CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, 28 gennaio 2022, n.622

19 Aprile 2022 Novità Giurisprudenziali

Trasmissibilità mortis causa dell’obbligo di bonifica del sito inquinato

L’obbligo di bonifica del sito inquinato è un obbligo positivo e permanente di ripristinare l’ambiente danneggiato, trasmissibile mortis causa.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 170 del 2019, proposto  dalla signora  Ad.  Ma.,  rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  Federico Pardini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il  Comune  della  Spezia,  in  persona  del  Sindaco  pro   tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Carrabba, Ettore Furia, Marcello Puliga e Fabrizio Dellepiane, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e  domicilio  eletto  presso  lo  studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n. 44,        

nei confronti

della signora Ca. Me., non costituitasi in giudizio,                

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la  Liguria n. 474/2018, resa tra le parti.                                     

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;                

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune della Spezia;   

Visti tutti gli atti della causa;                                    

Relatore, nell’udienza  pubblica  del  giorno  9  dicembre  2021,  il consigliere Silvia Martin;                                         

Viste le conclusioni delle parti;                                   

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Con provvedimento dirigenziale del 9 aprile 2003, adottato ai sensi dell’art. 17, comma 3, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, il Comune della Spezia diffidava la signora Ad. Ma. “a procedere a proprie spese, quale responsabile dell’inquinamento, agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e di ripristino ambientale del terreno inquinato” sito in via (omissis).

Come accertato dalle indagini dell’Arpal (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure), il terreno in questione presentava “una concentrazione di metalli pesanti molto elevata“, spesso superiore ai limiti stabiliti per i terreni industriali, con rischio di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee.

La signora Ma. era ritenuta responsabile dell’inquinamento nella sua qualità di ex titolare dell’impresa Ma. Pa. che aveva esercitato nel sito l’attività di deposito di materiali ferrosi.

1.1. Il provvedimento veniva impugnato innanzi al TAR per la Liguria dalla signora Ma. sulla base di cinque mezzi di gravame.

L’impugnativa veniva poi estesa con motivi aggiunti alle note del note del Comune della Spezia in data 8 gennaio e 1° febbraio 2005: con la prima di esse, l’Amministrazione procedente aveva comunicato che, protraendosi l’inadempimento, gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica dell’area inquinata sarebbero stati eseguiti d’ufficio; tale intendimento era stato ribadito con la seconda nota, contenente anche la fissazione di un ulteriore termine di 15 giorni per l’adempimento da parte del privato.

2. Nella resistenza del Comune della Spezia, il TAR ha respinto il ricorso principale, dichiarato inammissibili i motivi aggiunti e compensato le spese.

3. La sentenza è stata impugnata dalla signora Ma., alla stregua delle censure che possono essere così sintetizzate.

1. Error in iudicando sul primo motivo del ricorso n. RG 763/2003. Violazione art. 17, commi 2 e 5-bis del d.lgs. n. 22 del 1997. Eccesso di potere per travisamento, sviamento, contraddittorietà, erroneità sui presupposti, difetto di motivazione ed istruttoria.

L’appellante ha sostenuto la propria estraneità rispetto alle attività che hanno prodotto l’inquinamento dell’area.

La nuova società costituita dall’appellante, inoltre, non sarebbe direttamente succeduta a quella del padre nei rapporti attivi e passivi.

Nel 1993 i chiamati all’eredità hanno adito il Tribunale Civile della Spezia per richiedere la gestione temporanea della ditta.

Nel 1994 essi hanno poi accettato l’eredità con beneficio d’inventario.

Secondo l’appellante il principio della trasmissibilità dell’obbligo di ripristino riguarderebbe la sola ipotesi della compresenza della qualità di erede proprietario ed erede utilizzatore del sito inquinato. L’appellante, invece, non avrebbe tratto nessun diretto beneficio economico dall’attività inquinante.

Ciò, senza considerare che dal 1995 l’area è stata utilizzata dalla Ditta Ma. Pa. solo come magazzino e autorimessa, mentre il definitivo abbandono dell’area è avvenuto nel 1997, prima dell’entrata in vigore del decreto Ronchi.

Quanto alla ditta “Nuova Ma.”, la stessa ha esercitato l’attività di smaltimento rifiuti in un altro sito e la ricorrente ha usufruito dell’area soltanto per un anno, adibendola esclusivamente a magazzino ed autorimessa.

2. Errore in iudicando sul secondo e terzo motivo del ricorso RG. n. 763 del 2003. Violazione di legge. Eccesso di potere per travisamento, sviamento, erroneità sui presupposti, ingiustizia grave e manifesta, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria.

La Ditta Ma. Pa. ha sempre operato con regolare autorizzazione fornita dal Comune e rispettando le prescrizioni imposte.

Dal 1995, l’area di via del Canaletto non è più utilizzata per lo stoccaggio del materiale ferroso.

L’Amministrazione non avrebbe offerto alcuna evidenza idonea a dimostrare che l’attività svolta dalla ditta Ma. Pa. sia all’origine della contaminazione.

Le indagini svolte ai fini del Piano di caratterizzazione, avrebbero confermato le deduzioni della ricorrente circa il carattere risalente dell’inquinamento, verosimilmente attribuibile alle precedenti attività operanti sull’area.

3. Error in iudicando sul quarto motivo del ricorso n. RG 76372003. Violazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997. Eccesso di poter per travisamento, sviamento, erroneità sui presupposti, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria.

Nel piano di caratterizzazione si afferma che l’area è da tempo in stato di abbandono.

Sarebbe dunque altamente probabile che lo stato di inquinamento si sia aggravato nel tempo, per l’incuria dei proprietari e del Comune.

4. Errore in iudicando sul quinto motivo di ricorso. Violazione di legge. Eccesso di potere per travisamento, sviamento, erroneità sui presupposti, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria.

In primo grado la ricorrente aveva dedotto che il Comune aveva autorizzato la ditta ad operare sul terreno in questione, nonostante l’area fosse destinata, nello strumento urbanistico, a “verde pubblico”.

Ad ogni buon conto, ai fini dell’onere risarcitorio, l’Amministrazione non avrebbe considerato la destinazione “di fatto” dell’area in cui si sono succedute, regolarmente autorizzate, attività a spiccata vocazione artigianale – industriale;

5. Error in iudicando sull’inammissibilità dei due ricorsi per motivi aggiunti in virtù del supposto effetto esecutivo e caducante del provvedimento dirigenziale prot. n. 105357 del 16 dicembre 2004.

Pur richiamando l’art. 17 comma 9 del d.lgs. n. 22 del 1997, il provvedimento in rubrica non avrebbe contenuto né un ordine, né comunque un provvedimento ablatorio, bensì una mera nota informativa relativa all’avvio del procedimento volto alla realizzazione di un’area a verde pubblico.

I motivi aggiunti non esaminati dal TAR sono stati pertanto riproposti mediante la trascrizione della rispettiva rubrica.

4. Si è costituito, per resistere, il Comune della Spezia, articolando con dovizia di argomentazioni le proprie difese.

5. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica.

6. L’appello è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 9 dicembre 2021.

6.1. L’appellante ha in primo luogo contestato il rilievo attribuito dal TAR alla prosecuzione dell’attività da parte degli eredi del titolare della ditta Ma. Pa..

Tuttavia, al contrario di quanto dalla stessa apoditticamente sostenuto, l’orientamento più recente della giurisprudenza amministrativa è nel senso della trasmissibilità dell’obbligo ripristinatorio agli eredi (indipendentemente dalla loro qualità di titolari del sito inquinato) e più in generale, in caso di successione a titolo universale (cfr. Cons. Stato, sez. II, 6 maggio 2021, n. 3535; T.A.R. Pescara, sez. I, 23 marzo 2019, n. 86; T.A.R. Piemonte, sez. I, 31 ottobre 2020, n. 653).

Risulta pertanto inconferente ogni approfondimento in ordine al ruolo in concreto svolto dall’odierna appellante rispetto al padre già titolare dell’impresa che aveva gestito l’attività sul suolo de quo, essendo sufficiente che la stessa sia subentrata in obblighi di bonifica già esistenti in capo al proprio dante causa.

La predetta conclusione discende dall’assunto che la situazione in esame sia sostanzialmente assimilabile alla già ritenuta trasmissibilità agli eredi degli obblighi di ripristino in materia edilizia, atteso che, se la ratio normativa è di far gravare su colui che ha beneficiato economicamente di una attività nociva i costi del ripristino (cuius commoda, eius et incommoda), risulta anche coerente che gli eredi che beneficiano in via successoria dei profitti tratti con tale attività ne sopportino i costi, potendo detti costi sempre essere circoscritti al limite del loro arricchimento con l’accettazione con beneficio di inventario.

Le misure introdotte nel 1997, ed ora disciplinate dagli artt. 239 e ss. del codice di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, hanno nel loro complesso una finalità di salvaguardia del bene ambiente rispetto ad ogni evento di pericolo o danno, ed in esse è assente ogni matrice di sanzione rispetto al relativo autore. Tali misure, infatti, non appartengono al diritto lato sensupunitivo, sebbene per esse sia imprescindibile un accertamento di responsabilità (cfr. Cons. Stato, A.P., ord. 13 novembre 2013, nn. 21 e 25), ma si collocano invece nel tessuto connettivo formato dalla normativa ora menzionata.

6.1. Pure irrilevante è l’ulteriore circostanza, nuovamente dedotta in appello dalla signora Ma., secondo cui l’attività di trattamento di materiale ferrosi sarebbe cessata in data anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997.

L’Adunanza plenaria di questo Consiglio ha ormai chiarito (a partire dalla decisione n. 10 del 2019) che l’autore dell’inquinamento rimane soggetto agli obblighi conseguenti alla sua condotta illecita, “secondo la successione di norme di legge nel frattempo intervenuta: e quindi dall’originaria obbligazione avente ad oggetto l’equivalente monetario del danno arrecato, o in alternativa alla reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 cod. civ., poi specificato nel “ripristino dello stato dei luoghi” ai sensi del più volte richiamato art. 18, comma 8, l. n. 249 del 1986, fino agli obblighi di fare connessi alla bonifica del sito secondo la disciplina attualmente vigente“.

In sintesi, la legislazione ha da sempre riconosciuto la natura illecita dell’inquinamento ambientale, con continuità e ancor prima dell’introduzione della nozione giuridica di bonifica quale attività necessaria a mettere in sicurezza siti nei quali siano state superate determinate soglie di contaminazione.

Nello stesso senso è l’orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32142).

In sostanza, le norme in materia di obblighi di bonifica non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi.

7. Il secondo e il terzo motivo di appello risultano parzialmente nuovi rispetto ai corrispondenti motivi svolti in primo grado, con i quali la ricorrente si era limitata a contestare la pretesa mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di bonifica.

7.1. Ad ogni buon conto, quanto al profilo del nesso eziologico, non appare seriamente contestabile la riconducibilità causale della condizione di inquinamento del sito per cui è causa all’attività di impresa per lungo tempo condotta su di esso.

Al riguardo, l’analitica ricostruzione fornita dal Comune delle vicende pregresse non è stata in alcun modo contestata dall’appellante, salvo che con generico riferimento alle risultanze del Piano di caratterizzazione, ovvero un atto elaborato in epoca ampiamente successiva agli atti per cui è causa e, soprattutto, alla proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado.

In particolare – come evidenziato dal Comune – risulta in sintesi dalla documentazione in atti che:

– la ditta Ma. Pa. ha svolto per oltre trent’anni lavorazioni qualificate “insalubri e pericolose” ai sensi dell’art. 216 del Testo unico delle leggi sanitarie;

– tali attività causarono lamentele dei vicini ed interventi delle Autorità preposte a garantire la salubrità dell’abitato;

– a seguito delle analisi disposte sul suolo interessato dall’insediamento produttivo vennero riscontrate concentrazioni di inquinanti ricondotte dall’Arpal all’attività dell’impresa Ma. Pa..

7.2. La pronuncia del TAR va confermata anche con riferimento alla doglianza di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, pur essa smentita dalla documentazione in atti, dalla quale risulta che l’odierna appellante venne portata a conoscenza della decisione di affidare all’Arpal l’esecuzione degli “accertamenti analitici necessari per appurare la qualità dei suoli nell’area in discorso“, contestualmente precisandosi da parte del Comune che, nel caso di riscontrato inquinamento, si sarebbe proceduto all’emissione di diffida ai fini della realizzazione delle operazioni di bonifica.

Come rilevato dal TAR, tale circostanza “ha garantito la possibilità di interloquire con il potere pubblico nel suo divenire e, ove del caso, anche di contestare gli accertamenti tecnici compiuti in assenza del presunto responsabile dell’inquinamento“.

7.3. È altresì palesemente irrilevante il fatto che il dante causa e la ricorrente abbiano svolto attività regolarmente autorizzate (anche sul piano urbanistico) perché ciò non rende lecito l’inquinamento ambientale eventualmente derivato da tali attività.

8. È poi rimasto incontestato quanto fatto rilevare dal TAR circa il fatto che, con i motivi aggiunti, la ricorrente impugnò i provvedimenti relativi alla decisione di procedere d’ufficio agli interventi di messa in sicurezza, ripristino e bonifica – in danno della ditta obbligata – senza avere previamente e tempestivamente impugnato il provvedimento che ne aveva constatato l’inottemperanza, ed al quale, pertanto, la ricorrente medesima aveva fatto acquiescenza.

Non ha infatti fondamento la tesi esposta in appello, secondo cui la nota prot. n. 105357 del 16 dicembre 2004, con cui il Comune della Spezia aveva accertato che l’interessata non aveva dato esecuzione all’ordine di bonifica del sito inquinato e, in conseguenza, aveva comunicato l’avvio del procedimento inteso all’esecuzione d’ufficio, fosse una mera nota informativa, priva di valore provvedimentale.

Con tale nota, il Comune ha espressamente accertato l’inadempimento della signora Ma. agli obblighi connessi alla bonifica dell’area di proprietà Me. e dato avviso che avrebbe avviato le procedure di bonifica “in sostituzione”.

9. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, n. 170 del 2019, lo respinge.

Condanna la signora Ad. Ma. alla rifusione delle spese del grado in favore del Comune della Spezia, che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre gli accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2021 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Michele Pizzi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 GEN. 2022.