CASSAZIONE CIVILE, SEZ. II, 25 febbraio 2022, n.6351

30 Maggio 2022 Novità Giurisprudenziali

Solo il titolare dell’autorizzazione allo scarico è responsabile del superamento dei valori limite di emissione

Sanzioni amministrative – Tutela delle acque dall’inquinamento – Scarico autorizzato – Superamento dei valori – Limite – Violazione tabelle – Responsabilità del titolare dell’autorizzazione – Esclusività.

L’art. 22 della l.n. 319 del 1976 (c.d. legge Merli) ha introdotto il principio (ripreso dal d.lgs. n. 152 del 1999, art.45) della personalità dell’autorizzazione allo scarico. Solo il titolare dell’autorizzazione allo scarico è responsabile del superamento dei valori limite di emissione previsti per legge e soltanto su di lui grava l’obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare i necessari interventi; ne deriva che il titolare dell’autorizzazione è l’unico responsabile anche qualora il superamento dei predetti valori sia materialmente riconducibile a terzi cui egli abbia consentito l’utilizzo dello scarico.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:             

Dott. MANNA   Felice                               –  Presidente   –

Dott. ORILIA  Lorenzo                              –  Consigliere  –

Dott. CARRATO Aldo                               –  Consigliere  –

Dott. GRASSO  Giuseppe                        –  Consigliere  –

Dott. PENTA   Andrea                              –  rel. Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:                                          

ORDINANZA

sul ricorso 20744/2018 proposto da:

COMUNE DI PALOSCO, in persona del suo Sindaco pro tempore, M.M., con sede in (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Yvonne Messi, del Foro di Bergamo (C.F.: MSS YNX  53L44 Z133R), con studio in Bergamo alla Via Gabriele Camozzi n. 3,  e Luisa Gobbi, del Foro di Roma, con studio in Roma alla Via Ennio Quirino Visconti n. 103 (C.F.: GBB LSU 59A56 115015) e presso  quest’ultima elettivamente domiciliato, giusta Delib. Giunta  Comunale di Palosco 24 marzo 2018, n. 47 e procura a margine del  ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI BERGAMO, (C.F.: 80004870T60), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, Prof.         R.M.,  rappresentata e difesa, giusto decreto presidenziale n. 182 del  24.07.2018 e come da delega a margine del controricorso, dall’Avv. Giorgio Vavassori, (C.F.: WSGRG61A27I437C), dall’Avv. Katia Nava, (C.F.: NVAKTA68E48G856K) dell’Avvocatura Provinciale di Bergamo, e dall’Avv. Alessio Petretti, (C.F.: PTRLSS55M25H5OIM) di Roma, con facoltà sia congiunte che disgiunte, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Via degli Scipioni n. 268/a;

– controricorrente –

-avverso la sentenza n. 296/2018 emessa dalla Corte d’appello di Brescia in data 15/03/2018 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.                 

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso in opposizione a sanzione amministrativa L. n. 689 del 1981, ex art. 22 P.M. ed il Comune di Palosco adivano il Tribunale di Bergamo per ottenere l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione emessa dalla Provincia di Bergamo (n. prot. 57654) in data 31/5/2011, con la quale era stato loro ingiunto, nella qualità di sindaco del Comune di Palosco, al primo, e come responsabile in solido con l’autore della violazione, al secondo, il pagamento della somma di Euro 20.100,00. oltre spese di notifica, per le violazioni del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 1, e art. 140 richiamate in due verbali di accertamento elevati da A.R.P.A Lombardia – Dipartimento di Bergamo.

I ricorrenti deducevano:

l’insussistenza dell’elemento oggettivo dell’illecito, in quanto, secondo la previsione di cui all’art. 10, comma 3, del Regolamento Regionale Lombardia n. 3 del 24/3/2006, tabelle 5 e 6 dell’allegato B, il Comune di Palosco non sarebbe stato soggetto ad alcun limite di rispetto per il parametro dell’azoto nitrico, essendo un Comune con 8.000 abitanti (e, quindi, con meno di 10.000 abitanti) e con scarichi industriali pari a circa il 10% (e, quindi, inferiori al 20%);

l’insussistenza della loro responsabilità, essendo invece responsabile dell’intero servizio idrico integrato la società Uniacque s.p.a. a far data dall’1/1/2007;

l’insussistenza della responsabilità per omessa notifica dei verbali di accertamento a P.M. e, in subordine, la mancanza della responsabilità di quest’ultimo, atteso che, nell’ambito del Comune di Palosco, erano responsabili della gestione non tanto il sindaco, quanto, piuttosto, i suoi responsabili dei servizi;

il difetto dell’elemento soggettivo dell’illecito, considerato che il superamento occasionale dei limiti di concentrazione di inquinanti negli scarichi delle acque sarebbe derivato da scarichi illeciti nella rete fognaria comunale ad opera di terzi;

– l’ingiusta determinazione del minimo edittale di Euro 10.000.00 di ciascuna delle due sanzioni irrogate, poiché il Comune di Palosco non si sarebbe trovato in area “protetta”.

Sulla base delle suddette premesse, i ricorrenti chiedevano che venisse annullato il provvedimento impugnato, ovvero che fosse ridotto l’importo delle sanzioni con accordo di pagamento rateale.

Si costituiva in giudizio la Provincia di Bergamo, chiedendo il rigetto della pretesa avversaria perché infondata.

Con la sentenza impugnata n. 2760/2016 del 20/9/2016, il primo giudice, in parziale accoglimento del ricorso, annullava l’ordinanza ingiunzione della Provincia di Bergamo in relazione al solo trasgressore P.M. e rigettava, per il resto, il ricorso proposto dal medesimo e dal Comune di Palosco, confermando l’ordinanza ingiunzione in relazione al solo Comune di Palosco quale obbligato solidale.

Avverso la detta sentenza proponeva appello il Comune, chiedendo che, in riforma della stessa, venisse annullata l’ordinanza ingiunzione.

Si costituiva la Provincia di Bergamo, chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza del 15.3.2018, la Corte d’appello di Brescia rigettava il gravame sulla base delle seguenti considerazioni:

– i valori limite degli scarichi in acque superficiali di acque reflue urbane nei quali è ammessa la presenza di acque reflue industriali, ove non siano disciplinati dalle norme disposte dalle regioni, rimangono soggetti ai limiti di emissione indicati nella tabella n. 3 dell’allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152 del 2006;

– pertanto, nel caso di specie, il Comune di Palosco, avendo scarichi industriali del 10%, cosi come dichiarato dallo stesso in sede di richiesta di rinnovo dell’autorizzazione del 7/8/2006, non ricadeva nella condizione di cui all’art. 10, lett. a), del Regolamento Regione Lombardia n. 3/2006, che trova applicazione nei soli casi in cui gli scarichi industriali siano superiori al 20%; cosicché ad esso non era applicabile l’art. 10, comma 3, dello stesso Regolamento;

– non risultavano prodotti né il contratto di servizio relativo all’affidamento del servizio idrico integrato, debitamente sottoscritto dall’Autorità d’Ambito e dalla Uniacque s.p.a., né il contratto di affidamento della gestione dell’impianto comunale di depurazione di Palosco alla Uniacque s.p.a., debitamente sottoscritto dalle parti contrattuali, non essendo la documentazione prodotta dalla parte ricorrente idonea a provare se e quando fosse intervenuta l’effettiva sottoscrizione dei contratti cui facevano riferimento le Delib. Conferenza d’Ambito territoriale Ottimale di Bergamo 20 marzo 2006, n. 4 e della Giunta Comunale del Comune di Palosco 2 febbraio 2007, n. 6, alle quali non poteva essere riconosciuta alcuna valenza contrattuale;

– inoltre, il ricorrente non aveva prodotto il verbale di consegna degli impianti alla società concessionaria del servizio idrico integrato, cosicché, in mancanza di prova contraria, doveva ritenersi che nei momenti in cui erano avvenuti gli accertamenti delle violazioni (verbali A.R.P.A. del (OMISSIS) e del (OMISSIS)) il titolare dell’autorizzazione allo scarico dell’impianto di depurazione per cui è causa ed il suo materiale gestore fosse ancora il Comune di Palosco, con conseguente permanenza in capo al suo legale rappresentante della relativa responsabilità per le violazioni amministrative;

– del resto, poiché la Uniacque s.p.a. era subentrata al Comune nella gestione dell’impianto dal 1 gennaio 2009 e, dunque, in un periodo successivo a quello in cui erano state accertate le violazioni, era evidente che la responsabilità per le violazioni accertate dall’A.R.P.A non potesse che essere imputata al P. nella sua qualità di Sindaco pro tempore del Comune di Palosco;

– posta, pertanto, la responsabilità, in linea di diritto, dell’ente locale titolare dell’autorizzazione allo scarico e gestore dell’impianto, la sussistenza della prospettata diversa titolarità costituiva fatto impeditivo od estintivo;

– essendo l’obbligazione del corresponsabile solidale autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale, nel caso che ci occupa, non essendovi un legame necessario tra l’obbligazione del trasgressore e quella dell’obbligato solidale L. n. 689 1981, ex art. 6 l’estinzione dell’obbligazione del trasgressore P.M. a seguito dell’annullamento dell’ordinanza ingiunzione emessa nei suoi confronti non travolgeva l’obbligazione facente capo al Comune di Palosco in qualità di obbligato solidale che, quindi, permaneva.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso il Comune di Palosco, sulla base di quattro motivi.

La provincia di Bergamo ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa. 

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, commi 1 e 2, art. 124 e art. 133, comma 1, e art. 10, comma 3, e delle tabelle 5 e 6 del Regolamento della Regione Lombardia n. 3/2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte d’appello considerato che il regolamento regionale trovava applicazione, in luogo della normativa nazionale, nel caso in cui, come quello di specie, gli scarichi industriali erano non superiori al 20%.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la corte territoriale considerato che il Comune di Palasco non aveva mai gestito direttamente l’impianto di depurazione, avendo, dapprima, assegnato in concessione, a far data dall’1.1.2007, il servizio idrico integrato per l’intero territorio provinciale ad Uniacque s.p.a. e, poi, su mandato di quest’ultima, prorogato l’appalto di manutenzione e gestione ad Aqualis s.p.a.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3,D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6,comma 11, e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la corte di merito considerato che era stata prodotta la copia integrale del contratto che regolava la concessione del servizio idrico integrato, depositando quella meccanica pubblicata dalle stesse parti contraenti, la quale non era stata disconosciuta, quando alla sua conformità all’originale, dalla Provincia di Bergamo.

4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124L. n. 689 del 1981, art. 3,art. 2967 c.c.D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 11, e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte d’appello considerato che deve essere esclusa la responsabilità dell’ente locale titolare dell’autorizzazione allo scarico, quando consti, in forza di un apposito contratto d’appalto, una gestione dell’impianto di depurazione da parte di un soggetto terzo e che sarebbe stato onere della Provincia di Bergamo dimostrare che il Comune di Palosco fosse il gestore dell’impianto di depurazione.

4.1. Seguendo l’ordine logico delle questioni, meritano di essere trattati prioritariamente il terzo e il quarto motivo, attenendo entrambi al profilo della legittimazione passiva del Comune di Palosco, i quali si rivelano, per quanto di ragione, fondati.

Di servizio idrico integrato si è parlato per la prima volta in Italia nella cd. legge Galli (L. 5 gennaio 1994, n. 36), recante Disposizioni in materia di risorse idriche, in cui veniva descritto all’art. 4 come “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue”. Nel 2006, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”, ha abrogato la Legge Galli e ridefinito il servizio pubblico integrato come “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie”.

Tale servizio andava, e va tuttora, gestito all’interno di ambiti territoriali ottimali (ATO), che le Regioni devono perimetrare sulla base di regole contenute, oltre che nella disciplina generale in materia di SPL, all’interno Codice dell’Ambiente.

Per quanto riguarda i soggetti che, in base alla normativa settoriale, sovraintendono all’organizzazione del servizio all’interno degli ATO, i riferimenti alle Autorità d’Ambito, pur presenti nel Codice dell’Ambiente, sono da intendersi riferiti agli enti ai quali le Regioni hanno trasferito le corrispondenti funzioni ai sensi della L. 23 dicembre 2009, n. 191 (art. 2,comma 186-bis), che corrispondono, di fatto, agli enti di governo d’ambito di cui alla disciplina generale SPL.

Ciò che rileva ai nostri fini è che il legislatore ha demandato all’Autorità d’Ambito il compito di assicurare la gestione omogenea del servizio idrico integrato, per cui i singoli Comuni non vantano il potere di autodeterminarsi e ogni decisione deve avvenire all’interno dell’Autorità e secondo le sue regole di funzionamento; peraltro, le scelte non interferiscono sul regime proprietario (id est, la titolarità) dei beni (come gli impianti di depurazione delle acque reflue) appartenenti ai Comuni, ma unicamente sulla loro gestione.

Il ricorrente, invece, incorre in una palese confusione di piani nel momento in cui assimila la gestione del servizio idrico integrato (senza dubbio trasferito, all’epoca dei fatti, alle Autorità costituite nei vari Ambiti Territoriali Ottimali) alla titolarità e gestione degli impianti di depurazione.

4.2. Ciò debitamente premesso, va rilevato che, a differenza di quanto sostenuto dalla Provincia di Bergamo nel controricorso, assume rilevanza distinguere, allorquando se ne ponga la necessità, tra il titolare dell’autorizzazione allo scarico ed il gestore dell’impianto di depurazione.

La L. 10 maggio 1976, n. 319, art. 22 (c.d. Legge Merli), ha introdotto il principio (ripreso dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 45) della personalità dell’autorizzazione allo scarico. Solo il titolare dell’autorizzazione allo scarico è responsabile del superamento dei valori limite di emissione previsti per legge e soltanto su di lui grava l’obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare i necessari interventi; ne deriva che il titolare dell’autorizzazione è l’unico responsabile anche qualora il superamento dei predetti valori sia materialmente riconducibile a terzi cui egli abbia consentito l’utilizzo dello scarico (Sez. 1, Sentenza n. 10480 del 08/05/2006), a meno che egli ne dimostri la riconducibilità al fatto del terzo, avvenuto contro la sua volontà. In altri termini, l’autorizzazione allo scarico non è un fatto meramente formale, che esonera da ogni responsabilità, ma, al contrario, responsabilizza il titolare, imponendogli una vigilanza e un controllo continui.

Tuttavia, sempre in tema di superamento dei limiti di accettabilità degli scarichi delle acque reflue da depuratore, con riferimento al principio della solidarietà di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6 la delega di funzioni, nel caso di affidamento della gestione dell’impianto a terzi, ove regolarmente conferita, con conseguente assoggettamento a responsabilità del solo soggetto delegato, comporta che solo all’interno della struttura di quest’ultimo, e fuori dei casi di responsabilità dell’ente preponente – per culpa in vigilando, in eligendo o per altri eccezionali casi, quali la radicale ed originaria deficienza tecnica degli impianti ed omissione di intervento, o di sopravvenuta inadeguatezza degli stessi -, possa operare il detto principio di solidarietà; vale a dire che, una volta individuato nel soggetto gestore, persona fisica o giuridica, il detentore qualificato dell’impianto, solo lo stesso è obbligato al pagamento della sanzione in solido con l’autore dell’illecito, suo rappresentante o preposto (Sez. 2, Sentenza n. 14441 del 22/06/2006; conf. Sez. 2, Sentenza n. 22295 del 02/11/2010 e Sez. 2, Sentenza n. 28653 del 2011).

E’ opportuno riportare il percorso motivazionale posto alla base delle menzionate decisioni: ” (…) la giurisprudenza penale di legittimità, in materia ambientale, è costantemente orientata nel senso dell’ammissibilità della delega di funzioni amministrative, con conseguente possibilità di escludere la colpa del soggetto delegante, al riguardo dettando precisi e rigorosi criteri, oggettivi e soggettivi, ai fini del riconoscimento della legittimità del trasferimento dei poteri e del conseguente assoggettamento a responsabilità del solo delegato.

Sotto il primo profilo assumono rilevanza le dimensioni dell’ente o impresa delegante, tali da giustificare l’esigenza della delega, l’effettività del trasferimento di poteri, comportante completa autonomia gestionale, la conformità della delega alle norme interne o disposizioni statutarie al riguardo; sotto il secondo assumono particolare rilevanza la capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato, l’esistenza o meno di poteri di ingerenza, a termini della convenzione, del delegante nell’espletamento dell’attività delegatale eventuali richieste di intervento da parte del delegato, l’eventuale conoscenza da parte del delegante della negligenza o della sopravvenuta incapacità del gestore (v., tra le altre, Cass. 3 pen. 29/05/1996, Bressan, 26/03/1999, Tilocca, 03/11/1999, Finocchi, 03/12/1999, Natali, 10/01/2000, Balestrini). Altrettanto costante, peraltro, è la giurisprudenza nel ravvisare comunque la responsabilità del titolare dello scarico, nonostante l’avvenuto trasferimento della gestione dell’attività di depurazione, nei casi di radicale ed originaria deficienza tecnica degli impianti ed omissione di intervento, nei casi di sopravvenuta inadeguatezza degli stessi; viene, invece, riconosciuta l’esclusiva responsabilità del gestore nei casi di superamento dei limiti tabellari di emissione, dovuti ad improprio uso degli impianti o ad omessa adozione di particolari e contingenti misure tecniche (v. Cass. 3 pen. 25/09/2000, Biizzi). Dai suesposti, convincenti, principi il Collegio non ravvisa motivi per doversi discostare, non condividendo il diverso ed isolato orientamento espresso dalla sentenza n. 8537/2005 della 1 sez. civ. di questa Corte (nella quale si sostiene che appalti del genere potrebbero solo comportare il trasferimento della gestione tecnica degli impianti e non anche la delega a terzi di responsabilità derivanti da obblighi dalla legge imposti direttamente, in ragione di interessi pubblici, ai soggetti titolari), considerato che nei casi di specie non è la responsabilità in sé che è oggetto del trasferimento, bensì il particolare rapporto con la cosa (nella specie gli impianti di depurazione), alla cui disponibilità è correlata tale responsabilità, che può essere legittimamente trasferito, nel rispetto dei principi generali del diritto amministrativo che lo consentono, con conseguente assoggettamento degli assuntori ai relativi obblighi, derivanti dai precetti normativi dei quali i medesimi divengono, in ragione dell’autonoma e qualificata detenzione, destinatari e, come tali passibili delle relative sanzioni, comminate a carico di “chiunque” cagioni i fatti di inquinamento vietati dalla legge. (…)”.

4.3. Orbene, nel caso di specie, per quanto la mancata considerazione della copia integrale del contratto che regolava la concessione del servizio idrico integrerebbe il vizio di omesso di un fatto storico decisivo, laddove il ricorrente ha, con i motivi terzo e quarto, denunciato la violazione, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 è palese che i due motivi sono finalizzati a far valere la detta omissione.

5. Il primo motivo resta assorbito nell’accoglimento del terzo e del quarto.

6. Il secondo motivo è inammissibile, atteso che non attinge la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata.

Invero, la corte bresciana ha sul punto evidenziato (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata) che non risultavano prodotti né il contratto di servizio relativo all’affidamento del servizio idrico integrato, debitamente sottoscritto dall’Autorità d’Ambito e Uniacque s.p.a., né il contratto di affidamento della gestione dell’impianto comunale di depurazione di Paolosco alla Uniacque s.p.a., anch’esso debitamente sottoscritto dalle parti contrattuali, non essendo, per l’effetto, la documentazione prodotta dall’allora appellante idonea a provare se e quando fosse intervenuta l’effettiva stipula dei contratti, cui facevano riferimento le Delib. Conferenza d’Ambito Territoriale Ottimale di Bergamo 20 marzo 2006, n. 4 e della Giunta del Comune di Palosco 2 febbraio 2007, n. 6.

Inoltre, la stessa corte ha posto in rilievo che l’ente pubblico non aveva neppure prodotto il verbale di consegna degli impianti alla società concessionaria (id est, alla Uniacque s.p.a.) del servizio idrico integrato. Dalla documentazione in atti, la corte di merito ha, quindi, desunto che, alle date ((OMISSIS)) in cui si erano verificati gli accertamenti delle violazioni, il titolare dell’autorizzazione allo scarico dell’impianto di depurazione ed il suo materiale gestore fosse ancora il Comune di Palosco.

Rappresenta orami un principio consolidato quello secondo cui, in tema di contratti degli enti pubblici, stante il requisito della forma scritta imposto a pena di nullità per la stipulazione di tali contratti, la volontà degli enti predetti dev’essere desunta esclusivamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti. In particolare, i contratti stipulati con la P.A., pure se questa agisca iure privatorum, devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta. L’osservanza di detto requisito richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonché l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti, quale la delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico. Il contratto mancante del succitato requisito è nullo e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poiché gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti.

Da ultimo, la corte d’appello ha dato atto che solo a decorrere dall’1.1.2009 (e, quindi, in un periodo successivo a quello in cui erano state accertate le violazioni) la Uniacque s.p.a. era subentrata al Comune nella gestione dell’impianto.

Ne’ a differenti conclusioni potrebbe pervenirsi sulla base del documento prodotto nel giudizio di merito dalla Provincia di Bergamo sub n. 6 e parzialmente riprodotto dalla ricorrente a pagina 19 del ricorso. Invero, da un lato, non può di certo evincersi la sussistenza di un rapporto concessorio e/o di un contratto di appalto di manutenzione e gestione da una nota unilaterale inviata dalla Uniacque s.p.a. e, dall’altro, la detta nota risulta inoltrata in riscontro ad altra precedente (n. 2998/10) della Provincia di Bergamo del 14.4.2010, con la conseguenza che non può escludersi che l’attività di conduzione del depuratore comunale, nella quale la Uniacque s.p.a. era subentrata, fosse, a sua volta, successiva all’anno ((OMISSIS)) in cui sono stati operati gli accertamenti poi sfociati nella emissione dell’ordinanza-ingiunzione.

7. In conclusione, il ricorso merita accoglimento con riferimento al terzo e al quarto motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche per il governo delle spese del presente grado di giudizio, alla Corte d’appello di Brescia in differente composizione. 

P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il secondo motivo del ricorso, accoglie nei limiti di cui in motivazione il terzo e il quarto, dichiara assorbito il primo;

– cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla Corte d’appello di Brescia in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022