CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 20 luglio 2023, n. 21738
In tema di contraffazione di marchio di rinomanza, l’onere probatorio incombente su parte attrice non si estende alla dimostrazione delle modalità di utilizzo del marchio denominativo di cui sia stata lamentata la contraffazione ma unicamente alla sua rinomanza al momento del deposito della domanda di registrazione dell’altro (successivo) marchio e del suo primo utilizzo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15222/2021 proposto da:
(Omissis) Spa rappresentata e difesa dall’avvocato Pier Luigi Roncaglia, presso cui è domiciliata, dall’avvocato Francesco Rossi e dall’avvocato Elisabetta Gavuzzi;
ricorrente contro
(Omissis) Srl , (Omissis) soc. coop. a r.l. e (Omissis) Srl , rappresentate e difese dall’avvocato Francesco Gennari; controricorrenti e ricorrenti incidentali;
avverso la sentenza n. 3025/2020 depositata il 24 novembre 2020 della Corte di appello di Bologna.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 maggio 2023 dal consigliere relatore Massimo Falabella.
1. – Il Tribunale di Bologna ha respinto le domande proposte da (Omissis) Spa titolare di alcuni marchi nazionali e di un marchio comunitario per prodotti delle classi 25 (abbigliamento) e 18 (cuoio e sue imitazioni) composti dalle parole “(Omissis)” e “(Omissis)”. Tali domande erano dirette: all’accertamento della nullità di due marchi nazionali registrati dalla convenuta (Omissis) recanti la parola “(Omissis)” per prodotti della classe 18 e, in particolare, per borse di cuoio e da viaggio in pelle; all’accertamento che l’adozione e l’uso, da parte della detta società, del segno “(Omissis)”, quale marchio e ditta o denominazione sociale, costituivano non solo contraffazione dei marchi della ricorrente, ma anche atti di concorrenza sleale ex art. 2598, nn. 1 e 2, c.c.; alla pronuncia di inibitoria quanto all’ulteriore compimento di atti che integrassero gli illeciti lamentati; alla statuizione consistente nell’ordine, alla società (Omissis) Srl , di modificare la propria denominazione sociale; alla pronuncia avente ad oggetto la rimozione del nome a dominio (Omissis) di cui era titolare altra convenuta, (Omissis) soc. coop. a r.l.; alla condanna al risarcimento dei danni conseguenti alle condotte illecite denunciate.
La vicenda controversa ruotava intorno alla commercializzazione di alcune borse contraddistinte col marchio “(Omissis)”, pubblicizzate anche attraverso il sito (Omissis): marchio che risultava essere stato oggetto di due distinte registrazioni; la società (Omissis), titolare dei marchi anteriori “(Omissis)”, aveva lamentato che le registrazioni in questione fossero nulle e che lo sfruttamento dei marchi “(Omissis)” integrasse contraffazione dei propri marchi e illecito concorrenziale ex art. 2598 c.c.; si era pure doluta della registrazione del nome a dominio (Omissis) e dell’adozione della ragione sociale (Omissis) da parte della convenuta così denominata.
La sentenza del Tribunale emiliano è stata appellata da (Omissis). Hanno resistito al gravame (Omissis), (Omissis) e (Omissis), camera di consiglio 23.5.2023 riproponendo l’eccezione, già sollevata in primo grado, di convalidazione dei segni “(Omissis)”.
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 24 novembre 2020, ha respinto il gravame.
Ricorre per cassazione, con sei motivi, (Omissis). Resistono con controricorso le società vittoriose in appello, le quali hanno svolto una impugnazione incidentale su di un unico motivo e hanno depositato memoria.
1. – Col primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 12, lett. e), 20, lett. c), e 25 c.p.i. (D.Lgs. n. 30 del 2005), 9.2, lett. c), reg. UE n. 2017/1001, già art. 9.1, lett. c), reg. CE n. 207/09. Lamenta, in sintesi, che, secondo la Corte di appello, ai fini del riconoscimento della tutela approntata per i marchi rinomati, essa istante avrebbe dovuto dimostrare, tra l’altro, l’esistenza di un indebito vantaggio per l’usurpatore e la sussistenza di un pregiudizio in capo al titolare del marchio rinomato anteriore: mostrando così di ritenere che i presupposti dell’indebito vantaggio e del pregiudizio di cui agli artt. 12, lett. e), e 20, lett. c), c.p.i. e 9.2 del reg. UE n. 2017/1001 debbano sussistere non già alternativamente, ma cumulativamente; questo convincimento, ad avviso della stessa ricorrente, si porrebbe in aperto contrasto con la lettera di queste norme, ove i riferimenti all’indebito vantaggio e al pregiudizio sono significativamente legati dalla disgiuntiva “o”, non dalla congiuntiva “e”. Si deduce che l’affermazione rifletterebbe una errata concezione della rinomanza del marchio, avendo la Corte distrettuale rilevato che “la rinomanza dipende da un complesso di elementi rilevanti e cumulativi, tra i quali la quota di mercato dei prodotti contrassegnati dal marchio, l’ambito geografico, l’intensità e la durata del suo uso, nonchè l’entità degli investimenti promo-pubblicitari sostenuti dall’impresa titolare”; è osservato, in proposito, essere privo di fondamento l’assunto per cui la detenzione di una certa quota di mercato costituirebbe presupposto al cui ricorrere è indefettibilmente subordinato il riconoscimento della tutela riservata ai marchi rinomati.
Il secondo mezzo del ricorso principale oppone – ancora – la violazione o falsa applicazione degli artt. 12, lett. e), 20, lett. c), e 25 c.p.i. (D.Lgs. n. 30 del 2005), 9.2, lett. c), reg. UE n. 2017/1001, già art. 9.1, lett. c), reg. CE n. 207/09. Si rimprovera alla Corte di appello di aver apprezzato la notorietà del marchio “(Omissis)” all’attualità, laddove, invece, per determinare la portata della tutela di un marchio deve prendersi in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui il segno, il cui uso lede l’altrui marchio, ha iniziato ad essere oggetto di utilizzazione. Si rileva, in proposito, che il primo dei marchi di controparte era stato depositato nel 1999 e che a tale anno doveva farsi dunque risalire lo sfruttamento dei segni in contestazione.
Il terzo motivo di ricorso della società (Omissis) reca la stessa titolazione dei primi due: violazione o falsa applicazione degli artt. 12, lett. e), 20, lett. c), e 25 c.p.i. (D.Lgs. n. 30 del 2005), 9.2, lett. c), reg. UE n. 2017/1001, già art. 9.1, lett. c), reg. CE n. 207/09. Si censura la sentenza impugnata per aver la Corte di appello “concentrato il suo accertamento della rinomanza del marchio ‘(Omissis)’ sullo specifico settore delle borse, senza attribuire al riguardo rilievo alla rinomanza dello stesso nel settore delle calzature: prodotti per i quali pure il marchio ‘(Omissis)’ è stato registrato e fatto valere dalla ricorrente, sia in punto di nullità sia in punto di contraffazione”. Si rileva, in proposito, che la tutela del marchio rinomato non presuppone l’accertamento della rinomanza per tutti i prodotti o servizi per i quali esso sia fatto valere: quel che conta – si deduce – è che il marchio in questione sia appunto rinomato per almeno un prodotto o servizio oggetto di registrazione.
I tre motivi, che hanno riguardo al tema della notorietà del marchio “(Omissis)”, negata dalla Corte di appello, possono essere esaminati congiuntamente.
E’ fondato il secondo mezzo, con assorbimento degli altri due.
La Corte di merito ha osservato che se non poteva negarsi la grande notorietà del marchio (Omissis) prima della scomparsa dello stilista, nel 1991, altrettanto non poteva dirsi “con riferimento all’attualità e al mercato delle borse in pelle; ha precisato che la notorietà andava accertata in concreto, “con una specifica dimostrazione della percezione del marchio da parte degli utenti e della quota di mercato effettivamente detenuta dallo stesso”; vi era prova, ad avviso del Giudice del gravame, della notorietà nel secolo scorso del marchio in questione, per lo più nel settore delle calzature destinate a un pubblico elegante e molto facoltoso, certamente diverso da quello di riferimento dell’appellata, ma gli acquisiti elementi di giudizio non confermavano che tale notorietà fosse rimasta immutata nel tempo e soprattutto in relazione al mercato delle borse (Omissis)e. Secondo la Corte distrettuale non era decisiva l’inclusione del nome (Omissis) tra i creatori del made in Italy in una mostra allestita a Milano nel 2018, posto che la stessa si riferiva ai protagonisti della moda dell’ultimo trentennio del secolo scorso.
L’odierna ricorrente ha agito in giudizio per sentir dichiarare la nullità dei marchi di (Omissis) e l’accertamento della contraffazione posta in essere, ai propri danni, attraverso di essi. Sotto il primo profilo i Giudici del merito dovevano evidentemente verificare se alla registrazione dei marchi si frapponesse l’impedimento di cui all’art. 12, lett. e): a tal fine l’indagine circa la rinomanza dei segni in questione andava condotta avendo riguardo all’epoca del deposito del primo dei marchi “(Omissis)” (anno 1999, come è pacifico), non ad epoca successiva. Simile (ma non esattamente coincidente) conclusione si impone in relazione alla sola domanda relativa all’accertamento dell’illecito contraffattivo. Come insegna la Corte di giustizia, il diritto del titolare alla tutela del suo marchio contro le lesioni di quest’ultimo non sarebbe nè effettivo nè efficace se non permettesse di prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui si è iniziato l’uso del segno che lede il suddetto marchio: quindi, per determinare la portata della tutela di un marchio regolarmente acquisito in funzione della sua capacità distintiva, il giudice deve prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui il segno, il cui uso lede il suddetto marchio, ha iniziato ad essere oggetto di utilizzazione (Corte giust. CE 27 aprile 2006, C-145/05, Levi Strauss & Co., 17 e 20, pure citata da parte ricorrente).
L’erronea individuazione del momento in cui collocare l’accertamento della rinomanza assume rilievo assorbente rispetto alle altre censure: il Giudice del rinvio dovrà procedere a un nuovo accertamento della detta qualità dei marchi della ricorrente, avendo riguardo al momento in cui venne domandata la registrazione e si intraprese l’utilizzo dei marchi “(Omissis)”. Naturalmente, ove fosse accertata la rinomanza dei marchi “(Omissis)” dovranno considerarsi inibiti la registrazione e l’uso dei marchi della controricorrente – alle condizioni di legge, date rispettivamente dagli artt. 12, lett. e) e 20, lett. c), c.p.i. -, quali che siano i prodotti da essi contrassegnati (godendo, oltretutto, il marchio rinomato di tutela extramerceologica).
2. – Il quarto motivo del ricorso principale è rubricato come i precedenti; esso denuncia, cioè, la violazione o falsa applicazione degli artt. 12, comma 1, lett. e), 20, lett. c), e 25 c.p.i. (D.Lgs. n. 30 del 2005), 9.2, lett. c), reg. UE n. 2017/1001, già art. 9.1, lett. c), reg. CE n. 207/09. Con esso si rileva, in poche parole, quanto appresso. I marchi registrati, nazionali e dell’UE, “(Omissis)” sono tutti marchi denominativi, onde – si assume – “risultano privi di qualsivoglia caratterizzazione grafica e coprono dunque la denominazione in sè, appunto, in ogni possibile declinazione figurativa”; ci si duole che la Corte di appello abbia preso in considerazione i segni distintivi concretamente usati dalla società attrice, valorizzandone le caratteristiche grafiche: tale criterio di indagine avrebbe infatti portato il Giudice distrettuale a ricontrare differenze grafiche ” semplicemente inconcepibili sul piano logico”. Assume inoltre la ricorrente principale che la Corte territoriale avrebbe mancato di verificare, in via preliminare, se i marchi “(Omissis)” fossero forti o deboli: accertamento, questo, da considerarsi preliminare e fondamentale in qualsivoglia giudizio di confondibilità, posto che il marchio forte gode di una sua sfera di tutela più ampia. (Omissis) rileva, infine, che, essendo titolare un marchio dell’Unione Europea, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare se il pericolo di confusione sussistesse anche in altri paesi dell’Unione: “dunque sulla base della percezione di consumatori che non parlano la nostra lingua e che perciò non sono in grado in grado di cogliere la distinzione tra nome maschile e nome femminile enfatizzata dalla Corte di appello”.
Il motivo è anzitutto ammissibile.
Il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U. 6 maggio 2015, n. 9100; cfr. pure: Cass. 17 marzo 2017, n. 7009; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790), Nel caso in esame il mezzo di censura soddisfa tale condizione.
Il motivo deve poi ritenersi fondato avendo riguardo al criterio adottato nel raffronto tra i marchi in conflitto.
Come accennato, la Corte di appello ha individuato differenze grafiche tra i due marchi della controricorrente, nei quali concorrono una componente denominativa e una componente figurativa, e i marchi della ricorrente. Che questi ultimi siano denominativi è implicitamente riconosciuto dalla Corte di appello che, a pag. 15, conferisce rilievo alla declinazione grafica dei segni denominativi in quanto tali.
Ciò detto, è senz’altro vero che il giudizio quanto al rischio confusorio determinato dalla somiglianza dei marchi, siccome impiegati per prodotti o servizi identici o affini, può riguardare segni che presentino una differente caratterizzazione (per essere l’uno denominativo e l’altro al contempo denominativo e figurativo: per una ipotesi siffatta cfr. ad es. Cass. 18 giugno 2018, n. 15927). E’ altrettanto vero, però, che, ove si tratti di accertare la nullità della registrazione ex art. 12, comma 1, lett. b), o l’uso illecito del segno che sia simile ad altro marchio precedentemente registrato, a norma dell’art. 20 comma 1, lett. b), occorre guardare a tale titolo di privativa, e cioè al segno oggetto di deposito e registrazione, non al modo con cui esso venga utilizzato dall’avente diritto (sull’irrilevanza delle modalità concrete di applicazione dei marchi denominativi ai prodotti, dovendo la valutazione quanto all’impedimento alla registrazione del marchio effettuarsi sulla base dei segni quali registrati o richiesti: Trib. UE 29 febbraio 2012, T-525/10, Azienda Agricola Colsaliz, 37; Trib. UE 9 giugno 2010, T-138/09, Muñoz Arraiza, 50).
In tal senso, l’accertamento della Corte di appello che ha proceduto al raffronto tra i marchi della controricorrente e alcuni segni di (Omissis) che, per essere connotati da elementi estranei alla matrice denominativa dei marchi registrati, non potevano identificarsi in questi ultimi, appare viziato.
Restano assorbite le altre censure sollevate col motivo in esame.
3. – Il quinto motivo del ricorso principale prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e cioè l’omessa pronuncia sulla domanda basata sull’art. 22 c.p.i.. Ci si duole che la Corte di appello non abbia statuito sulle domande dirette, rispettivamente, alla modifica della denominazione sociale (Omissis) Srl e alla revoca del nome a dominio (Omissis), la cui adozione e il cui uso erano state prospettate con l’atto di citazione di primo grado.
Col sesto mezzo, (Omissis) censura la sentenza impugnata per la violazione o falsa applicazione dell’art. 112c.p.c., e cioè per l’omessa pronuncia sulla domanda di concorrenza sleale di cui all’art. 2598, nn. 1 e 2 c.c.. Lamenta la ricorrente che la Corte di merito abbia ritenuto assorbita la questione relativa alla sussistenza di una concorrenza sleale “dipendente” a fronte del rilevato difetto di un rischio di confusione in relazione ai marchi: osserva che non aveva affatto qualificato gli illeciti di concorrenza sleale come “dipendenti”, avendo al contrario valorizzato la piena autonomia di questi illeciti, rilevando fra l’altro espressamente, in particolare per quanto riguarda l’illecito ai sensi dell’art. 2598 c.c. n. 2), la circostanza che esso non è subordinato al riscontro di una confondibilità.
Entrambi i mezzi sono da considerarsi assorbiti.
Lo scrutinio del quinto è condizionato da un accertamento quanto alla natura contraffattiva dell’adozione di un nome a dominio che presenta chiare assonanze coi marchi “(Omissis)” e non può non dipendere dall’esito dell’indagine che dovrà compiere il Giudice del rinvio quanto alla novità di questo. Il sesto si riferisce a questione che, secondo quanto esposto nel ricorso, è stata declinata, in sede di merito, avendo riguardo, anzitutto, alla confondibilità dei segni: per modo che esso resta pure legato all’ulteriore attività processuale da compiersi.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 28 c.p.i.. Ci si duole, in sintesi, che la Corte distrettuale non abbia pronunciato sulla questione relativa alla convalidazione del marchio.
Il motivo, vertente sulla asserita illegittimità della statuizione con cui la Corte di appello ha dichiarato assorbita la questione posta dalla ricorrente per incidente, resta a sua volta assorbito. La questione, come quelle di cui alle censure del ricorso principale che sono state dichiarate assorbite, potrà essere naturalmente riproposta alla Corte di appello in sede di rinvio.
4. – In conclusione, vanno accolti il secondo e, per quanto di ragione, il quarto motivo del ricorso principale; gli altri motivi del detto ricorso e il ricorso incidentale restano assorbiti.
5. – La sentenza è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Bologna, che deciderà in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
La Corte del rinvio dovrà fare applicazione dei seguenti principi di diritto:
“Ai fini dell’accertamento della nullità di un marchio che si assuma simile ad altro che sia dotato di rinomanza ex art. 12, comma 1, lett. e), c.p.i., occorre prendere in esame la rinomanza di quest’ultimo al momento del deposito del primo, mentre ai fini del giudizio di contraffazione tra segni ex art. 20, comma 1, lett. c), deve guardarsi alla sua rinomanza nel momento in cui il marchio registrato per secondo ha iniziato ad essere oggetto di utilizzazione;
“Ai fini dell’accertamento della nullità della registrazione ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.i. e dell’accertamento dell’uso vietato del segno che si assuma simile ad altro marchio denominativo precedentemente registrato, a norma dell’art. 20 comma 1, lett. b), c.p.i., non rilevano le modalità di utilizzo del marchio denominativo di cui sia stata lamentata la contraffazione, dovendosi piuttosto guardare a come il detto segno sia stato depositato e registrato”.
P.Q.M.
La Corte;
accoglie il secondo e, nei sensi di cui in motivazione, il quarto motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2023