CASSAZIONE PENALE, sez. III, 19 settembre, n. 35121
Il reato previsto dall’art. 515 del codice penale tutela la pubblica funzione dello Stato di assicurare l’onesto svolgimento del commercio, e non gli interessi patrimoniali dei singoli acquirenti, rendendo irrilevante il consenso o la tolleranza degli stessi riguardo alle non conformità del prodotto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta da:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Relatore
Dott. GALANTI Alberto – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a R il (Omissis)
avverso la sentenza del 11/10/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DOMENICO SECCIA, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore, AVV. LUCA FRANCESCON, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Ricorso trattato ai sensi ex art. 23 comma 8 del D.L. n. 137/2020.
Svolgimento del processo
1. A.A. ricorre per l’annullamento della sentenza dell’I 1 ottobre 2023 della Corte di appello di Trieste che, in parziale riforma della sentenza del 4 giugno 2021 del Tribunale di Udine, pronunciata a seguito di giudizio ordinario e da lui impugnata, lo ha assolto dal reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 517 quater cod. pen., rubricato al capo B, perché il fatto non sussiste, confermando la condanna per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 515, 517 bis cod. pen., rubricato al capo A, e rideterminando la pena nella misura di un mese di reclusione.
1.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 515 cod. pen. e del piano di controllo del Consorzio Prosciutto di San Daniele DOP, norma giuridica di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale.
1.2. Con il secondo motivo deduce il travisamento della prova.
2. Con memoria del 15 maggio 2024 il difensore ha replicato alla richiesta del Procuratore generale di declaratoria di inammissibilità del ricorso argomentando a sostegno della ammissibilità e fondatezza del ricorso stesso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il ricorrente risponde del (residuo) reato a lui ascritto perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nell’esercizio di un’attività commerciale (azienda agricola Berlet di B.B. e A.A. s.s.) consegnava agli acquirenti cose mobili (suini), per origine, provenienza e qualità, diverse da quelle dichiarate. In particolare, consegnava alle imprese acquirenti suini, le cui cosce erano destinate a produrre prosciutto DOP di San Daniele, nutriti con scarti della produzione industriale del pane, della pasta e della pizza (nutrienti non ammessi dal disciplinare di produzione della DOP prosciutto San Daniele). Il fatto è contestato come commesso in Villafranca e altrove dal 4 gennaio 2006 al 29 maggio 2017.
2.1. Secondo i Giudici di merito il ricorrente somministrava ai suini destinati alla produzione del prosciutto San Daniele sottoprodotti della panificazione non consentiti dal disciplinare del Consorzio del Prosciutto San Daniele DOP.
2.2. La Corte di appello, in particolare, è giunta alle proprie conclusioni sulla base di specifiche prove testimoniali e documentali del cui contenuto ha dato sinteticamente conto. Si tratta, in particolare di prove dirette (come le testimonianze dei dipendenti che avevano confermato l’assunto accusatorio) e indirette, come quelle degli accertatori che, sulla scorta delle fatture di acquisto dei sottoprodotti alimentari e del numero dei suini presenti in azienda, erano giunti alla conclusione secondo la quale sarebbe stato contrario alla logica e alla filosofia di impresa eliminare quasi l’ottanta per cento del prodotto acquistato piuttosto che destinarlo all’alimentazione anche dei suini destinati alla produzione del prosciutto San Daniele.
2.3. Il ricorrente contesta tali conclusioni deducendo, con il secondo motivo, il travisamento della prova.
2.4. Il travisamento della prova consiste in un errore di natura percettiva (giammai valutativa) tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro – giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il vizio è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come ben spiegato da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). Come ben affermato da Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos Silva Welton, Rv. 283370 – 01, il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova. Spiega la sentenza che “il vizio di “travisamento della prova” (o di contraddittorietà processuale come lo qualifica la dottrina più attenta) chiama in causa, in linea generale, le ipotesi di infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio. Tre sono le figure di patologia della motivazione riconducibili al vizio in esame: la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione); l’utilizzazione di una prova sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo “significante” (ed. travisamento delle risultanze probatorie); l’utilizzazione di una prova non acquisita al processo (c.d. travisamento per invenzione). In questi casi non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Invero H vizio di “contraddittorietà processuale” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605). L’elemento travisato deve assumere portata decisiva”.
2.5. Poiché il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l’errore è imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d “doppia conforme”, il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio può essere eccepito in sede di legittimità, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438). Tale insegnamento è oggi espressamente codificato dall’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che onera l’appellante di indicare in modo specifico le prove delle quali viene dedotta l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione.
2.6. Infine, quando viene dedotto il travisamento della prova è onere del ricorrente, in virtù del principio di “autosufficienza del ricorso”, suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il “fumus” del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell’11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). Non è sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.). E’ necessario, pertanto: a) identificare l’atto processuale omesso o travisato; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
2.7. Il principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165 – bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ove a ciò egli non abbia provveduto nei modi sopra indicati (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419 – 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432 – 01).
2.8. In conclusione: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l’esame può avere ad oggetto direttamente la prova (ed il suo contenuto) quando se ne deduce il travisamento, purché l’atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli; d) non è consentito, in caso di ed. “doppia conforme”, dedurre il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali già devolute in appello sopratutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado.
2.9. Non è dunque ammesso, in sede di legittimità, proporre un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, ciò non è consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento – come detto – per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
2.10. Orbene, il ricorrente, pur avendo espressamente dedotto il travisamento della prova in ed. “doppia conforme” pronuncia di condanna, non ha specificato se tale travisamento fosse stato denunciato in appello e, ancor più, non ha allegato i verbali completi delle dichiarazioni a suo dire travisate, così rendendo inammissibilmente fattuali le sue deduzioni. V’è peraltro da aggiungere che, in realtà, nemmeno di travisamento si tratta considerato che la Corte di appello ha fedelmente riportato il contenuto delle prove dichiarative delle quali il ricorso sollecita una diversa lettura attingendo a piene mani al contenuto del fascicolo processuale postulando la possibilità della Corte di cassazione di accedervi e di leggerne gli atti.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3.1. La dedotta tolleranza del Consorzio di non conformità lievi del prodotto, oltre ad essere fondata su inammissibili deduzioni fattuali, postula, in ogni caso, la disponibilità del bene giuridico tutelato dall’art. 515 cod. pen. che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha sempre escluso e ciò sul rilievo che il bene giuridico in questione è la pubblica funzione dello stato di assicurare l’onesto svolgimento del commercio e non gli interessi patrimoniali dei singoli acquirenti; da ciò consegue che, per il perfezionamento del reato, non necessita l’identificazione dei soggetti passivi e che la tolleranza o il consenso degli stessi non discrimina, trattandosi di diritto indisponibile (Sez. 6, n. 8266 del 28/05/1981, Ciccionesi, Rv. 150203 – 01; Sez. 6, n. 7167 del 26/02/1973, Montali, Rv. 125225 – 01; Sez. 2, n. 18609 del 16/02/2021, Chiuchiolo, non mass, sul punto).
3.2. Peraltro, la “non conformità lieve” è comunque considerata dal Consorzio una non conformità del prodotto ai requisiti imposti dal disciplinare che non si traduce, pertanto, nella accettazione tout court del prodotto stesso bensì nel ripristino delle condizioni di conformità. La “tolleranza”, per rendere il fatto penalmente irrilevante, deve tradursi nella sostanziale conformità del prodotto ai requisiti stabiliti dal disciplinare DOP e non deve comportare interventi correttivi che, proprio per la loro previsione, qualificano come non tollerabile il prodotto tal quale.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso (che preclude la possibilità di rilevare cause di estinzione del reato, quale la prescrizione, verificatesi successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata) consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di Euro 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma il 30 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 19 settembre 2024.