piani e progetti dal requisito che non siano disponibili soluzioni alternative meno dannose a norma dell’articolo 4, paragrafi 14 e 15, e dell’articolo 5, paragrafi 11 e 12, a condizione che:
sia stata effettuata una valutazione ambientale strategica conformemente alle condizioni di cui alla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (44); o
tali piani e progetti siano stati oggetto di una valutazione dell’impatto ambientale conformemente alle condizioni di cui alla direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (45).
In circostanze specifiche e debitamente giustificate, gli Stati membri possono limitare l’applicazione del paragrafo 1 a determinate parti del loro territorio nonché a determinati tipi di tecnologie o a progetti con determinate caratteristiche tecniche, conformemente alle priorità stabilite nei rispettivi piani nazionali integrati per l’energia e il clima a norma del regolamento (UE) 2018/1999.
Se gli Stati membri applicano restrizioni a norma del primo comma, ne informano la Commissione e le giustificano.
Articolo7
Difesa nazionale
Nell’attuazione delle misure di ripristino ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, 4 o 7, o dell’articolo 5, paragrafo 1, 2 o 5, gli Stati membri possono esentare le zone utilizzate per attività destinate esclusivamente alla difesa nazionale, qualora tali misure siano ritenute incompatibili con un continuo uso militare delle zone in questione.
(44) Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (GU L 197 del 21.7.2001, pag. 30).
(45) Direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 26 del 28.1.2012, pag. 1).
Ai fini dell’articolo 4, paragrafi 14 e 15, e dell’articolo 5, paragrafi 11 e 12, gli Stati membri possono prevedere che i piani e i progetti destinati esclusivamente alla difesa nazionale siano presunti di interesse pubblico prevalente.
Ai fini dell’articolo 4, paragrafi 14 e 15, e dell’articolo 5, paragrafi 11 e 12, gli Stati membri possono esentare piani e progetti destinati esclusivamente alla difesa nazionale dal requisito che non siano disponibili soluzioni alternative meno dannose. Tuttavia, qualora uno Stato membro applichi tale esenzione, esso mette in atto misure, per quanto ragionevole e fattibile, volte a mitigare l’impatto di tali piani e progetti sui tipi di habitat.
Articolo8
Ripristino degli ecosistemi urbani
Entro il 31 dicembre 2030 gli Stati membri provvedono affinché non si registri alcuna perdita netta della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani né di copertura della volta arborea urbana nelle zone di ecosistemi urbani determinate a norma dell’articolo 14, paragrafo 4, rispetto al 2024. Ai fini del presente paragrafo, gli Stati membri possono escludere da dette superfici nazionali totali le zone di ecosistemi urbani in cui la quota di spazi verdi urbani nei centri urbani e negli agglomerati urbani supera il 45 % e la quota di copertura della volta arborea urbana supera il 10 %.
Dal 1o gennaio 2031 gli Stati membri conseguono una tendenza all’aumento della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, compreso mediante l’integrazione di spazi verdi urbani negli edifici e nelle infrastrutture, nelle zone di ecosistemi urbani determinate a norma dell’articolo 14, paragrafo 4, misurata ogni sei anni a decorrere dal 1o gennaio 2031, fino al raggiungimento di un livello soddisfacente stabilito a norma dell’articolo 14, paragrafo 5.
Gli Stati membri conseguono in ogni zona di ecosistemi urbani determinata a norma dell’articolo 14, paragrafo 4, una tendenza all’aumento della copertura della volta arborea urbana è misurata ogni sei anni a decorrere dal 1o gennaio 2031 fino al raggiungimento del livello soddisfacente stabilito a norma dell’articolo 14, paragrafo 5.
Articolo9
Ripristino della connettività naturale dei fiumi e delle funzioni naturali delle relative pianure alluvionali
Gli Stati membri compilano un inventario delle barriere artificiali alla connettività delle acque superficiali e, tenendo conto delle funzioni socio-economiche delle barriere artificiali, individuano quelle da rimuovere al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di ripristino di cui all’articolo 4 del presente regolamento e dell’obiettivo dell’Unione di ripristinare almeno 25 000 km di fiumi a scorrimento libero entro il 2030, fatti salvi la direttiva 2000/60/CE, in particolare l’articolo 4, paragrafi 3, 5 e 7, e il regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (46), in particolare l’articolo 15.
Gli Stati membri rimuovono le barriere artificiali alla connettività delle acque superficiali individuate nell’inventario realizzato a norma del paragrafo 1 del presente articolo, conformemente al piano per la loro rimozione di cui all’articolo 15, paragrafo 3, lettere i) e n). Nell’eliminare le barriere artificiali, gli Stati membri considerano innanzitutto quelle obsolete, segnatamente quelle che non sono più necessarie per la produzione di energia rinnovabile, la navigazione interna, l’approvvigionamento idrico, la protezione dalle inondazioni o altri usi.
Gli Stati membri integrano l’eliminazione delle barriere artificiali in conformità del paragrafo 2 con le misure necessarie per migliorare le funzioni naturali delle relative pianure alluvionali.
Gli Stati membri provvedono affinché la connettività naturale dei fiumi e le funzioni naturali delle relative pianure alluvionali ripristinate conformemente ai paragrafi 2 e 3 siano mantenute.
(46) Regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE (GU L 348 del 20.12.2013, pag. 1).
Articolo10
Ripristino delle popolazioni di impollinatori
Gli Stati membri, mettendo in atto tempestivamente misure efficaci e appropriate, migliorano la diversità degli impollinatori e invertono la diminuzione delle popolazioni di impollinatori al più tardi entro il 2030 e conseguono successivamente una tendenza all’aumento di queste popolazioni, misurata almeno ogni sei anni a decorrere dal 2030, fino al raggiungimento dei livelli soddisfacenti di cui all’articolo 14, paragrafo 5.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di integrare il presente regolamento stabilendo e aggiornando un metodo scientifico di monitoraggio della diversità degli impollinatori e delle popolazioni di impollinatori. La Commissione adotta il primo di tali atti delegati che stabiliscono tale metodo entro il 19 agosto 2025.
Il metodo di cui al paragrafo 2 fornisce un approccio standardizzato per rilevare i dati annuali sull’abbondanza e la diversità delle specie impollinatrici per tutti gli ecosistemi, per valutare l’evoluzione della popolazione degli impollinatori e l’efficacia delle misure di ripristino adottate dagli Stati membri in conformità del paragrafo 1.
Quando utilizzano il metodo di cui al paragrafo 2, gli Stati membri provvedono affinché i dati di monitoraggio provengano da un numero adeguato di siti onde garantire la rappresentatività in tutto il loro territorio. Gli Stati membri promuovono la scienza dei cittadini nella raccolta dei dati di monitoraggio, ove opportuno, e forniscono risorse adeguate per lo svolgimento di tali compiti.
La Commissione e le pertinenti agenzie dell’Unione, in particolare l’AEA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, coordinano, conformemente ai rispettivi mandati, le loro attività relative agli impollinatori e forniscono informazioni agli Stati membri, su richiesta, per sostenerli nell’adempimento dei rispettivi obblighi a norma del presente articolo. A tal fine la Commissione istituisce, tra l’altro, un’apposita unità operativa e diffonde le informazioni e le competenze pertinenti agli Stati membri in modo coordinato.
Articolo11
Ripristino degli ecosistemi agricoli
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per rafforzare la biodiversità degli ecosistemi agricoli, in aggiunta alle zone soggette a misure di ripristino a norma dell’articolo 4, paragrafi 1, 4 e 7, tenendo conto dei cambiamenti climatici, delle esigenze sociali ed economiche delle zone rurali e della necessità di garantire la produzione agricola sostenibile nell’Unione.
Gli Stati membri mettono in atto misure volte a conseguire una tendenza all’aumento a livello nazionale per almeno due dei tre indicatori seguenti per gli ecosistemi agricoli, illustrati nell’allegato IV, misurata nel periodo compreso tra il 18 agosto 2024 e il 31 dicembre 2030, e successivamente ogni sei anni, fino al raggiungimento dei livelli soddisfacenti fissati a norma dell’articolo 14, paragrafo 5:
indice delle farfalle comuni;
stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati;
percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità.
Gli Stati membri mettono in atto misure di ripristino volte a far sì che l’indice dell’avifauna comune in habitat agricolo a livello nazionale basato sulle specie indicate nell’allegato V, indicizzato il 1o settembre 2025 = 100, raggiunga i seguenti livelli:
per gli Stati membri che figurano nell’allegato V con popolazioni di uccelli in habitat agricolo storicamente più depauperate: 110 entro il 2030, 120 entro il 2040 e 130 entro il 2050;
per gli Stati membri che figurano nell’allegato V con popolazioni di uccelli in habitat agricolo storicamente meno depauperate: 105 entro il 2030, 110 entro il 2040 e 115 entro il 2050.
Gli Stati membri mettono in atto misure volte a ripristinare i suoli organici a uso agricolo che costituiscono torbiere drenate. Queste misure sono messe in atto su almeno:
il 30 % di tali superfici entro il 2030, di cui almeno un quarto è riumidificato;
il 40 % di tali superfici entro il 2040, di cui almeno un terzo è riumidificato;
il 50 % di tali superfici entro il 2050, di cui almeno un terzo è riumidificato.
Gli Stati membri possono mettere in atto misure di ripristino, compresa la riumidificazione, nelle zone dei siti di estrazione della torba e conteggiarle come zone che contribuiscono al conseguimento degli obiettivi di cui al primo comma, lettere a),
b) e c).
Inoltre, gli Stati membri possono mettere in atto misure di ripristino per riumidificare i suoli organici che costituiscono torbiere drenate destinate a usi del suolo diversi dall’uso agricolo e dall’estrazione della torba e conteggiare tali zone riumidificate come zone che contribuiscono, fino a un massimo del 40 %, al conseguimento degli obiettivi di cui al primo comma, lettere a), b) e c).
Le misure di ripristino consistenti nella riumidificazione delle torbiere, compresi i livelli idrici da raggiungere, contribuiscono a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra e ad aumentare la biodiversità, tenendo conto nel contempo delle circostanze nazionali e locali.
Ove debitamente giustificato, la portata della riumidificazione delle torbiere a uso agricolo può essere ridotta da uno Stato membro a un livello inferiore di quanto prescritto al primo comma, lettere a), b) e c), del presente paragrafo se è probabile che tale riumidificazione abbia impatti negativi significativi su infrastrutture, edifici, adattamento ai cambiamenti climatici o altri interessi pubblici e se tale riumidificazione non può avvenire su terreni diversi dai terreni agricoli. Tali eventuali riduzioni sono determinate conformemente all’articolo 14, paragrafo 8.
L’obbligo per gli Stati membri di conseguire gli obiettivi di riumidificazione di cui al primo comma, lettere a), b) e c), non implica l’obbligo di riumidificare i loro terreni per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati, per i quali la riumidificazione dei terreni agricoli rimane volontaria, fatti salvi gli obblighi derivanti dal diritto nazionale.
Se del caso, gli Stati membri incentivano la riumidificazione per renderla un’opzione attraente per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati e promuovono l’accesso degli agricoltori e degli altri portatori di interessi a formazioni e consulenze sui benefici della riumidificazione delle torbiere e sulle opzioni relative alla successiva gestione del territorio e le opportunità che ne derivano.
Articolo12
Ripristino degli ecosistemi forestali
Gli Stati membri mettono in atto le misure di ripristino necessarie per rafforzare la biodiversità degli ecosistemi forestali, in aggiunta alle zone soggette a misure di ripristino a norma dell’articolo 4, paragrafi 1, 4 e 7, tenendo conto dei rischi di incendi boschivi.
Gli Stati membri conseguono una tendenza all’aumento a livello nazionale dell’indice dell’avifauna comune in habitat forestale, ulteriormente illustrato nell’allegato VI, misurata nel periodo compreso tra il 18 agosto 2024 e il 31 dicembre 2030, e successivamente ogni sei anni, fino al raggiungimento dei livelli soddisfacenti fissati a norma dell’articolo 14, paragrafo 5.
Gli Stati membri conseguono una tendenza all’aumento a livello nazionale di almeno sei su sette dei seguenti indicatori per gli ecosistemi forestali, ulteriormente illustrati nell’allegato VI, scelti in base alla loro capacità di dimostrare il rafforzamento della biodiversità degli ecosistemi forestali nello Stato membro interessato. La tendenza è misurata nel periodo compreso tra il 18 agosto 2024 e il 31 dicembre 2030, e successivamente ogni sei anni, fino al raggiungimento dei livelli soddisfacenti fissati a norma dell’articolo 14, paragrafo 5:
legno morto in piedi;
legno morto a terra;
percentuale di foreste disetanee;
connettività forestale;
stock di carbonio organico;
percentuale di foreste dominate da specie arboree autoctone;
diversità delle specie arboree.
Il mancato rispetto degli obblighi di cui ai paragrafi 2 e 3 è giustificato se è dovuto a:
casi di forza maggiore su vasta scala, comprese le catastrofi naturali, in particolare gli incendi boschivi non pianificati e incontrollati; o
trasformazioni inevitabili degli habitat causate direttamente dai cambiamenti climatici.
Articolo13
Messa a dimora di tre miliardi di nuovi alberi
In sede di individuazione e attuazione delle misure di ripristino per conseguire gli obiettivi e ottemperare agli obblighi di cui all’articolo 4 e agli articoli da 8 a 12, gli Stati membri mirano a contribuire all’impegno di piantare almeno tre miliardi di nuovi alberi entro il 2030 a livello dell’Unione.
Gli Stati membri provvedono affinché il loro contributo all’adempimento dell’impegno di cui al paragrafo 1 sia conseguito nel pieno rispetto dei principi ecologici, anche garantendo la diversità delle specie e la diversità in termini di struttura di età, dando priorità alle specie arboree autoctone, ad eccezione, in casi e condizioni molto specifici, delle specie non autoctone adattate al suolo, al contesto climatico ed ecologico e alle condizioni degli habitat locali, che contribuiscono a promuovere una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici. Le misure volte a realizzare tale impegno mirano ad aumentare la connettività ecologica e sono basate sull’imboschimento sostenibile, il rimboschimento sostenibile e l’impianto di alberi sostenibile e sull’aumento degli spazi verdi urbani.
CAPO III
PIANI NAZIONALI DI RIPRISTINO
Articolo14
Preparazione dei piani nazionali di ripristino
Ciascuno Stato membro prepara un piano nazionale di ripristino ed effettua il monitoraggio e le ricerche preliminari opportuni per individuare le misure di ripristino necessarie per conseguire gli obiettivi di ripristino e adempiere gli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13 e contribuire agli obiettivi dell’Unione di cui all’articolo 1, tenendo conto delle evidenze scientifiche più recenti.
Gli Stati membri quantificano la superficie che deve essere ripristinata per conseguire gli obiettivi di ripristino di cui agli articoli 4 e 5, tenendo conto dello stato dei tipi di habitat di cui all’articolo 4, paragrafi 1 e 4, e all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, e della qualità e quantità degli habitat delle specie di cui all’articolo 4, paragrafo 7, e all’articolo 5, paragrafo 5, presenti negli ecosistemi contemplati dall’articolo 2. La quantificazione si basa, tra l’altro, sulle informazioni seguenti:
per ciascun tipo di habitat:
la superficie totale dell’habitat e una carta della sua distribuzione attuale;
la superficie dell’habitat che non è in buono stato;
la superficie di riferimento favorevole, tenendo conto dei registri di distribuzione storica e delle modifiche delle condizioni ambientali previste dovute ai cambiamenti climatici;
le zone più adatte al ristabilimento dei tipi di habitat in considerazione delle modifiche delle condizioni ambientali in corso e previste dovute ai cambiamenti climatici;
la qualità e la quantità sufficienti degli habitat delle specie necessarie per raggiungere il loro stato di conservazione soddisfacente, tenendo conto delle zone più adatte a ristabilire questi habitat, e la connettività necessaria tra di loro affinché le popolazioni di specie possano prosperare, nonché le modifiche delle condizioni ambientali in corso e previste dovute ai cambiamenti climatici, le esigenze concorrenti degli habitat e delle specie e la presenza di terreni agricoli ad alto valore naturalistico.
Ai fini della quantificazione della superficie di ciascun tipo di habitat che deve essere ripristinata per conseguire gli obiettivi di ripristino di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), e all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), la superficie di habitat non in buono stato di cui al primo comma, lettera a), punto ii), del presente paragrafo comprende solo le zone per le quali è conosciuto lo stato del tipo di habitat.
Ai fini della quantificazione della superficie di ciascun tipo di habitat che deve essere ripristinata per conseguire gli obiettivi di ripristino di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e all’articolo 5, paragrafo 1, lettere b), c) e d), la superficie di habitat non in buono stato di cui al primo comma, lettera a), punto ii), del presente paragrafo comprende solo le zone per le quali lo stato del tipo di habitat è conosciuto o deve essere conosciuto a norma dell’articolo 4, paragrafo 9, e dell’articolo 5, paragrafo 7.
Se uno Stato membro intende applicare la deroga di cui all’articolo 4, paragrafo 2, individua le percentuali di cui a tale articolo.
Se uno Stato membro intende applicare la deroga di cui all’articolo 4, paragrafo 5, e all’articolo 5, paragrafo 3, individua le percentuali inferiori fissate a norma di tali articoli.
Per quanto riguarda il gruppo 7 dei tipi di habitat di cui all’allegato II, gli Stati membri fissano la percentuale di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera d).
Gli Stati membri determinano e mappano le zone di ecosistemi urbani di cui all’articolo 8 per tutte le loro città, piccole città e sobborghi.
La zona di ecosistemi urbani di una città o di una piccola città e sobborgo comprende:
l’intera città o piccola città e sobborgo; o
parti della città o della piccola città e sobborgo, compresi almeno i centri urbani, gli agglomerati urbani e, se lo Stato membro interessato lo ritiene opportuno, le zone periurbane.
Gli Stati membri possono aggregare le zone di ecosistemi urbani di due o più città, o due o più piccole città e sobborghi adiacenti, o entrambi, in un’unica zona di ecosistemi urbani comune a tali città, o piccole città e sobborghi, rispettivamente.
Entro il 2030 gli Stati membri fissano, mediante un processo e una valutazione aperti ed efficaci basati sulle evidenze scientifiche più recenti, sul quadro di riferimento di cui all’articolo 20, paragrafo 10, e, se disponibile, sul quadro di riferimento di cui all’articolo 20, paragrafo 11, livelli soddisfacenti per:
le popolazioni di impollinatori di cui all’articolo 10, paragrafo 1, e per l’indicatore di cui all’articolo 12, paragrafo 2;
ciascuno degli indicatori scelti di cui all’articolo 11, paragrafo 2;
ciascuno degli indicatori scelti di cui all’articolo 12, paragrafo 3;
gli spazi verdi urbani di cui all’articolo 8, paragrafo 2; e
la copertura della volta arborea urbana di cui all’articolo 8, paragrafo 3.
Gli Stati membri individuano e mappano le zone agricole e forestali che necessitano di ripristino, in particolare le zone che, a causa dell’intensificazione o di altri fattori di gestione, necessitano di una connettività e di una diversità paesaggistica maggiori.
Entro il 19 agosto 2025 ciascuno Stato membro può elaborare una metodologia per integrare la metodologia di cui all’allegato IV, al fine di monitorare gli elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità non contemplati dal metodo comune di cui alla descrizione degli elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità di cui al suddetto allegato. La Commissione fornisce orientamenti sul quadro per l’elaborazione di tali metodologie entro il 19 settembre 2024.
Gli Stati membri determinano, se del caso, la riduzione della portata della riumidificazione delle torbiere a uso agricolo di cui all’articolo 11, paragrafo 4, quinto comma.
Gli Stati membri individuano le sinergie con la mitigazione dei cambiamenti climatici, l’adattamento ai medesimi, la neutralità in termini di degrado del suolo e la prevenzione delle catastrofi e stabiliscono di conseguenza l’ordine di priorità delle misure di ripristino. Gli Stati membri tengono conto anche degli elementi seguenti:
i loro piani nazionali integrati per l’energia e il clima di cui all’articolo 3 del regolamento (UE) 2018/1999;
la loro strategia a lungo termine di cui all’articolo 15 del regolamento (UE) 2018/1999;
l’obiettivo vincolante complessivo dell’Unione per il 2030 di cui all’articolo 3 della direttiva (UE) 2018/2001.
Gli Stati membri individuano sinergie con l’agricoltura e la silvicoltura. Individuano inoltre le pratiche agricole e forestali esistenti, compresi gli interventi della PAC, che contribuiscono agli obiettivi del presente regolamento.
L’attuazione del presente regolamento non comporta l’obbligo per gli Stati membri di riprogrammare eventuali finanziamenti nell’ambito della PAC, della PCP o di altri programmi e strumenti di finanziamento per l’agricoltura e la pesca nell’ambito del QFP 2021-2027.
Gli Stati membri possono promuovere l’impiego di regimi di sostegno privati o pubblici a vantaggio dei portatori di interessi che attuano le misure di ripristino di cui agli articoli da 4 a 12, compresi gestori e proprietari di terreni, agricoltori, silvicoltori e pescatori.
Gli Stati membri coordinano l’elaborazione dei piani nazionali di ripristino con la mappatura delle zone che sono necessarie per ottemperare almeno ai loro contributi nazionali per il conseguimento dell’obiettivo per il 2030 in materia di rinnovabili e, se del caso, con la designazione delle zone di accelerazione per le energie rinnovabili e delle apposite zone per le infrastrutture. Durante la preparazione dei piani nazionali di ripristino, gli Stati membri garantiscono sinergie con lo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’infrastruttura energetica e con eventuali zone di accelerazione per le energie rinnovabili e apposite zone per le infrastrutture già designate e assicurano che rimangano invariati il funzionamento di tali zone, compresa la procedura di autorizzazione applicabile nelle zone in questione prevista dalla direttiva (UE) 2018/2001, e il funzionamento dei progetti di rete necessari per integrare l’energia rinnovabile nel sistema elettrico e la rispettiva procedura di autorizzazione.
In fase di preparazione dei piani nazionali di ripristino, gli Stati membri tengono conto in particolare degli elementi seguenti:
le misure di conservazione stabilite per i siti Natura 2000 conformemente alla direttiva 92/43/CEE;
i quadri di azioni prioritarie preparati conformemente alla direttiva 92/43/CEE;
le misure volte a conseguire un buono stato quantitativo, ecologico e chimico dei corpi idrici che figurano nei programmi di misure e nei piani di gestione dei bacini idrografici preparati conformemente alla direttiva 2000/60/CE e nei piani di gestione del rischio di alluvioni istituiti a norma della direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (47);
se del caso, le strategie per l’ambiente marino volte a conseguire un buono stato ecologico per tutte le regioni marine dell’Unione, preparate conformemente alla direttiva 2008/56/CE;
i programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico preparati nel quadro della direttiva (UE) 2016/2284;
le strategie e i piani d’azione nazionali in materia di biodiversità elaborati conformemente all’articolo 6 della convenzione sulla diversità biologica;
se del caso, le misure di conservazione e di gestione adottate nell’ambito della PCP;
i piani strategici della PAC elaborati in conformità del regolamento (UE) 2021/2115.
In fase di preparazione dei piani nazionali di ripristino gli Stati membri tengono conto anche dei progetti relativi a materie prime strategiche o critiche ove riconosciuti dal diritto dell’Unione.
(47) Direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni (GU L 288 del 6.11.2007, pag. 27).
In fase di preparazione dei piani nazionali di ripristino gli Stati membri:
possono avvalersi dei diversi esempi di misure di ripristino di cui all’allegato VII, in funzione delle condizioni nazionali e locali specifiche e delle evidenze scientifiche più recenti;
mirano a ottimizzare le funzioni ecologiche, economiche e sociali degli ecosistemi nonché il loro contributo allo sviluppo sostenibile delle regioni e comunità interessate;
possono tenere conto della diversità delle situazioni in regioni diverse connesse ai requisiti sociali, economici e culturali, alle caratteristiche regionali e locali e alla densità della popolazione; se del caso, si dovrebbe tenere conto della situazione specifica delle regioni ultraperiferiche dell’Unione, come la grande distanza, l’insularità, la superficie ridotta, la topografia e il clima difficili, nonché della ricca biodiversità e dei costi associati per la protezione e il ripristino dei loro ecosistemi.
Ove possibile, gli Stati membri promuovono sinergie con i piani nazionali di ripristino di altri Stati membri, in particolare per gli ecosistemi transfrontalieri o in cui gli Stati membri condividono una regione o sottoregione marina ai sensi della direttiva 2008/56/CE.
Ove possibile e opportuno, ai fini della preparazione e dell’attuazione di piani nazionali di ripristino, in relazione al ripristino e al ristabilimento degli ecosistemi marini, gli Stati membri possono utilizzare le strutture regionali di cooperazione istituzionale esistenti.
Qualora individuino un problema che possa impedire il rispetto degli obblighi di ripristinare e di ristabilire gli ecosistemi marini e che richieda misure per le quali non sono competenti, gli Stati membri presentano, individualmente o congiuntamente, se del caso, agli Stati membri, alla Commissione o alle organizzazioni internazionali, una descrizione dei problemi individuati e delle possibili misure, in vista dell’esame e dell’eventuale adozione.
Gli Stati membri si adoperano affinché la preparazione del piano di ripristino sia aperta, trasparente, inclusiva ed efficace e che al pubblico, compresi tutti i pertinenti portatori di interessi, siano offerte tempestivamente possibilità effettive di partecipare alla preparazione del piano. Le consultazioni sono conformi alle prescrizioni di cui alla direttiva 2001/42/CE.
Articolo15
Contenuto del piano nazionale di ripristino
Il piano nazionale di ripristino copre il periodo fino al 2050 e prevede scadenze intermedie corrispondenti agli obiettivi e agli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13.
In deroga al paragrafo 1 del presente articolo, il piano nazionale di ripristino da presentare a norma dell’articolo 16 e dell’articolo 17, paragrafo 6, può, per quanto riguarda il periodo dal 1o luglio 2032 e fino al riesame a norma dell’articolo 19, paragrafo 1, essere limitato a una panoramica strategica di quanto segue:
gli elementi di cui al paragrafo 3; e
i contenuti di cui ai paragrafi 4 e 5.
Il piano nazionale di ripristino riveduto derivante dal riesame da effettuare entro il 30 giugno 2032 a norma dell’articolo 19, paragrafo 1, può essere limitato, per quanto riguarda il periodo dal 1o luglio 2042 e fino alla revisione entro il 30 giugno 2042 conformemente all’articolo 19, paragrafo 1, a una panoramica strategica degli elementi e contenuti di cui al primo comma del presente paragrafo.
Ogni Stato membro include gli elementi seguenti nel piano nazionale di ripristino, utilizzando il formato tipo a norma del paragrafo 7:
la quantificazione delle zone da ripristinare per raggiungere gli obiettivi di ripristino di cui agli articoli da 4 a 12 sulla base dei lavori preparatori svolti a norma dell’articolo 14 e le mappe indicative di potenziali zone da ripristinare;
se uno Stato membro applica la deroga di cui all’articolo 4, paragrafo 5, o all’articolo 5, paragrafo 3, una giustificazione dei motivi per cui non è possibile mettere in atto entro il 2050 le misure di ripristino necessarie per raggiungere la superficie di riferimento favorevole di uno specifico tipo di habitat e una giustificazione della percentuale inferiore fissata a norma di tali articoli, individuata da tale Stato membro;
una descrizione delle misure di ripristino previste o attuate per conseguire gli obiettivi di ripristino e adempiere gli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13 del presente regolamento precisando quali tra queste misure di ripristino sono previste o attuate nell’ambito della rete Natura 2000 istituita a norma della direttiva 92/43/CEE;
una sezione specifica che definisca le misure per adempiere gli obblighi di cui all’articolo 4, paragrafo 9, e all’articolo 5, paragrafo 7;
se uno Stato membro applica la deroga di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del presente regolamento, una giustificazione del modo in cui le percentuali fissate conformemente a tale articolo non impediscono il raggiungimento o il mantenimento a livello biogeografico nazionale di uno stato di conservazione soddisfacente per i tipi di habitat pertinenti, determinato a norma dell’articolo 1, lettera e), della direttiva 92/43/CEE;
un’indicazione delle misure intese a garantire che le zone coperte dai tipi di habitat di cui agli allegati I e II non si deteriorino nelle zone in cui è stato raggiunto un buono stato e che gli habitat delle specie di cui all’articolo 4, paragrafo 7, e all’articolo 5, paragrafo 5, non si deteriorino significativamente nelle zone in cui è stata raggiunta una qualità sufficiente degli habitat delle specie, conformemente all’articolo 4, paragrafo 11, e all’articolo 5, paragrafo 9;
se del caso, una descrizione delle modalità di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 13, nel suo territorio, che comprenda:
una spiegazione del sistema di misure di compensazione da adottare per ogni caso di deterioramento significativo, nonché del monitoraggio e della comunicazione necessari, relativi al deterioramento significativo dei tipi di habitat e degli habitat delle specie, come pure delle misure di compensazione adottate;
una spiegazione del modo in cui si garantirà che l’attuazione dell’articolo 4, paragrafo 13, non incida sul conseguimento degli obiettivi di cui agli articoli 1, 4 e 5;
un’indicazione delle misure finalizzate a mantenere in buono stato i tipi di habitat di cui agli allegati I e II nelle zone che li ospitano e a prevenire il deterioramento significativo delle altre zone coperte dai tipi di habitat di cui agli allegati I e II, conformemente all’articolo 4, paragrafo 12, e all’articolo 5, paragrafo 10;
l’inventario delle barriere e le barriere da rimuovere individuate a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, il piano per la loro rimozione a norma dell’articolo 9, paragrafo 2, e una stima della lunghezza dei fiumi a scorrimento libero da conseguire mediante la rimozione di queste barriere dal 2020 al 2030 ed entro il 2050, e qualsiasi altra misura volta a ristabilire le funzioni naturali delle pianure alluvionali conformemente all’articolo 9, paragrafo 3;
un resoconto degli indicatori per gli ecosistemi agricoli scelti a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, e della loro idoneità a dimostrare il rafforzamento della biodiversità negli ecosistemi agricoli all’interno dello Stato membro interessato;
una giustificazione, se del caso, della riumidificazione delle torbiere in percentuale inferiore a quella di cui all’articolo 11, paragrafo 4, primo comma, lettere a), b) e c);
un resoconto degli indicatori per gli ecosistemi forestali scelti a norma dell’articolo 12, paragrafo 3, e della loro idoneità a dimostrare il rafforzamento della biodiversità negli ecosistemi forestali all’interno dello Stato membro interessato;
una descrizione del contributo all’impegno di cui all’articolo 13;
il calendario per l’attuazione delle misure di ripristino a norma degli articoli da 4 a 12;
una sezione specifica che stabilisca misure di ripristino su misura nelle regioni ultraperiferiche, ove opportuno;
il monitoraggio delle zone soggette a ripristino conformemente agli articoli 4 e 5, il processo per valutare l’efficacia delle misure di ripristino messe in atto a norma degli articoli da 4 a 12 e per rivederle ove necessario a garantire rispettivamente il conseguimento degli obiettivi e l’adempimento degli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13;
un’indicazione delle disposizioni atte a garantire gli effetti continui, a lungo termine e duraturi delle misure di ripristino di cui agli articoli da 4 a 12;
i benefici collaterali previsti per la mitigazione dei cambiamenti climatici e la neutralità in termini di degrado del suolo associati alle misure di ripristino nel corso del tempo;
gli impatti socioeconomici prevedibili e i benefici previsti dell’attuazione delle misure di ripristino di cui agli articoli da 4 a 12;
una sezione specifica che illustri in che modo il piano nazionale di ripristino tiene conto degli elementi seguenti:
la pertinenza degli scenari di cambiamento climatico per la pianificazione del tipo e dell’ubicazione delle misure di ripristino;
il potenziale delle misure di ripristino in termini di riduzione al minimo dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla natura, di prevenzione o di attenuazione degli effetti delle catastrofi naturali, e di sostegno all’adattamento;
sinergie con le strategie o i piani nazionali di adattamento e le relazioni nazionali di valutazione del rischio di catastrofi;
una panoramica dell’interazione tra le misure incluse nel piano nazionale di ripristino e il piano nazionale per l’energia e il clima;
la stima delle esigenze di finanziamento per l’attuazione delle misure di ripristino, che comprende una descrizione del sostegno ai portatori di interesse toccati dalle misure di ripristino o da altri nuovi obblighi derivanti dal presente regolamento, e i mezzi di finanziamento previsti, pubblici o privati, compreso il finanziamento o cofinanziamento con strumenti di finanziamento dell’Unione;
un’indicazione delle sovvenzioni che incidono negativamente sul conseguimento degli obiettivi e sull’adempimento degli obblighi di cui al presente regolamento;
una sintesi del processo di preparazione e stesura del piano nazionale di ripristino, comprese informazioni sulla partecipazione del pubblico e sul modo in cui sono state prese in considerazione le esigenze delle comunità locali e dei portatori di interessi;
una sezione specifica che indichi in che modo le osservazioni della Commissione sul progetto di piano nazionale di ripristino di cui all’articolo 17, paragrafo 4, sono state prese in considerazione a norma dell’articolo 17, paragrafo 5; se non dà seguito a un’osservazione della Commissione, o a una parte considerevole della stessa, lo Stato membro fornisce le sue motivazioni.
Il piano nazionale di ripristino include, se del caso, le misure di conservazione e di gestione che lo Stato membro intende adottare nell’ambito della PCP, comprese le misure di conservazione contenute nelle raccomandazioni comuni che lo Stato membro intende presentare conformemente alla procedura di cui al regolamento (UE) n. 1380/2013 e di cui all’articolo 18 del presente regolamento, e tutte le informazioni pertinenti su tali misure.
Il piano nazionale di ripristino include una panoramica dell’interazione tra le misure incluse nel piano nazionale di ripristino e il piano strategico nazionale nell’ambito della PAC.
Se del caso, il piano nazionale di ripristino include una panoramica delle considerazioni relative alla diversità delle situazioni in varie regioni di cui all’articolo 14, paragrafo 16, lettera c).
La Commissione stabilisce, mediante atti di esecuzione, un formato tipo per il piano nazionale di ripristino. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 24, paragrafo 2. La Commissione è assistita dall’AEA nell’elaborazione del formato tipo. Entro il 1o dicembre 2024, la Commissione presenta i progetti di atti di esecuzione al comitato di cui all’articolo 24, paragrafo 1.
Articolo16
Presentazione del progetto di piano nazionale di ripristino
Ogni Stato membro presenta alla Commissione un progetto di piano nazionale di ripristino di cui agli articoli 14 e 15 entro il 1o settembre 2026.
Articolo17
Valutazione del piano nazionale di ripristino
La Commissione valuta il progetto di piano nazionale di ripristino entro sei mesi dalla data di ricevimento. In sede di valutazione la Commissione agisce in stretta collaborazione con lo Stato membro.
Nel valutare il progetto di piano nazionale di ripristino, la Commissione ne valuta:
la conformità all’articolo 15;
l’adeguatezza rispetto al conseguimento degli obiettivi e all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13;
il contributo agli obiettivi dell’Unione di cui all’articolo 1, agli obiettivi specifici di cui all’articolo 9, paragrafo 1, di ripristinare almeno 25 000 km di fiumi a scorrimento libero nell’Unione entro il 2030 e all’impegno di cui all’articolo 13 di piantare almeno tre miliardi di nuovi alberi entro il 2030.
Ai fini della valutazione del progetto di piano nazionale di ripristino, la Commissione è assistita da esperti o dall’AEA.
La Commissione può rivolgere le sue osservazioni sul progetto di piano nazionale di ripristino allo Stato membro entro sei mesi dalla data di ricevimento del progetto stesso.
Lo Stato membro tiene conto delle eventuali osservazioni della Commissione nel suo piano nazionale di ripristino definitivo.
Lo Stato membro mette a punto, pubblica e presenta alla Commissione il piano nazionale di ripristino entro sei mesi dalla data di ricevimento delle osservazioni della Commissione.
Articolo18
Coordinamento delle misure di ripristino negli ecosistemi marini
Gli Stati membri i cui piani nazionali di ripristino includono misure di conservazione da adottare nel quadro della PCP si avvalgono pienamente degli strumenti ivi previsti.
Se i piani nazionali di ripristino includono misure che richiedono la presentazione di una raccomandazione comune mediante la procedura di regionalizzazione di cui all’articolo 18 del regolamento (UE) n. 1380/2013, gli Stati membri che preparano tali piani, tenuto conto dei termini di cui all’articolo 5 del presente regolamento, avviano tempestivamente consultazioni con gli altri Stati membri che hanno un interesse di gestione diretto interessati da tali misure e con i pertinenti consigli consultivi a norma dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1380/2013 per consentire un accordo tempestivo sulle eventuali raccomandazioni comuni e la loro presentazione. A tal fine, nel piano nazionale di ripristino includono anche il calendario stimato della consultazione e della presentazione delle raccomandazioni comuni.
La Commissione agevola e monitora i progressi compiuti nella presentazione di raccomandazioni comuni nell’ambito della PCP. Gli Stati membri presentano le raccomandazioni comuni sulle misure di conservazione necessarie per contribuire al conseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 5 al più tardi 18 mesi prima del rispettivo termine.
In assenza di raccomandazioni comuni di cui al paragrafo 2 del presente articolo prima del rispettivo termine di cui al paragrafo 3 del presente articolo in merito alle misure di conservazione necessarie per il rispetto degli obblighi derivanti dalla normativa ambientale dell’Unione di cui all’articolo 11 del regolamento (UE) n. 1380/2013, la Commissione può avvalersi appieno degli strumenti di cui all’articolo 11, paragrafo 4, di tale regolamento, se del caso alle condizioni ivi stabilite.
Articolo19
Riesame del piano nazionale di ripristino
Ogni Stato membro riesamina e rivede il proprio piano nazionale di ripristino, includendovi misure aggiuntive, entro il 30 giugno 2032 e successivamente entro il 30 giugno 2042. Successivamente, almeno una volta ogni 10 anni, ogni Stato membro riesamina il proprio piano nazionale di ripristino e, se necessario, lo rivede includendovi misure aggiuntive.
I riesami sono effettuati conformemente agli articoli 14 e 15, tenendo conto dei progressi compiuti nell’attuazione dei piani, delle migliori evidenze scientifiche disponibili e delle conoscenze disponibili sui cambiamenti o i cambiamenti attesi delle condizioni ambientali dovuti ai cambiamenti climatici. Nei riesami da effettuare entro il 30 giugno 2032 ed entro il 30 giugno 2042, gli Stati membri tengono conto delle conoscenze sullo stato dei tipi di habitat di cui agli allegati I e II acquisite conformemente all’articolo 4, paragrafo 9, e all’articolo 5, paragrafo 7. Ogni Stato membro pubblica e presenta alla Commissione il proprio piano nazionale di ripristino riveduto.
Qualora il monitoraggio effettuato a norma dell’articolo 20 indichi che le misure stabilite nel piano nazionale di ripristino non saranno sufficienti per conseguire gli obiettivi di ripristino e adempiere gli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13, lo Stato membro riesamina il piano nazionale di ripristino e, se necessario, lo rivede includendovi misure aggiuntive. Gli Stati membri pubblicano e presentano alla Commissione i loro piani nazionali di ripristino riveduti.
Sulla base delle informazioni di cui all’articolo 21, paragrafi 1 e 2, e della valutazione di cui all’articolo 21, paragrafi 4 e 5, se ritiene che i progressi compiuti dallo Stato membro siano insufficienti per conseguire gli obiettivi e adempiere gli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13, previa consultazione con lo Stato membro interessato la Commissione può esigere che lo Stato membro presenti un progetto riveduto di piano nazionale di ripristino contenente misure aggiuntive. Lo Stato membro pubblica il piano nazionale di ripristino riveduto con misure aggiuntive e lo presenta alla Commissione entro sei mesi dalla data di ricevimento della richiesta di quest’ultima. Su richiesta dello Stato membro interessato e in casi debitamente giustificati, la Commissione può prorogare tale termine di altri sei mesi.
CAPO IV
MONITORAGGIO E COMUNICAZIONE
Articolo20
Monitoraggio
Gli Stati membri monitorano quanto segue:
lo stato e la tendenza dello stato dei tipi di habitat, nonché la qualità e la tendenza della qualità degli habitat delle specie di cui agli articoli 4 e 5 nelle zone soggette a misure di ripristino sulla base del monitoraggio di cui all’articolo 15, paragrafo 3, lettera p);
la superficie dello spazio verde urbano e della copertura della volta arborea urbana all’interno di zone di ecosistemi urbani di cui all’articolo 8 e determinate conformemente all’articolo 14, paragrafo 4;
almeno due degli indicatori di biodiversità per gli ecosistemi agricoli scelti dallo Stato membro conformemente all’articolo 11, paragrafo 2;
le popolazioni delle specie dell’avifauna comune in habitat agricolo di cui all’allegato V;
l’indicatore di biodiversità per gli ecosistemi forestali di cui all’articolo 12, paragrafo 2;
almeno sei degli indicatori di biodiversità per gli ecosistemi forestali scelti dallo Stato membro conformemente all’articolo 12, paragrafo 3;
l’abbondanza e la diversità delle specie impollinatrici, secondo il metodo stabilito a norma dell’articolo 10, paragrafo 2;
la superficie e lo stato delle aree coperte dai tipi di habitat di cui agli allegati I e II;
la superficie e la qualità dell’habitat delle specie di cui all’articolo 4, paragrafo 7, e all’articolo 5, paragrafo 5;
l’estensione e l’ubicazione delle zone in cui i tipi di habitat e gli habitat delle specie si sono notevolmente deteriorati e delle zone soggette a misure di compensazione adottate a norma dell’articolo 4, paragrafo 13, nonché l’efficacia delle misure di compensazione per garantire che l’eventuale deterioramento dei tipi di habitat e degli habitat delle specie non sia significativo a livello di ciascuna regione biogeografica nel loro territorio e che il conseguimento degli obiettivi di cui agli articoli 1, 4 e 5 non sia compromesso.
Il monitoraggio di cui al paragrafo 1, lettera a), ha inizio non appena vengono messe in atto le misure di ripristino.
Il monitoraggio di cui al paragrafo 1, lettere b), c), d), e) ed f), inizia il 18 agosto 2024.
Il monitoraggio di cui al paragrafo 1, lettera g), del presente articolo inizia un anno dopo l’entrata in vigore dell’atto delegato di cui all’articolo 10, paragrafo 2.
Il monitoraggio di cui al paragrafo 1, lettera j), del presente articolo inizia non appena è presentata alla Commissione la notifica di cui all’articolo 4, paragrafo 13.
Il monitoraggio di cui al paragrafo 1, lettere a) e b), è effettuato almeno ogni sei anni. Il monitoraggio a norma del paragrafo 1, lettera c), per quanto riguarda, se del caso, gli stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati e la percentuale di terreni agricoli con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità, e del paragrafo 1, lettera f), per quanto riguarda, se del caso, il legno morto in piedi, il legno morto a terra, la quota di foreste disetanee, la connettività forestale, gli stock di carbonio organico, la quota di foreste dominate da specie arboree autoctone e la diversità delle specie arboree, è effettuato almeno ogni sei anni o, ove necessario per valutare la tendenza all’aumento per il 2030, entro un intervallo più breve. Il monitoraggio a norma del paragrafo 1, lettera c), per quanto riguarda, se del caso, l’indice delle farfalle comuni, del paragrafo 1, lettera d), per quanto riguarda l’indice dell’avifauna comune in habitat agricolo, del paragrafo 1, lettera e), per quanto riguarda l’indice dell’avifauna comune in habitat forestale, e del paragrafo 1, lettera g), per quanto riguarda le specie impollinatrici, è effettuato ogni anno. Il monitoraggio a norma del paragrafo 1, lettere h) e i), è effettuato almeno ogni sei anni ed è coordinato con il ciclo di relazioni di cui all’articolo 17 della direttiva 92/43/CEE e la valutazione iniziale di cui all’articolo 17 della direttiva 2008/56/CE. Il monitoraggio di cui al paragrafo 1, lettera j), è effettuato ogni tre anni.
Gli Stati membri provvedono affinché gli indicatori per gli ecosistemi agricoli di cui all’articolo 11, paragrafo 2, lettera b), e gli indicatori per gli ecosistemi forestali di cui all’articolo 12, paragrafo 3, lettere a), b) ed e), del presente regolamento siano monitorati in modo coerente con il monitoraggio richiesto a norma dei regolamenti (UE) 2018/841 e (UE) 2018/1999.
Gli Stati membri rendono pubblici i dati generati dal monitoraggio effettuato a norma del presente articolo, conformemente alla direttiva 2007/2/CE e alle frequenze di monitoraggio di cui al paragrafo 6 del presente articolo.
I sistemi di monitoraggio degli Stati membri operano sulla base di banche dati elettroniche e di sistemi di informazione geografica e massimizzano l’accesso e l’uso dei dati e servizi ottenuti mediante tecnologie di telerilevamento, osservazione della Terra (servizi Copernicus), sensori e dispositivi in situ, o dati derivanti dalla scienza dei cittadini, sfruttando le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, dall’analisi e dal trattamento avanzati dei dati.
Entro il 31 dicembre 2028 la Commissione istituisce, mediante atti di esecuzione, un quadro di riferimento per la fissazione dei livelli soddisfacenti di cui all’articolo 8, paragrafi 2 e 3, all’articolo 10, paragrafo 1, e all’articolo 11,
paragrafo 2.
La Commissione, mediante atti di esecuzione, può:
precisare i metodi di monitoraggio degli indicatori per gli ecosistemi agricoli di cui all’allegato IV;
precisare i metodi di monitoraggio degli indicatori per gli ecosistemi forestali di cui all’allegato VI;
istituire un quadro di riferimento per la fissazione dei livelli soddisfacenti di cui all’articolo 12, paragrafi 2 e 3.
Gli atti di esecuzione di cui ai paragrafi 10 e 11 del presente articolo sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 24, paragrafo 2.
Articolo21
Comunicazioni
Entro il 30 giugno 2028 e successivamente almeno ogni tre anni, gli Stati membri comunicano per via elettronica i seguenti dati alla Commissione:
la zona oggetto delle misure di ripristino di cui agli articoli da 4 a 12;
l’estensione delle zone in cui i tipi di habitat e gli habitat delle specie si sono notevolmente deteriorati e delle zone soggette a misure di compensazione adottate a norma dell’articolo 4, paragrafo 13;
le barriere di cui all’articolo 9 che sono state rimosse; e
il loro contributo all’impegno di cui all’articolo 13.
Entro il 30 giugno 2031, per il periodo fino al 2030, e successivamente almeno ogni sei anni, gli Stati membri comunicano per via elettronica i dati e le informazioni seguenti alla Commissione, assistita dall’AEA:
i progressi compiuti nell’attuazione del piano nazionale di ripristino, nella messa in atto delle misure di ripristino, nel conseguimento degli obiettivi e nell’adempimento degli obblighi di cui agli articoli da 4 a 13;
informazioni circa:
l’ubicazione delle zone in cui i tipi di habitat o gli habitat delle specie si sono notevolmente deteriorati e delle zone soggette a misure di compensazione adottate a norma dell’articolo 4, paragrafo 13;
una descrizione dell’efficacia delle misure di compensazione adottate a norma dell’articolo 4, paragrafo 13, nel garantire che l’eventuale deterioramento dei tipi di habitat e degli habitat delle specie non sia significativo a livello di ciascuna regione biogeografica nel loro territorio;
una descrizione dell’efficacia delle misure di compensazione adottate a norma dell’articolo 4, paragrafo 13, nel garantire che il conseguimento degli obiettivi di cui agli articoli 1, 4 e 5 non sia compromesso;
i risultati del monitoraggio effettuato a norma dell’articolo 20, comprese, nel caso dei risultati del monitoraggio effettuato a norma dell’articolo 20, paragrafo 1, lettere h) e i), mappe georeferenziate;
l’ubicazione e l’estensione delle zone soggette alle misure di ripristino di cui agli articoli 4 e 5 e all’articolo 11, paragrafo 4, compresa una loro mappa georeferenziata;
l’inventario aggiornato delle barriere di cui all’articolo 9, paragrafo 1;
informazioni sui progressi compiuti nel far fronte alle esigenze di finanziamento, conformemente all’articolo 15, paragrafo 3, lettera u), compreso un esame dell’investimento effettivo rispetto alle ipotesi di investimento iniziale.
La Commissione stabilisce, mediante atti di esecuzione, il formato, la struttura e le modalità dettagliate per la presentazione delle informazioni di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 24, paragrafo 2. Nella redazione del formato, della struttura e delle modalità dettagliate della comunicazione elettronica, la Commissione è assistita dall’AEA.
Entro il 31 dicembre 2028 e successivamente ogni tre anni, l’AEA presenta alla Commissione una panoramica tecnica sui progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi e l’adempimento degli obblighi di cui al presente regolamento sulla base dei dati messi a disposizione dagli Stati membri a norma del paragrafo 1 del presente articolo e dell’articolo 20, paragrafo 8.
Entro il 30 giugno 2032 e successivamente ogni sei anni, l’AEA presenta alla Commissione una relazione tecnica a livello dell’Unione sui progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi e l’adempimento degli obblighi di cui al presente regolamento sulla base dei dati messi a disposizione dagli Stati membri a norma dei paragrafi 1, 2 e 3 del presente articolo. L’AEA può inoltre utilizzare le informazioni comunicate a norma dell’articolo 17 della direttiva 92/43/CEE, dell’articolo 15 della direttiva 2000/60/CE, dell’articolo 12 della direttiva 2009/147/CE e dell’articolo 17 della direttiva 2008/56/CE.
A decorrere dal 19 agosto 2029 e successivamente ogni sei anni, la Commissione riferisce al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione del presente regolamento.
Entro il 19 agosto 2025 la Commissione, in consultazione con gli Stati membri, presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione contenente:
una panoramica delle risorse finanziarie disponibili a livello dell’Unione ai fini dell’attuazione del presente regolamento;
una valutazione delle esigenze di finanziamento per attuare gli articoli da 4 a 13 e conseguire l’obiettivo di cui all’articolo 1, paragrafo 2;
un’analisi volta a individuare eventuali carenze di finanziamento nell’attuazione degli obblighi di cui al presente regolamento;
se del caso, proposte di misure adeguate, comprese misure finanziarie per far fronte alle carenze individuate, come l’istituzione di finanziamenti ad hoc, e fatte salve le prerogative dei colegislatori per l’adozione del quadro finanziario pluriennale per il periodo successivo al 2027.
Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo siano adeguate e aggiornate e siano accessibili al pubblico conformemente alle direttive 2003/4/CE, 2007/2/CE e (UE) 2019/1024.
CAPO V
ATTI DELEGATI E ATTI DI ESECUZIONE
Articolo22
Modifica degli allegati
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di modificare l’allegato I adeguando al progresso tecnico e scientifico il modo in cui i tipi di habitat sono raggruppati e per tenere conto dell’esperienza acquisita con l’applicazione del presente regolamento.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di modificare l’allegato II adeguando:
l’elenco dei tipi di habitat al fine di garantire la coerenza con gli aggiornamenti della classificazione degli habitat del sistema UE d’informazione sulla natura (EUNIS); e
il modo in cui i tipi di habitat sono raggruppati al progresso tecnico e scientifico e per tenere conto dell’esperienza acquisita con l’applicazione del presente regolamento.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di modificare l’allegato III adeguando l’elenco delle specie marine di cui all’articolo 5 al progresso tecnico e scientifico.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di modificare l’allegato IV adeguando la descrizione, l’unità e il metodo degli indicatori di biodiversità per gli ecosistemi agricoli al progresso tecnico e scientifico.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di modificare l’allegato V adeguando l’elenco delle specie utilizzate per l’indice dell’avifauna comune in habitat agricolo negli Stati membri al progresso tecnico e scientifico.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di modificare l’allegato VI adeguando la descrizione, l’unità e il metodo degli indicatori di biodiversità per gli ecosistemi forestali al progresso tecnico e scientifico.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 23 al fine di modificare l’allegato VII adeguando l’elenco di esempi delle misure di ripristino al progresso tecnico e scientifico e per tenere conto dell’esperienza acquisita con l’applicazione del presente regolamento.
Articolo23
Esercizio della delega
Il potere di adottare atti delegati è conferito alla Commissione alle condizioni stabilite nel presente articolo.
Il potere di adottare atti delegati di cui all’articolo 10, paragrafo 2, e all’articolo 22, paragrafi da 1 a 7, è conferito alla Commissione per un periodo di cinque anni a decorrere dal 18 agosto 2024. La Commissione elabora una relazione sulla delega di potere al più tardi nove mesi prima della scadenza del periodo di cinque anni. La delega di potere è tacitamente prorogata per periodi di identica durata, a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non si oppongano a tale proroga al più tardi tre mesi prima della scadenza di ciascun periodo.
La delega di potere di cui all’articolo 10, paragrafo 2, e all’articolo 22, paragrafi da 1 a 7, può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio. La decisione di revoca pone fine alla delega di potere ivi specificata. Gli effetti della decisione decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea o da una data successiva ivi specificata. Essa non pregiudica la validità degli atti delegati già in vigore.
Prima dell’adozione dell’atto delegato la Commissione consulta gli esperti designati da ciascuno Stato membro nel rispetto dei principi stabiliti nell’accordo interistituzionale «Legiferare meglio» del 13 aprile 2016.
Non appena adotta un atto delegato, la Commissione ne dà contestualmente notifica al Parlamento europeo e al Consiglio.
Gli atti delegati adottati ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, o dell’articolo 22, paragrafi da 1 a 7, entra in vigore solo se né il Parlamento europeo né il Consiglio hanno sollevato obiezioni entro il termine di due mesi dalla data in cui esso è stato loro notificato o se, prima della scadenza di tale termine, sia il Parlamento europeo che il Consiglio hanno informato la Commissione che non intendono sollevare obiezioni. Tale termine è prorogato di due mesi su iniziativa del Parlamento europeo o del Consiglio.
Articolo24
Procedura di comitato
La Commissione è assistita da un comitato. Esso è un comitato ai sensi del regolamento (UE) n. 182/2011.
Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l’articolo 5 del regolamento (UE) n. 182/2011.
CAPO VI
DISPOSIZIONI FINALI
Articolo25
Modifica del regolamento (UE) 2022/869
All’articolo 7, paragrafo 8, del regolamento (UE) 2022/869, il primo comma è sostituito dal seguente:
«In relazione all’impatto ambientale di cui all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CEE, all’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva 2000/60/CE, all’articolo 4, paragrafi 14 e 15, e all’articolo 5, paragrafi 11 e 12, del regolamento (UE) 2024/1991 del Parlamento europeo e del Consiglio (*), i progetti figuranti nell’elenco dell’Unione sono ritenuti di interesse pubblico dal punto di vista della politica energetica e possono essere considerati di interesse pubblico prevalente, purché siano soddisfatte tutte le condizioni stabilite nelle direttive e nel regolamento citati.
La Commissione valuta l’applicazione del presente regolamento entro il 31 dicembre 2033.
La valutazione comprende un esame dell’impatto del presente regolamento sui settori agricolo, forestale e della pesca, tenendo conto dei pertinenti collegamenti con la produzione alimentare e la sicurezza alimentare nell’Unione, e degli effetti socioeconomici più ampi del presente regolamento.
La Commissione presenta una relazione sui principali risultati della valutazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Se la Commissione lo ritiene opportuno, la relazione è corredata di una proposta legislativa di modifica delle pertinenti disposizioni del presente regolamento, tenendo conto della necessità di stabilire ulteriori obiettivi di ripristino, compresi gli obiettivi aggiornati per il 2040 e il 2050, sulla base di metodi comuni per valutare lo stato degli ecosistemi non contemplati dagli articoli 4 e 5, della valutazione di cui al paragrafo 1 del presente articolo e delle evidenze scientifiche più recenti.
Articolo27
Sospensione temporanea
Qualora si sia verificato un evento imprevedibile, eccezionale e non provocato al di fuori del controllo dell’Unione, con gravi conseguenze su scala unionale per la disponibilità di terreni necessari a garantire una produzione agricola sufficiente per il consumo alimentare dell’Unione, la Commissione adotta atti di esecuzione necessari e giustificabili in casi di emergenza. Tali atti di esecuzione possono sospendere temporaneamente l’applicazione delle pertinenti disposizioni dell’articolo 11 nella misura e per il periodo strettamente necessari. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 24, paragrafo 2.
Gli atti di esecuzione adottati a norma del paragrafo 1 rimangono in vigore per un periodo non superiore a 12 mesi. Se dopo tale periodo persistono i problemi specifici di cui al paragrafo 1, la Commissione può presentare un’adeguata proposta legislativa volta a rinnovarlo.
La Commissione informa il Parlamento europeo e il Consiglio degli atti adottati a norma del paragrafo 1 entro due giorni lavorativi dalla loro adozione.
Articolo28
Entrata in vigore
Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
Fatto a Bruxelles, il 24 giugno 2024
Peril Parlamento europeo Il presidente R. METSOLA
Peril Consiglio Il presidente A. MARON
ALLEGATO I
ECOSISTEMI TERRESTRI, COSTIERI E DI ACQUA DOLCE — TIPI DI HABITAT E GRUPPI DI TIPI DI HABITAT DI CUI ALL’ARTICOLO 4, PARAGRAFI 1 E 4
L’elenco sottostante comprende tutti i tipi di habitat terrestri, costieri e di acqua dolce elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE di cui all’articolo 4, paragrafi 1 e 4, nonché sei gruppi di quei tipi di habitat, nella fattispecie 1) zone umide (costiere e interne), 2) formazioni erbose e altri habitat pastorali, 3) habitat fluviali, lacustri, alluvionali e ripariali, 4) foreste,
5) habitat di steppe, lande e arbusteti e 6) habitat rocciosi e di dune.
GRUPPO 1: zone umide (costiere e interne)
Codice del tipo di habitat di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE
Nome del tipo di habitat di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE
Habitatcostieriediacquasalata
1130
Estuari
1140
Distese fangose o sabbiose emergenti durante la bassa marea
1150
Lagune costiere
1310
Vegetazione annua pioniera di Salicorniae altre delle zone fangose e sabbiose
Dune con presenza di Salixrepensssp. argentea (Salicionarenariae)
2180
Dune boscose delle regioni atlantica, continentale e boreale
2190
Depressioni umide interdunari
2210
Dune fisse del litorale del Crucianellionmaritimae
2220
Dune con presenza di Euphorbiaterracina
Codice del tipo di habitat di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE
Nome del tipo di habitat di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE
2230
Dune con prati dei Malcolmietalia
2240
Dune con prati dei Brachypodietaliae vegetazione annua
2250
Dune costiere con Juniperusspp.
2260
Dune con vegetazione di sclerofille dei Cisto-Lavenduletalia
2270
Dune con foreste di Pinuspineae/o Pinuspinaster
2310
Lande psammofile secche a Callunae Genista
2320
Lande psammofile secche a Callunaed Empetrumnigrum
2330
Dune dell’entroterra con prati aperti a Corynephoruse Agrostis
2340
Dune pannoniche dell’entroterra
91N0
Boscaglia fitta delle dune pannoniche interne (Junipero-Populetumalbae)
Habitatrocciosi
8110
Ghiaioni silicei dei piani montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladani)
8120
Ghiaioni calcarei e scistocalcarei montani e alpini (Thlaspietearotundifolii)
8130
Ghiaioni del Mediterraneo occidentale e termofili
8140
Ghiaioni del Mediterraneo orientale
8150
Ghiaioni dell’Europa centrale silicei delle regioni alte
8160
Ghiaioni dell’Europa centrale calcarei di collina e montagna
8210
Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica
8220
Pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica
8230
Rocce silicee con vegetazione pioniera del Sedo-Scleranthion o del Sedo albi-Veronicion dillenii
8310
Grotte non ancora sfruttate a livello turistico
8320
Campi di lava e cavità naturali
Codice del tipo di habitat di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE
Nome del tipo di habitat di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE
8340
Ghiacciai permanenti
ALLEGATO II
ECOSISTEMI MARINI — TIPI DI HABITAT E GRUPPI DI TIPI DI HABITAT DI CUI ALL’ARTICOLO 5, PARAGRAFI 1 E 2
L’elenco sottostante comprende i tipi di habitat marini di cui all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, nonché sette gruppi di quei tipi di habitat, nella fattispecie 1) praterie marine, 2) foreste macroalgali, 3) parchi di molluschi, 4) colonie di maerl, 5) spugne, coralli e banchi coralligeni 6) camini e stillicidi e 7) sedimenti morbidi (non oltre i 1 000 metri di profondità). È presentato anche il rapporto con i tipi di habitat elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE.
La classificazione dei tipi di habitat marini utilizzata, differenziata per regioni biogeografiche marine, è realizzata conformemente al sistema europeo di informazione sulla natura (EUNIS), rivisto nel 2022 dall’AEA per quel che riguarda la tipologia di habitat marini. Le informazioni sugli habitat correlati elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE sono basate sulla conversione pubblicata dall’AEA nel 2021 (1).
Gruppo 1: praterie marine
Codice EUNIS
Nome EUNIS del tipo di habitat
Codice del tipo di habitat correlati di cui all’allegato I della direttiva 92/43/CEE
Atlantico
MA522
Praterie marine su sabbia litorale atlantica
1140; 1160
MA623
Praterie marine su fango litorale atlantico
1140; 1160
MB522
Praterie marine su sabbia infralitorale atlantica
1110; 1150; 1160
MarBaltico
MA332
Sedimenti idrolitorali grossolani del Baltico caratterizzati da vegetazione sommersa
1130; 1160; 1610; 1620
MA432
Sedimenti idrolitorali misti del Baltico caratterizzati da vegetazione sommersa
1130; 1140; 1160; 1610
MA532
Sabbia idrolitorale del Baltico caratterizzata da piante radicate sommerse
1130; 1140; 1160; 1610
MA632
Fango idrolitorale del Baltico dominato da piante radicate sommerse
1130; 1140; 1160; 1650
MB332
Sedimenti infralitorali grossolani del Baltico caratterizzati da piante radicate sommerse
1110; 1160
MB432
Sedimenti infralitorali misti del Baltico caratterizzati da piante radicate sommerse
Descrizione: questo indicatore è composto da specie che sono considerate caratteristiche delle formazioni erbose europee, sono presenti in gran parte dell’Europa e sono contemplate dalla maggioranza dei sistemi di monitoraggio delle farfalle. È basato sulla media geometrica delle tendenze delle specie. Unità: indice. Metodo: quello elaborato e utilizzato da Butterfly Conservation Europe, Van Swaay, C.A.M, Assessing Butterflies in Europe — Butterfly Indicators 1990-2018, Technical report, Butterfly Conservation Europe, 2020.
Stock di carbonio organico nei suoli minerali delle terre coltivate
Descrizione: questo indicatore descrive lo stock di carbonio organico nei suoli minerali delle terre coltivate a una profondità compresa tra 0 e 30 cm. Unità: tonnellate di carbonio organico/ettaro. Metodo: quello definito nell’allegato V del regolamento (UE) 2018/1999, conformemente alle linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra, e sostenuto dall’indagine a campionamento areale sull’uso e sulla copertura del suolo (LUCAS, Land Use and Coverage Area frame Survey), Jones A. et al., LUCAS Soil 2022, relazione tecnica del JRC, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, 2021.
Percentuale di terreni agricoli interessata da elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità
Descrizione: gli elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità, quali fasce tampone, siepi, alberi isolati o in gruppi, filari, bordi di campi, particelle, fossati, ruscelli, piccole zone umide, terrazzamenti, tumuli funerari (cairns), muretti di pietra, piccoli stagni e elementi culturali, sono elementi di vegetazione permanente naturale o seminaturale presenti in un contesto agricolo che forniscono servizi ecosistemici e contribuiscono alla biodiversità. Al fine di assolvere a questo compito, gli elementi caratteristici del paesaggio devono essere sottoposti al minor numero possibile di perturbazioni esterne negative per fornire habitat sicuri per vari taxa e quindi devono soddisfare le condizioni seguenti: non possono essere sfruttati a fini di produzione agricola (compresi pascoli o produzione di foraggio), a meno che tale uso non sia necessario per la conservazione della biodiversità; enon dovrebbero essere trattati con fertilizzanti o pesticidi, ad eccezione dei trattamenti a basso apporto con effluente solido. I terreni lasciati a riposo, anche temporaneamente, possono essere considerati elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità se soddisfano i criteri stabiliti nel secondo paragrafo, lettere a) e b). Anche gli alberi produttivi che fanno parte di sistemi agroforestali sostenibili o gli alberi in vecchi frutteti estensivi su prati permanenti e gli elementi produttivi presenti nelle siepi possono essere considerati elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità se soddisfano il criterio stabilito nel secondo paragrafo, lettera b), e se la raccolta si svolge solo in momenti in cui non compromettano l’elevato livello di biodiversità. Unità: percentuale (quota di superficie agricola utilizzata).
Metodo: quello elaborato per l’indicatore I.21, all’allegato I, del regolamento (UE) 2021/2115, sulla base dell’ultima versione aggiornata dell’indagine LUCAS per gli elementi caratteristici del paesaggio, Ballin M. et al., Redesign sample for Land Use/Cover Area frame Survey (LUCAS), Eurostat 2018, e per i terreni lasciati a riposo, Farm Structure: Reference Metadata in Single Integrated Metadata Structure, pubblicazione online, Eurostat, e, se del caso, per gli elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità non contemplati dal metodo summenzionato, quello elaborato dagli Stati membri conformemente all’articolo 14, paragrafo 7, del presente regolamento. Il metodo LUCAS è aggiornato periodicamente per migliorare l’affidabilità dei dati utilizzati nell’Unione e, a livello nazionale, dagli Stati membri nell’attuazione dei rispettivi piani nazionali di ripristino della natura.
ALLEGATO V
INDICE DELL’AVIFAUNA COMUNE IN HABITAT AGRICOLO A LIVELLO NAZIONALE
Descrizione
L’indice dell’avifauna comune in habitat agricolo riassume le tendenze della popolazione degli uccelli comuni e diffusi sui terreni agricoli ed è concepito come una variabile rappresentativa per valutare lo stato degli ecosistemi agricoli in Europa in termini di biodiversità. L’indice nazionale dell’avifauna comune in habitat agricolo è un indice composito multispecie che misura il tasso di variazione dell’abbondanza relativa delle specie di uccelli presenti sui terreni agricoli in vari siti di indagine selezionati a livello nazionale. Tale indice è basato su specie appositamente selezionate che dipendono dai terreni agricoli come habitat per l’alimentazione o la nidificazione, o entrambe. Gli indici nazionali dell’avifauna comune in habitat agricolo sono basati sugli insiemi di specie pertinenti per ciascuno Stato membro. L’indice nazionale dell’avifauna comune in habitat agricolo è calcolato rispetto a un anno di riferimento in cui il valore dell’indice è generalmente fissato a 100. I valori delle tendenze esprimono la variazione generale della dimensione della popolazione degli uccelli in habitat agricolo nell’arco di anni.
Metodo: Brlík et al., (2021): «Long-term and large-scale multispecies dataset tracking population changes of common European breeding birds», Sci Data 8, 21, https://doi.org/10.1038/s41597-021-00804-2
Per «Stati membri con popolazioni di uccelli in habitat agricolo storicamente più decimate» si intendono gli Stati membri in cui almeno la metà delle specie che contribuiscono all’indice nazionale dell’avifauna comune in habitat agricolo presenta una tendenza della popolazione a lungo termine negativa. Per gli Stati membri in cui non sono disponibili informazioni sulle tendenze a lungo termine della popolazione di talune specie sono utilizzate le informazioni sullo stato della specie a livello europeo.
Tali Stati membri sono i seguenti:
Cechia Danimarca Germania Estonia Spagna Francia Italia
Lussemburgo Ungheria Paesi Bassi Finlandia
Per «Stati membri con popolazioni di uccelli in habitat agricolo storicamente meno decimate» si intendono gli Stati membri in cui meno della metà delle specie che contribuiscono all’indice nazionale dell’avifauna comune in habitat agricolo presenta una tendenza della popolazione a lungo termine negativa. Per gli Stati membri in cui non sono disponibili informazioni sulle tendenze a lungo termine della popolazione di talune specie sono utilizzate le informazioni sullo stato della specie a livello europeo.
Tali Stati membri sono i seguenti: Belgio
Bulgaria Irlanda Grecia Croazia Cipro Lettonia
Lituania Malta Austria Polonia Portogallo Romania Slovenia Slovacchia Svezia
Elenco delle specie usate per l’indice dell’avifauna comune in habitat agricolo negli Stati membri
Descrizione: questo indicatore mostra la quantità di biomassa legnosa non vivente in piedi nelle foreste e in altri terreni arborati. Unità: m3/ettaro. Metodo: quello elaborato e utilizzato da FOREST EUROPE, State of Europe’s Forests 2020, FOREST EUROPE 2020, e che figura nella descrizione degli inventari delle foreste nazionali in Tomppo E. et al., National Forest Inventories: Pathways for Common Reporting, Springer, 2010, e tenendo conto della metodologia definita nell’allegato V del regolamento (UE) 2018/1999 conformemente alle linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra.
Legno morto a terra
Descrizione: questo indicatore mostra la quantità di biomassa legnosa non vivente giacente a terra nelle foreste e in altri terreni arborati. Unità: m3/ettaro. Metodo: quello elaborato e utilizzato da FOREST EUROPE, State of Europe’s Forests 2020, FOREST EUROPE 2020, e che figura nella descrizione degli inventari delle foreste nazionali in Tomppo E. et al., National Forest Inventories: Pathways for Common Reporting, Springer, 2010, e tenendo conto della metodologia definita nell’allegato V del regolamento (UE) 2018/1999 conformemente alle linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra.
Percentuale di foreste con struttura disetanea
Descrizione: questo indicatore si riferisce alla percentuale di foreste disponibili per la fornitura di legname con una struttura disetanea rispetto a quelle con una struttura coetanea. Unità: percentuale di foreste disponibili per la fornitura di legname con struttura disetanea. Metodo: quello elaborato e utilizzato da FOREST EUROPE, State of Europe’s Forests 2020, FOREST EUROPE 2020, e che figura nella descrizione degli inventari delle foreste nazionali in Tomppo E. et al., National Forest Inventories: Pathways for Common Reporting, Springer, 2010.
Connettività forestale
Descrizione: la connettività forestale è il grado di compattezza delle superfici coperte da foreste. È definita con una scala da 0 a 100. Unità: indice. Metodo: quello elaborato da FAO, Vogt P., et al., FAO — StateoftheWorld’sForests: ForestFragmentation, relazione tecnica del JRC, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, 2019.
Descrizione: l’indicatore dell’avifauna in habitat forestale descrive le tendenze relative all’abbondanza dell’avifauna comune delle foreste nella sua area di ripartizione europea nel corso del tempo. È un indice composito creato da dati di osservazione delle specie di uccelli caratteristiche degli habitat forestali in Europa. L’indice è basato su un elenco specifico di specie in ciascun Stato membro. Unità: indice. Metodo: Brlík et al., «Long-termandlarge-scalemultispeciesdatasettrackingpopulationchangesofcommonEuropeanbreedingbirds», Sci Data 8, 21, 2021.
Stock di carbonio organico
Descrizione: questo indicatore descrive lo stock di carbonio organico nella lettiera e nel suolo minerale a una profondità compresa tra 0 e 30 cm negli ecosistemi forestali. Unità: tonnellate di carbonio organico/ettaro. Metodo: definito nell’allegato V del regolamento (UE) 2018/1999, conformemente alle linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra, e sostenuto dall’indagine a campionamento areale sull’uso e sulla copertura del suolo (LUCAS, Land Use and Coverage Area frame Survey), Jones A. et al., LUCAS Soil 2022, relazione tecnica del JRC, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, 2021.
Percentuale di foreste dominate da specie arboree autoctone
Descrizione: percentuale di foreste e altre superfici boschive dominate da specie arboree autoctone (>50 % della copertura) Unità: Percentuale Metodo: quello elaborato e utilizzato da FOREST EUROPE, State of Europe’s Forests 2020, FOREST EUROPE 2020, e che figura nella descrizione degli inventari delle foreste nazionali in Tomppo E. et al., National Forest Inventories: Pathways for Common Reporting, Springer, 2010.
Diversità delle specie arboree
Descrizione: questo indicatore descrive il numero medio di specie arboree presenti sulle superfici forestali Unità: indice Metodo: basato su FOREST EUROPE, State of Europe’s Forests 2020, FOREST EUROPE 2020, e che figura nella descrizione degli inventari delle foreste nazionali in Tomppo E. et al., National Forest Inventories: Pathways for Common Reporting, Springer, 2010.
ALLEGATO VII
ELENCO DI ESEMPI DELLE MISURE DI RIPRISTINO DI CUI ALL’ARTICOLO 14, PARAGRAFO 16
Ripristinare le zone umide riumidificando le torbiere drenate, rimuovendo le strutture di drenaggio delle torbiere o eliminando i polder e sospendendo l’estrazione di torba.
Migliorare le condizioni idrologiche aumentando la quantità, la qualità e le dinamiche delle acque superficiali e i livelli delle acque sotterranee per gli ecosistemi naturali e seminaturali.
Eliminare la boscaglia indesiderata o le piantagioni alloctone su formazioni erbose, zone umide, foreste e terreni scarsamente vegetati.
Applicare la paludicoltura.
Ristabilire i meandri dei fiumi e ricollegare i meandri isolati artificialmente o le lanche.
Rimuovere le barriere longitudinali e laterali, quali argini e dighe; dare maggiore spazio alle dinamiche dei fiumi e ripristinare i tratti fluviali a scorrimento libero.
Rinaturalizzare gli alvei dei fiumi, i laghi e i corsi d’acqua di pianura, per esempio rimuovendo gli elementi di correzione artificiale del corso degli alvei, ottimizzando la composizione del substrato, migliorando o sviluppando la copertura degli habitat.
Ripristinare i processi di sedimentazione naturale.
Stabilire zone ripariali, quali foreste ripariali, fasce tampone, prati o pascoli.
Aumentare gli elementi ecologici caratteristici nelle foreste, quali alberi grandi, alberi vecchi e alberi morenti (alberi dell’habitat) e le quantità di legno morto a terra e in piedi.
Lavorare per ottenere una struttura forestale diversificata in termini, ad esempio, di composizione di specie ed età, permettere la rigenerazione e la successione naturali delle specie arboree.
Aiutare la migrazione di provenienze e specie laddove ciò possa essere necessario a causa dei cambiamenti climatici.
Potenziare la diversità forestale ripristinando mosaici di habitat non forestali quali distese di formazioni erbose o brughiere, stagni o aree rocciose.
Ricorrere a una silvicoltura «naturalistica» o di «copertura continua»; introdurre specie arboree autoctone.
Potenziare lo sviluppo di foreste autoctone antiche e soprassuoli maturi, ad esempio rinunciando a sfruttare i terreni o attraverso una gestione attiva che favorisca lo sviluppo di funzioni di autoregolamentazione e un’adeguata resilienza.
Introdurre elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità nei seminativi e nelle formazioni erbose sfruttate intensivamente, quali fasce tampone, margini dei campi con fiori autoctoni, siepi, alberi, piccole foreste, terrazzamenti, stagni, corridoi tra habitat e aree di collegamento ecc.
Aumentare la superficie agricola gestita secondo approcci agroecologici quali agricoltura o agrosilvicoltura biologica, policoltura e rotazione delle colture, difesa integrata e gestione dei nutrienti.
Ridurre l’intensità dei pascoli o i regimi di sfalcio dei prati, se necessario, e ristabilire, laddove sono stati abbandonati, i pascoli estensivi con animali domestici e regimi di sfalcio estensivi.
Abbandonare o ridurre l’uso di pesticidi chimici e di fertilizzanti chimici e a base di letame animale.
Abbandonare l’aratura dei prati e non introdurre più sementi di erbe produttive.
Rimuovere le piantagioni su ex sistemi dunali dinamici interni per riattivare le dinamiche naturali dei venti a favore di habitat aperti.
Migliorare la connettività tra gli habitat per consentire lo sviluppo delle popolazioni delle specie e permettere un sufficiente scambio individuale o genetico nonché la migrazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici da parte delle specie.
Permettere agli ecosistemi di sviluppare le proprie dinamiche naturali, per esempio rinunciando allo sfruttamento dei terreni e promuovendo la vegetazione spontanea e il ritorno a uno stato naturale.
Eliminare e controllare le specie esotiche invasive ed evitare o ridurre al minimo l’introduzione di nuove specie.
Ridurre al minimo gli effetti negativi delle attività di pesca sull’ecosistema marino, per esempio impiegando attrezzature con meno impatto sui fondali.
Ripristinare zone importanti di riproduzione e crescita del novellame.
Predisporre strutture o substrati per incoraggiare il ritorno della vita marina a sostegno del ripristino dei banchi di corallo o di ostriche e dei fondali con «boulder reef».
Ripristinare praterie di fanerogame marine e foreste di kelp stabilizzando attivamente il fondo marino, riducendo e, ove possibile, eliminando le pressioni o tramite la propagazione attiva e la semina.
Ripristinare o migliorare lo stato della popolazione di specie autoctone caratteristiche vitali per l’ecologia degli habitat marini mediante misure di ripristino passivo o attivo, ad esempio introducendo novellame.
Ridurre le varie forme di inquinamento marino, quali il carico di nutrienti, l’inquinamento acustico e i rifiuti di plastica.
Aumentare le aree verdi urbane con elementi caratteristici ecologici, quali parchi, alberi e macchie boschive, tetti verdi, prati a fiori selvatici, giardini, orticoltura urbana, strade alberate, prati e siepi urbani, stagni e corsi d’acqua, prendendo in considerazione, tra l’altro, la diversità delle specie, le specie autoctone, le condizioni locali e la resilienza ai cambiamenti climatici.
Arrestare o ridurre l’inquinamento da medicinali, sostanze chimiche pericolose, acque reflue urbane e industriali e altri rifiuti, compresi quelli dispersi e la plastica, nonché l’inquinamento luminoso in tutti gli ecosistemi, oppure porvi rimedio.
Trasformare in siti naturali siti dismessi, ex aree industriali e cave.