CASSAZIONE PENALE, sez. III, 09 giugno 2023, n. 32734
In materia alimentare, la conservazione di bottiglie di acqua minerale all’aperto ed esposte al sole configura la contravvenzione prevista dall’art. 5, lett. b), l. 30 aprile 1962 n. 283, che vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, atteso che l’esposizione, anche parziale di prodotti destinati al consumo umano alle condizioni atmosferiche esterne, tra cui l’impatto con i raggi solari, può costituire potenziale pericolo per la salute dei consumatori, in quanto sono possibili fenomeni chimici di alterazione dei contenitori e di conseguenza del loro contenuto.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente –
Dott. SOCCI Angelo M. – Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. GAI Emanuela – Consigliere –
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Y.Y., nata in (Omissis);
avverso le sentenza del 16/11/2022 del tribunale di torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso
chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Torino ha condannato l’imputata, alla pena di Euro 1.500,00 di ammenda, perché ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 5 lett. b) Legge 30 Aprile 1962 n. 283, per avere detenuto per la vendita o per la distribuzione, finalizzata al consumo, sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, nella specie 1536 bottiglie in plastica da mezzo litro di acqua minerale esposte alle intemperie e alla luce solare diretta.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione il difensore della Y., chiedendone l’annullamento.
Con un primo motivo si deduce l’errata applicazione della legge penale, e in particolare dell’art. 5 lett. b) Legge 30 Aprile 1962 n. 283, con riferimento alla sussistenza della detenzione delle bottiglie d’acqua, in cattivo stato di conservazione, destinate alla vendita, essendo state rinvenute fuori dal locale e per avere dedotto la destinazione alla vendita dal solo documento di trasporto.
Con un secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità colposa al di là del ragionevole dubbio, risultando elementi diversi, emersi dall’istruttoria dibattimentale, rispetto a quelli valutati dal giudice.
Con il terzo motivo, il difensore deduce il vizio della carenza, contraddittorietà, o comunque illogicità della motivazione, in relazione all’eccessiva entità della pena inflitta, per come commisurata dal giudice di merito, nonostante la concessione delle circostanze attenuanti generiche “con valenza limitata”.
3. Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il primo e secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili perché volti alla prospettazione di un’alternativa ricostruzione del fatto in punto detenzione per la vendita di n. 1536 bottiglie di acqua minerale, in cattivo stato di conservazione, perché esposte alle intemperie e alla luce solare diretta che ne aveva deteriorato l’imballo.
Va dapprima rilevato che non viene contestato lo stato di cattiva conservazione delle bottiglie d’acqua esposte alle intemperie e alla luce solare diretta che ne aveva deteriorato l’imballo secondo l’insegnamento di Questa Corte secondo cui, in materia alimentare, la conservazione di bottiglie di acqua minerale all’aperto ed esposte al sole configura la contravvenzione prevista dall’art. 5, lett. b), della L. 30 aprile 1962 n. 283, che vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, atteso che l’esposizione, anche parziale di prodotti destinati al consumo umano alle condizioni atmosferiche esterne, tra cui l’impatto con i raggi solari, può costituire potenziale pericolo per la salute dei consumatori, in quanto sono possibili fenomeni chimici di alterazione dei contenitori e di conseguenza del loro contenuto (Sez. 3, n. 39037 del 10/05/2018, Rv. 273919 – 01; Sez. 3, n. 28355 del 04/07/2006, Rv. 234948 – 01).
La sentenza impugnata ha dapprima ritenuto che, sulla scorta dell’accertamento dei Nas dei c.c. di Moncalieri che aveva rilevato che, all’esterno dell’esercizio commerciale gestito dalla ricorrente, erano stoccati n. 9 bancali di confezioni di acqua minerale esposte alla luce e al calore del sole, che venivano sottoposti a sequestro, ha ritenuto dimostrata la detenzione di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione e argomentato la detenzione per la vendita sulla scorta dei documenti di trasporto prodotti, comparando il contenuto di questi (n. 3024 bottiglie) e quanto sequestrato (n. 304 bottiglie) da cui la ritenuta dimostrazione che la maggior parte della merce fosse stata venduta, da cui la dimostrazione della detenzione per la vendita anche di quelle ancora giacenti in loco.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto che le confezioni di acqua minerale rinvenute all’esterno dell’esercizio commerciale, in cattivo stato di conservazione in quanto esposte agli agenti atmosferici, fossero destinate alla distribuzione. Si tratta di motivazione immune da censure, sicché esclusa ogni rivalutazione in chiave alternativa non consentita in questa sede, il ricorso è inammissibile.
5. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Lamenta la ricorrente in via del tutto generica l’eccessività della pena e la riduzione non nel massimo della pena a seguito di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il Giudice ha stimato equa la pena di Euro 2.000,00 di ammenda, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a Euro 1.500,00 di ammenda, tenuto conto della quantità di prodotti detenuti in cattivo stato di conservazione.
Si osserva che il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale di commisurazione della pena, ha ritenuto di applicare la pena pecuniaria, prevista in alternativa alla pena dell’arresto, e in misura assai prossima ai minimi edittali sicché il riferimento alla pena equa soddisfa i requisiti di motivazione anche con riguardo all’entità di riduzione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dovendosi ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, Waychey e altri, Rv. 258410).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2023