CASSAZIONE CIVILE, sez. V, 04 luglio 2024, n. 18333

CASSAZIONE CIVILE, sez. V, 04 luglio 2024, n. 18333

In materia di disciplina dell’IVA riguardo all’oro da investimento, la previsione dell’art. 19, comma 3, lettera d), D.P.R. n. 633 del 1972 deve intendersi riferita ai soggetti che producono oro da investimento o trasformano oro in tale tipologia di oro, sia nel caso in cui le lavorazioni siano effettuate a loro cura sia nel caso in cui lo siano da altri per loro conto, purché conservino il c.d. “marchio di identificazione” previsto dalla normativa. La centralità dei requisiti di peso e purezza nell’ambito della commerciabilità dell’oro da investimento implica che il soggetto che esercita i controlli su tali parametri e appone il marchio di identificazione si identifichi come “fabbricante”, sia nella veste di produttore che trasformatore. L’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa alle operazioni riguardanti l’uso dell’oro a fini di investimento è finalizzata alla sterilizzazione totale degli effetti dell’IVA sull’oro stesso e può essere estesa anche alle cessioni “a monte” delle relative lavorazioni ed ai servizi strettamente connessi alla produzione o trasformazione del metallo prezioso.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere

Dott. SALEMME Andrea Antonio – Consigliere Rel.

Dott. MASSAFRA Annachiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3900/2021 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende

Contro

EURONUMUS Spa, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANGELO EMO, 106, presso lo studio dell’avvocato CASTALDO CIRO (Omissis), rappresentata e difesa dagli avvocati MERONE GIUDITTA (Omissis) e PELLEGRIN EVA (Omissis)

avverso SENTENZA di COMM. TRIB. REG. della LOMBARDIA n. 2686/2020 depositata il 20/11/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo

1. EURONUMMUS Spa, attiva nel settore degli investimenti in metalli preziosi, è stata sottoposta a verifica fiscale per le annualità 2015 e 2016.

Con riferimento all’annualità 2013, sulla base dei risultati delle indagini compiute dai verificatori in riferimento all’annualità 2015 ed in esito a questionario, l’Agenzia delle entrate – DP di Milano 1 emetteva l’avviso di accertamento n. (Omissis), con il quale le contestava l’illegittima detrazione dell’IVA ex art. 19, comma 5, D.P.R. 633 del 1972, in quanto la medesima era risultata priva della qualifica di soggetto produttore di “oro da investimento”: si era qualificata come soggetto che produce o trasforma oro da investimento, mentre in realtà era un’altra società a provvedere in concreto alla trasformazione, dovendo conseguentemente escludersi il regime di esenzione dall’IVA di cui all’art. 10, comma 1, numero 11), D.P.R. 633 del 1072, con i correlati effetti in ordine al meccanismo del “pro rata” di detraibilità.

2. La CTP di Milano, con sentenza n. 5374/3/2019, depositata il 9 dicembre 2019, respingeva il ricorso della contribuente, rilevando, in particolare, che “la ricorrente non pone in essere alcuna operazione di trasformazione e produzione di oro da investimento, attività che è invece svolta da un’altra società (,) come pacificamente non contestato dalle parti, con la conseguenza che non le può essere riconosciuta la qualifica di soggetto produttore. Da qui, l’impossibilità di applicare il regime di esenzione (dall’)IVA di cui all’art. 10, c. 1, n. 11) D.P.R. 633/72 e la conseguente applicazione del regime del “pro rata” di detraibilità ex art. 19 D.P.R. 633/72″.

3. La contribuente proponeva appello, accolto dalla CTR della Lombardia sulla base della seguente motivazione:

(P)reliminarmente il Collegio ritiene che qui si verta (d)ell’ipotesi di trasformazione di oro ex se legalmente non ancora idoneo ad essere immesso nello specifico mercato “per investimento”. La punzonatura dell’oro da investimento – oltre ai requisiti richiamati anche dalla norma fiscale (forma, peso e titolo) – deve necessariamente e soprattutto contenere, come “condicio sine qua non”, il marchio di identificazione, ancor prima che sia posto in commercio. L’obbligo di marchiatura dei metalli preziosi – e d’iscrizione nel registro degli assegnatari del marchio di identificazione dei produttori – è disciplinato dal D.L. 251/1999 e dal relativo regolamento d’attuazione, D.P.R. 30/5/2002, n. 150 (…). La riconosciuta qualità di “oro da investimento” (in forma di lingotti o placchette di peso accettat(i) dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi) assume rilevanza fiscale ai fini dell’esenzione IVA ai sensi dell’art. 10, c. 1, n. 11, D.P.R. 633/1972. Non si può, quindi, non convenire con l’appellante quando afferma(:)”In sostanza l’operazione di punzonatura, cioè l’incisione del marchio identificativo del produttore, costituisce l’ultima e più importante fase del ciclo produttivo, perché senza questa ulteriore operazione il lingotto in oro da investimento non può essere venduto, scambiato o posto in commercio, ovvero considerato, a tutti gli effetti, prodotto finito”.

L’appellante ha illustrato tutto il ciclo di produzione, da egli stesso governato: “L’oro per la realizzazione dei lingotti è di proprietà della contribuente che lo fornisce al terzista, il quale non provvede ad alcuna operazione di affinazione, essendo l’oro consegnato già raffinato. Circostanza pacifica e non in contestazione tra le parti (cfr. doc. 5). In breve la ricorrente essendone l’unica proprietaria possiede l’oro grezzo utilizzato come fattore di produzione nel processo produttivo e quindi possiede il prodotto finale, concretandosi l’attività svolta dal terzista quale mero servizio svolto sul materiale di fabbricazione – ripetesi – di proprietà della ricorrente e per il qual servizio il terzista è remunerato. Inoltre le fatture del terzista riportano chiaramente (c.f.r. doc. 6), che trattasi di lavorazione per ordine e conio (e non sono certo fattura di vendita!). In altri termini la contribuente, oltre ad avere il governo del processo produttivo, in quanto commissiona a terzi la fabbricazione di un bene sulla base di sue specifiche istruzioni tecniche e propria attrezzatura, per il che assumendosi il governo del processo produttivo, svolto in base a precise e specifiche istruzioni tecniche fornite al terzista, assume conseguentemente anche i rischi connessi alla produzione, oltre ad essere l’unico soggetto che dovrà rispondere nei confronti dell’acquirente finale, sia in termini di forma, titolo dell’oro e peso del lingotto” … “l’apposizione del marchio di identificazione del fabbricante sul lingotto definisce , senza ombra di dubbio, il produttore, il quale è il solo e l’unico responsabile nei confronti dell’acquirente, sia del titolo (…), che del peso dell’oggetto, escludendosi, pertanto, ogni e qualsiasi responsabilità, anche in via del tutto residuale, in capo al terzista, in quanto non produttore dell’oggetto. La contribuente, con appositi macchinari, appone in modo indelebile essa stessa sui lingotti d’oro che riceve dal terzista, il titolo del metallo 999/1000 e il proprio marchio di identificazione 1384 ML. I lingotti (vedasi immagine sotto) riportano il logo EN, il nome EURONUMMUS, marchio depositato (doc. 12) e il marchio di fabbrica della ricorrente 1348 MI (doc. 4), il che identifica l’oggetto in modo assoluto, sia per la provenienza, che per quanto riguarda la produzione. Il terzista addebita alla contribuente il solo costo di manifattura (cfr. doc. 6). La ricorrente, preliminarmente alla marchiatura, provvede direttamente, con proprio personale e presso la propria sede, alla verifica del titolo del metallo prezioso e il peso, attraverso un proprio protocollo di verifica, e con propri macchinari ponendo in essere una vera a propria fase di lavorazione. Da ultimo la contribuente, terminata la fase di controllo e punzonatura, provvede all’ulteriore lavorazione consistente nella sigillatura del lingotto in apposita confezione anticontraffazione Certigold”. L’oro da trasformare viene acquisto sul mercato – o da privati – in condizioni diversificate per purezza, forma, peso, punzonatura, etc., ed è ricondizionato al fine di acquisire la condizione legale di “oro da investimento”. Partendo da materia prima o semilavorato – già di proprietà del produttore/trasformatore – che non possiede tutte le condizioni legali di consistenza, questa attività industriale, così come tutte le attività industriali, può esaurirsi in conto proprio del produttore/trasformatore (ipotesi c.d. verticale), oppure può essere demandata a terzi (ipotesi c.d. orizzontale), per fasi di lavorazione predeterminate del ciclo produttivo generale; governate dal medesimo produttore/trasformatore ed eseguite in base a precise e specifiche istruzioni tecniche fornite al terzista; non può, pertanto, revocarsi in dubbio che il rischio d’impresa verso il consumatore resta per intero del produttore/trasformatore che risulta dal marchio punzonato (pubblica fede).

4. Propone ricorso per cassazione l’Agenzia con due motivi; resiste la contribuente con controricorso, spiegando altresì ricorso incidentale condizionato. La contribuente ulteriormente insiste nelle proprie ragioni con ampia memoria telematica addì 30 aprile 2024.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente deve respingersi la richiesta della contribuente, in memoria, di disporre il rinvio dell’udienza ai fini della trattazione della causa in pubblica udienza sul presupposto dell’assenza di precedenti specifici che regolano il caso. Infatti, una tale assenza non legittima per ciò solo il richiesto rinvio, giacché ben può il Collegio, assiso in udienza camerale, decidere una controversa in assenza di precedenti, enunciando anzi (come peraltro normalmente avviene) principi di diritto. In altri termini, l’assenza di precedenti non è in sé ostativa alla trattazione secondo le forme del rito camerale, allorquando il quadro normativo, al cospetto delle risultanze processuali, risulti sufficientemente chiaro e non abbisogni di particolari approfondimenti derivanti, non solo dalle prospettazioni delle parti, ma altresì dalla partecipazione necessaria del Pubblico Ministero.

Tale, alla luce di quel che si dirà nel prosieguo, è la situazione nel caso che ne occupa.

Può dunque procedersi alla disamina dei motivi del ricorso principale, che, per sostanziale sovrapponibilità delle censure, possono essere enunciati, illustrati e decisi unitariamente.

2. Primo motivo: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19, c. 3 lett. d) e co. 5 D.P.R. 633/1972, nonché dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”.

2.1. La contribuente non effettua materialmente la produzione. “Dall’interpretazione sistematica dell'(art. 19 D.P.R. n. 633 del 1972) deriva che l’individuazione del corretto trattamento ai fini IVA è legata all’attività concretamente svolta, cioè alla produzione o trasformazione in oro da investimento fatta in conto proprio (comma 3 lett. d), oppure demandata a terzi (comma 5 – bis). Nel primo caso, la detraibilità spetta in misura piena su tutti gli acquisti; nel secondo caso, invece, la detraibilità piena è limitata all’IVA relativa a beni e servizi connessi all’acquisto dell’oro e alla sua successiva lavorazione in oro da investimento”. “Applicando i predetti principi al caso di specie, atteso che Euronummus non si occupa direttamente della produzione o trasformazione dell’oro in oro da investimento, ma si avvale delle prestazioni di una società terza, che provvede a modificare le caratteristiche dell’oro (forma, purezza e peso) per trasformarlo in oro da investimento, si rientra nell’ambito di operatività dell’art. 19 comma 5 – bis, non in quello del comma 3. Sul punto, si ribadisce che la stessa Euronummus nell’atto di appello (v. pag. 15) ammetteva esplicitamente che il terzista interviene sulla forma e sul peso dei lingotti, vale a dire proprio sulle caratteristiche che permettono di trasformare l’oro in oro da investimento”.

3. Secondo motivo: “Nullità della sentenza per violazione degli artt. 61 e 36, comma 1, numero 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, numero 4), c.p.c.”.

3.1. “Ad ogni modo, la pronuncia della CTR è sorretta da una motivazione apparente, con conseguente sua nullità”. “Nel caso di specie, non vi è alcun esame delle articolate argomentazioni dell’Ufficio: la CTR è così incorsa in un’ipotesi tipica del vizio denunciato (…). Il vizio nel quale incorre la CTR si manifesta con particolare evidenza, raffrontando la motivazione della sentenza rispetto alle ben dieci pagine delle controdeduzioni dell’Ufficio all’appello di controparte (…). La CTR – ignorando le argomentazioni dell’Ufficio (…) – ha motivato la propria pronuncia con un rinvio sostanzialmente apodittico alla tesi di controparte e addirittura agli stessi atti difensivi dell’appellante, senza esporre i motivi per i quali ha ritenuto di aderirvi pedissequamente”.

4. Il secondo motivo, che assume priorità logica, è manifestamente infondato.

4.1. È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente.

Né ad inficiare tale conclusione sovviene la testuale citazione, da parte della CTR, di due stralci delle difese della contribuente. La CTR, infatti, dimostra di averli fatti propri attraverso una valutazione autonoma, in specie laddove scrive che “questa attività industriale”, ossia l’attività industriale della contribuente, “può esaurirsi in conto proprio del produttore/trasformatore (ipotesi c.d. verticale), oppure può essere demandata a terzi (ipotesi c.d. orizzontale), per fasi di lavorazione predeterminate del ciclo produttivo generale; governate dal medesimo produttore/trasformatore ed eseguite in base a precise e specifiche istruzioni tecniche fornite al terzista; non può, pertanto, revocarsi in dubbio che il rischio d’impresa verso il consumatore resta per intero del produttore/trasformatore che risulta dal marchio punzonato (pubblica fede)”. In buona sostanza, ad avviso della CTR, a venire in linea di conto non è la materiale attività di produzione, che può essere esternalizzata, ma la conformazione del concetto di produttore al rischio d’impresa, nel senso che tale è colui che si assume il rischio (e prima il governo, anzitutto tecnico) della produzione.

D’altronde, siffatto significato veicolato dalla motivazione della sentenza impugnata è sì chiaro da essere ben inteso dall’Agenzia, la quale, proprio sul presupposto di esso, articola “funditus” il primo motivo di ricorso.

Talché, in definitiva, quel che il secondo motivo in disamina mira a censurare non è un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma piuttosto le argomentazioni che la CTR ha profuso per addivenire alla decisione. Nondimeno, la deduzione di un tale vizio non è più consentita, quand’anche si avesse a riqualificare la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. Vale, invero, l’insuperato insegnamento secondo cui “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 62983001).

5. Un tanto consente di procedere alla disamina del primo motivo.

6. Esso è infondato e merita di essere disatteso.

6.1. In buona sostanza, secondo la prospettazione dell’Agenzia, a rilevare ai fini della detraibilità totale dell’IVA, prevista dall’art. 19, comma 3, D.P.R. n. 600 del 1973, è esclusivamente l’attività materiale di produzione di oro da investimento ovvero di trasformazione di oro in oro da investimento, con la conseguenza che dovrebbe escludersi la ricorrenza del presupposto in un caso, come quello in disamina, di esternalizzazione di (una parte) di detta attività, giacché, in tal caso, troverebbe applicazione la diversa previsione del comma 5 – bis, espressamente contemplante, a suo avviso, l’ipotesi di esternalizzazione.

6.2. Viene in linea di conto l’analisi dell’art. 19 D.P.R. n. 633 del 1972 alla luce della disciplina unionale di riferimento.

6.3. Si renderà necessaria una brevissima ricostruzione diacronica inversa.

6.4. Riguardo, in particolare, all’oro da investimento, la disciplina unionale è attualmente contenuta negli artt. 344 ss. della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa, come noto, al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA).

6.4.1. L’art. 344 detta (per vero preannuncia), come da rubrica, un “regime speciale applicabile all’oro da investimento”, stabilendo quanto segue:

1. Ai fini della presente direttiva, e fatte salve altre disposizioni comunitarie, sono considerati “oro da investimento”:

1) l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli;

2) le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel paese di origine e che sono normalmente vendute a un prezzo che non supera di più dell’80% il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto.

2. Gli Stati membri possono escludere dal presente regime speciale lingotti o placchette di peso pari o inferiore ad 1 grammo.

3. Ai fini della presente direttiva, non si considerano vendute per il loro valore numismatico le monete di cui al paragrafo 1, punto 2).

A termini dell’art. 346 (“Esenzione dall’imposta”),

(g)li Stati membri esentano dall’IVA la cessione, l’acquisto intracomunitario e l’importazione di oro da investimento, compreso l’oro da investimento rappresentato da certificati in oro, allocato o inallocato, oppure scambiato su conti metallo e inclusi, in particolare, i prestiti e gli “swap” sull’oro che comportano un diritto di proprietà o un credito in riferimento ad oro da investimento (…).

Peraltro, a termini dell’art. 348 (“Oro da investimento”),

(g)li Stati membri concedono ai soggetti passivi che producono oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento il diritto di optare per l’imposizione delle cessioni di oro da investimento a un altro soggetto passivo, che sarebbero altrimenti esenti a norma dell’articolo 346.

6.4.2. Onde comprendere le ragioni del “regime speciale applicabile all’oro da investimento” occorre risalire indietro nel tempo.

6.4.3. Con la direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977 (cd. sesta direttiva), mirante a stabilire una base imponibile uniforme in materia di IVA, all’art. 28, par. 3, lett. b), si consentiva per un periodo transitorio agli Stati membri di continuare ad esentare talune operazioni elencate nell’allegato F e tra queste, sotto il numero 26, erano elencate, appunto, le operazioni relative all’oro diverso dall’uso industriale: dunque, per esclusione, le operazioni relative all’oro da investimento.

6.4.4. Con la direttiva 98/80/CE del Consiglio del 12 ottobre 1998, recante completamento del sistema di imposta sul valore aggiunto e modifiche alla direttiva precedente, si dettava un “regime particolare applicabile all’oro”.

6.4.4.1. Rilevano anche le premesse, di cui al secondo, terzo e quinto “considerando”.

Il secondo “considerando” spiega le ragioni del “regime speciale”, costituito dall’eliminazione di un ostacolo, derivante dal normale assoggettamento all’IVA, in riferimento alle operazioni riguardanti l’uso dell’oro a fini di investimento:

considerando che l’oro non è solo utilizzato ai fini della produzione ma è anche acquistato a fini di investimento; che l’applicazione della regolamentazione normale in materia di imposte costituisce un ostacolo importante al suo uso a fini di investimento finanziario e giustifica, pertanto, l’applicazione di un regime fiscale particolare per l’oro da investimento; che tale regime dovrebbe altresì migliorare la competitività internazionale del mercato comunitario dell’oro.

Il terzo “considerando” individua lo strumento” tecno – giuridico più appropriato, consistente nell’esenzione:

considerando che la fornitura di oro da investimento è di natura analoga a quella di altre forme di investimento, spesso non imponibili in base alle attuali disposizioni della sesta direttiva, e che quindi l’esenzione da imposta sembra essere la forma di trattamento fiscale più appropriata per le forniture di oro da investimento.

Il quinto “considerando” esprime la necessità di un allargamento dell’esenzione a tutte le operazioni, comprese quelle “a monte”:

considerando che un’esenzione fiscale non consente, in linea di massima, la detrazione dell’IVA a credito, mentre l’imposta sul valore dell ‘oro può essere applicata a operazioni precedenti, la detrazione di tale IVA a credito dovrebbe essere consentita per garantire i vantaggi del regime particolare e evitare distorsioni della concorrenza rispetto all’oro da investimento importato.

6.4.4.3. Operativamente, la direttiva 98/80/CE interveniva sulla direttiva 77/388/CEE, introducendovi, a mezzo dell’art. 1, l’art. 26 – ter.

Rilevano:

– la lettera B), che prevedeva come segue le “condizioni particolari applicabili alle operazioni relative all’oro da investimento”:

Gli Stati membri esentano dall’imposta sul valore aggiunto la fornitura, l’acquisto intracomunitario e l’importazione di oro da investimento, compreso l’oro da investimento rappresentato da certificati in oro, allocato o inallocato (…). Gli Stati membri esentano altresì i servizi prestati da agenti che agiscono in nome e per conto di terzi quando intervengono nella fornitura di oro da investimento per il loro committente;

– la lettera D), che prevedeva come segue il “diritto a deduzione”:

1.1 soggetti passivi sono autorizzati a dedurre:

a) l’imposta dovuta o pagata sull’oro da investimento fornito loro da una persona che si sia avvalsa del diritto di opzione di cui alla sezione C, o fornito loro secondo la procedura di cui alla sezione G;

b) l’imposta dovuta o pagata sulla fornitura a loro favore o sull’acquisto intracomunitario o l’importazione da parte loro di oro diverso dall’oro da investimento successivamente trasformato, a loro cura o per loro conto, in oro da investimento;

c) l’imposta dovuta o pagata su servizi forniti loro e consistenti in modifiche della forma, del peso o della purezza dell’oro, incluso l’oro da investimento, se la conseguente fornitura da parte loro di tale oro è esente a norma del presente articolo.

2. I soggetti passivi che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento sono autorizzati a dedurre l’imposta da essi dovuta o pagata sulle forniture, l’acquisto intracomunitario, l’importazione di beni o i servizi collegati alla produzione o alla trasformazione di detto oro come se la conseguente fornitura da parte loro di oro esente a norma del presente articolo fosse soggetta a imposta.

6.5. La trasposizione nel diritto interno delle superiori previsioni della direttiva 98/80/CE veniva realizzata mediante la legge 17 gennaio 2000, n. 7, cui si devono due interventi sull’art. 19 D.P.R. n. 633 del 1972, dei quali si dirà dopo aver ricordato che, giusta l’art. 10, comma 1, numero 11, D.P.R. n. 633 del 1972, sono “esenti dall’imposta”

le cessioni di oro da investimento (…), ad esclusione di quelle poste in essere dai soggetti che producono oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento ovvero commerciano oro da investimento, i quali abbiano optato, con le modalità ed i termini previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442, anche in relazione a ciascuna cessione, per l’applicazione dell’imposta; le operazioni previste dall’articolo 81, comma 1, lettere c – quater) e c – quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, riferite all’oro da investimento; le intermediazioni relative alle precedenti operazioni. Se il cedente ha optato per l’applicazione dell’imposta, analoga opzione può’ essere esercitata per le relative prestazioni di intermediazione. Per oro da investimento si intende: a) l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; b) le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee (…).

6.6. Può ora procedersi all’analisi dell’art. 19 D.P.R. n. 633 del 1972.

Rilevano:

– la lettera d) del comma 3, siccome sostituita dall’art. 3, comma 5, lettera a), l. n. 7 del 2000, secondo cui

(l)a indetraibilità di cui al comma 2 (in forza del quale “non è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta”) non si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da:

(…)

d) cessioni di cui all’art. 10, n. 11), effettuate da soggetti che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento.

– il comma 5 – bis, siccome aggiunto dall’art. 3, comma 5, lettera b), l. n. 7 del 2000, secondo cui

(p)er i soggetti diversi da quelli di cui alla lettera d) del comma 3 la limitazione della detrazione di cui ai precedenti commi non opera con riferimento all’imposta addebitata, dovuta o assolta per gli acquisti, anche intracomunitari, di oro da investimento, per gli acquisti, anche intracomunitari, e per le importazioni di oro diverso da quello da investimento destinato ad essere trasformato in oro da investimento a cura degli stessi soggetti o per loro conto, nonché per i servizi consistenti in modifiche della forma, del peso o della purezza dell’oro, compreso l’oro da investimento.

6.7. Mettendo a confronto la tuttora vigente disciplina interna con l’art. 26 – ter, lett. D), della direttiva 77/388/CEE, che, sebbene non più vigente, per il fatto di costituire l’antecedente storico e logico dell’attuale disciplina unionale (artt. 344 ss. della direttiva 2006/112/CE), seguita a spiegare efficacia orientativa per l’interprete, emerge come la distinzione interna tra “soggetti che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento” (art. 19, comma 3, lettera d), D.P.R. n. 633 del 1972) e “soggetti diversi” (art. 19, comma 5 – bis, D.P.R. n. 633 del 1972) non trovi “ex se” un’omologa unionale.

6.7.1. Invero, l’art. 26 – ter, lettera D), della direttiva 77/388/CEE, contemplava un’unica categoria di soggetti, i “soggetti passivi”.

Segnatamente,

– al paragrafo 1, prevedeva, in generale, in loro favore, una trasversale autorizzazione alla deduzione dell’imposta sia sulle forniture di oro da investimento (sub-lettera a)) sia sulle forniture “di oro diverso dall’oro da investimento successivamente trasformato, (notasi) a loro cura o per loro conto, in oro da investimento” (sub-lettera b)), sia sui “servizi”, “forniti loro”, riguardanti la lavorazione dell’oro, anche, ma non solo, da investimento, servizi “breviter” definibili come strettamente connessi siccome “consistenti (notasi) in modifiche della forma, del peso o della purezza dell’oro, incluso l’oro da investimento”, purché esente fosse la successiva cessione (sub – lettera c));

– al paragrafo 2, aggiungeva, in particolare, in favore di quelli tra essi “che producono oro da investimento o trasformano oro in oro”, un’autorizzazione più ampia alla deduzione dell’imposta con riguardo ad operazioni della cui deduzione altrimenti non avrebbero potuto beneficiare (come palesato dalla “fictio” finale: “come se la conseguente fornitura da parte loro di oro esente a norma del presente articolo fosse soggetta a imposta”): l’autorizzazione era più ampia, siccome riguardante forniture, acquisti intracomunitari, importazioni sia di beni (ovviamente anche diversi dall’oro) che di servizi “(meramente) collegati alla produzione o alla trasformazione di (…) oro (da investimento)”.

6.8. In buona sostanza, la finalità perseguita dall’art. 26 – ter, lett. D), della direttiva 77/388/CEE era quella, sia consentito di così dire, di una sterilizzazione totale degli effetti dell’IVA sull’oro da investimento: con riguardo, dunque, non solo alla catena delle sue cessioni ed alle lavorazioni inframmezzate ad esse entro i limiti dei servizi strettamente connessi, ma altresì alla sua originaria produzione o trasformazione, comprese le cessioni “a monte” di beni e servizi “(meramente) collegati” a produttori e trasformatori sulla base della già evidenziata “fictio”.

6.8.1. Ora, nell’art. 26 – ter, in esame, l’effetto di sterilizzazione totale in riferimento anche a produzione e trasformazione dell’oro da investimento (essendo produttori e trasformatori “soggetti passivi” di cui al paragrafo 1) contemplava “expressis verbis” l’esenzione delle cessioni “a monte” di oro diverso “successivamente trasformato, (a cura o per conto di qualsivoglia soggetto passivo), in oro da investimento” (paragrafo 1, sub – lettera b)); una tale specificazione non era testualmente enunciata rispetto ai servizi “collegati alla produzione o alla trasformazione” commissionati, segnatamente, da “soggetti passivi che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento” (paragrafo 2); ma siffatta differenza linguistica non marcava una differenza contenutistica, essendo anzi esplicitato che produttori e trasformatori potevano dedurre l’imposta per i beni o servizi anche solo “(meramente) collegati alla produzione o alla trasformazione” (paragrafo 2), con ciò dando (nuovamente) per scontata la possibilità di esternalizzazione, quantomeno parziale, del ciclo produttivo.

6.8.2. D’altronde, l’obiettivo avuto di mira dall’art. 26 – ter, in esame, trovavasi proclamato nel quinto “considerando” della direttiva 98/80/CE, che, come visto, muovendo dalla constatazione per cui “un’esenzione fiscale non consente, in linea di massima, la detrazione dell’IVA a credito, mentre l’imposta sul valore dell’oro può essere applicata a operazioni precedenti”, perveniva alla conclusione per cui “la detrazione di tale IVA a credito dovrebbe essere consentita” – senza distinzioni soggettive di sorta – “per garantire i vantaggi del regime particolare e evitare distorsioni della concorrenza rispetto all’oro da investimento importato”.

6.9. Quanto precede consente di guadagnare una corretta prospettiva ermeneutica dell’art. 19 D.P.R. n. 633 del 1972.

6.9.1. Solo nel comma 5 – bis, in riferimento ai “soggetti diversi” da quelli “che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento”, si specifica che la “limitazione della detrazione non opera” per acquisti ed importazioni “di oro diverso da quello da investimento destinato ad essere trasformato in oro da investimento a cura degli stessi soggetti o per loro conto, nonché per i servizi consistenti in modifiche della forma, del peso o della purezza dell’oro, compreso l’oro da investimento”.

6.9.1.1. Deve tuttavia rilevarsi che, in realtà, siffatte previsioni riprendono il paragrafo 1, sub – lettere b) e c), e non il paragrafo 2, della lettera D) dell’art. 26 – ter della direttiva 77/388/CEE: paragrafo 1, come visto, riferito ai “soggetti passivi” “tout court”, laddove era invece il paragrafo 2 ad occuparsi dei produttori e trasformatori.

6.9.2. Nel comma 3, lettera d), l’inapplicabilità dell’indetraibilità è predicata per le cessioni “effettuate da soggetti che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento”, senza che figuri la specificazione, di cui al comma 5 – bis, che produzione o trasformazione possono essere effettuate “a cura degli stessi soggetti o per loro conto”.

6.9.2.1. Deve tuttavia rilevarsi che, in realtà, nello schema della lett. D) dell’art. 26 – ter della direttiva, i produttori e trasformatori erano una categoria, non distinta, ma ricompresa nei “soggetti passivi”: autonomamente considerata solo perché beneficiata di un’autorizzazione alla deduzione più ampia, sulla base della nota “fictio”.

6.10. Ne consegue che, incanalando l’ermeneusi dell’art. 19, comma 3, lettera d), e comma 5 – bis, D.P.R. n. 633 del 1972 nella corretta prospettiva dell’art. 26 – ter, lettera D), della direttiva 77/388/CEE, cui i suddetti comma 3, lettera d), e comma 5 – bis erano, effettivamente, intesi a dare attuazione, il comma 3, laddove sancisce la detraibilità per le “cessioni di cui all’art. 10, n. 11), effettuate da soggetti che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento”, deve ritenersi riferito a tali soggetti, sia nel caso in cui le lavorazioni siano effettuate a loro cura sia nel caso in cui lo siano da altri per loro conto.

6.11. Ciò, peraltro, nel secondo caso, a condizione che, sulla base della specifica disciplina, di cui al decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251 (“Disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi, in attuazione dell’articolo 42 della legge 24 aprile 1998, n. 128”), essi mantengano il “marchio di identificazione”, che obbliga ogni “fabbricante” – rientrandovi dunque appieno sia i produttori che i trasformatori – ad attenersi ai titoli legali, facendosene garanti originari.

6.11.1. Più nel dettaglio, la premessa è che,

– ai sensi dell’art. 2, comma 1,

(i) metalli preziosi e le loro leghe devono portare impresso il titolo in millesimi delfino contenuto ed il marchio di identificazione;

– ai sensi dell’art. 4,

(g)li oggetti in metallo prezioso fabbricati e posti in commercio nel territorio della Repubblica debbono essere a titolo legale e portare impresso il titolo stesso ed il marchio di identificazione;

– ai sensi dell’art. 24, comma 1,

(è) fatto divieto ai produttori, importatori e commercianti di vendere oggetti in metalli preziosi sprovvisti di marchio di identificazione e di titolo legale.

Come anticipato,

– ai sensi dell’art. 7, comma 1,

(p)er ottenere il marchio di identificazione, i fabbricanti, gli importatori ed i venditori di metalli preziosi ne fanno richiesta nella domanda prevista dall’articolo 14, comma 2 (…);

– ai sensi dell’art. 8, comma 2,

(n)ell’impronta del marchio sono contenuti il numero atto ad identificare il produttore od importatore e la sigla della provincia dove questi risiede;

– ai sensi dell’art. 14, comma 1,

(p)resso ogni camera di commercio è tenuto il registro degli assegnatari dei marchi di identificazione.

6.11.2. In siffatto contesto, quel che conta, ai fini del presente giudizio, è che,

– ai sensi dell’art. 17,

(i) titolari di marchi di identificazione, previa autorizzazione scritta e sotto la propria responsabilità, possono far apporre il proprio marchio di identificazione ad altri soggetti titolari di marchi di identificazione, che partecipano al processo produttivo.

6.11.2.1. Talché, nello stesso ambito del marchio di identificazione, è esplicitamente contemplata, non solo la “partecipazione” di terzi al “processo produttivo”, ma persino la possibilità che costoro, purché a loro volta titolari di marchio di identificazione, appongano il marchio del committente.

6.12. In definitiva, deve enunciarsi il seguente principio di diritto:

In materia di disciplina dell’IVA riguardo all’oro da investimento, la previsione dell’art. 19, comma 3, lettera d), D.P.R. n. 633 del 1972, siccome sostituita dall’art. 3, comma 5, lettera a), della legge 17 gennaio 2000, n. 7, secondo cui l’indetraibilità dell’imposta per operazioni esenti non si applica per le cessioni di oro da investimento effettuate dai soggetti che lo producono ovvero che trasformano oro diverso in tale tipologia di oro, deve, tenuto conto dell’antecedente dell’attuale disciplina unionale (artt. 346 ss. della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006), costituito dall’art. 26 – ter, lettera D), della direttiva del Consiglio 77/388/CEE, cui la predetta l. n. 7 del 2000 ha dato attuazione nel diritto interno, intendersi riferito a tali soggetti, sia nel caso in cui le lavorazioni siano effettuate a loro cura sia nel caso in cui lo siano da altri per loro conto, purché, in questo secondo caso, conservino il cd. “marchio di identificazione” di cui all’art. 7 decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251.

7. Nella specie, alla stregua dell’accertamento in fatto compiuto dalla CTR, senza contestazioni da parte dell’Agenzia ricorrente, la contribuente affida la lavorazione dell’oro, sia di quello da investimento che di quello diverso, ad un terzista, completando poi essa medesima il ciclo produttivo, mediante

– i controlli su forma, peso e purezza;

– la punzonatura;

– il confezionamento in modalità anticontraffazione.

Tenuta presente l’assorbente centralità dei requisiti di peso e purezza, più volte sottolineata da questa Suprema Corte, ai fini della stessa commerciabilità dell’oro da investimento (cfr. da ult. Sez. 5, n. 13742 del 18/05/2023, Rv. 668275 – 01), è dunque indubbio che sia direttamente la contribuente, proprio a seguito degli esperiti controlli, ad apporre il marchio di identificazione, per l’effetto identificandosi quale “fabbricante”, “sub specie”, secondo i casi, di produttore e di trasformatore.

8. Alla luce di ciò, il primo motivo ricorso, come anticipavasi, si dimostra infondato.

9. Conclusivamente, il ricorso è da integralmente respingersi.

9.1. Un tanto comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato (relativamente  alle sanzioni) spiegato dalla contribuente.

9.1. La novità delle questioni esaminate giustifica, ad avviso del Collegio, la compensazione delle spese del grado.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, assorbito per l’effetto l’incidentale.

Compensa le spese.

Conclusione

Così deciso in Roma il 17 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2024.