CORTE DI GIUSTIZIA UE SEZ. II, 14 ottobre 2020, n. 629 RIFIUTI – Fanghi di depurazione – Nozione di “rifiuto” – Cessazione della qualifica di rifiuto – Operazione di recupero o di riciclaggio – ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Acque reflue di origine industriale e domestica o urbana e inceneriti in un impianto di incenerimento – Disciplina applicabile durante un trattamento congiunto – Competenze e verifiche del giudice – Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2008/98/CE – Fattispecie.

6 Dicembre 2020 Novità Giurisprudenziali

L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 3, punto 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, devono essere interpretati nel senso che i fanghi di depurazione prodotti durante il trattamento congiunto, in un impianto di depurazione, di acque reflue di origine industriale e domestica o urbana e inceneriti in un impianto di incenerimento di materiali residui ai fini del recupero di energia mediante produzione di vapore non devono essere considerati rifiuti se le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva 2008/98 sono già soddisfatte prima del loro incenerimento. Spetta al giudice del rinvio accertare se ciò si verifichi nel procedimento principale. Nella fattispecie, in particolare, si deve verificare, sul fondamento di un’analisi scientifica e tecnica, che i fanghi di depurazione soddisfino i valori limite legali per le sostanze inquinanti e che il loro incenerimento non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, segnatamente connessi all’eventuale presenza di sostanze pericolose. A mente della disciplina in materia, la qualifica di «rifiuto» deriva anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine «disfarsi». Per quanto riguarda l’espressione «disfarsi», risulta altresì che tale espressione va interpretata alla luce dell’obiettivo della direttiva 2008/98 che, ai sensi del suo considerando 6, consiste nel ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente, nonché dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, a tenore del quale la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva. Ne consegue che il termine «disfarsi» e dunque la nozione di «rifiuto», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98, non possono essere interpretati in modo restrittivo. Sicché, dalle disposizioni di detta direttiva risulta inoltre che il termine «disfarsi» comprende, al contempo, il «recupero» e lo «smaltimento» di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’articolo 3, punti 15 e 19, di tale direttiva. Più in particolare, l’esistenza di un «rifiuto» ai sensi della direttiva 2008/98 va accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto dell’obiettivo di tale direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia. Pertanto, talune circostanze possono costituire indizi dell’esistenza di un’azione, di un’intenzione o di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto, ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98. Tra le circostanze che possono costituire indizi del genere figura il fatto che la sostanza utilizzata sia un residuo di produzione o di consumo, ossia un prodotto che non sia stato ricercato in quanto tale.

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

14 ottobre 2020

Nella causa C-629/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Landesverwaltungsgericht Steiermark (Tribunale amministrativo regionale della Stiria, Austria), con decisione del 14 agosto 2019, pervenuta in cancelleria il 23 agosto 2019, nel procedimento

Sappi Austria Produktions-GmbH & Co. KG,

Wasserverband «Region Gratkorn-Gratwein»

contro

Landeshauptmann von Steiermark,

LA CORTE (Seconda Sezione)

composta da A. Arabadjiev (relatore), presidente di sezione, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente della Corte, facente funzioni di giudice della Seconda Sezione, A. Kumin, T. von Danwitz e P.G. Xuereb, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Sappi Austria Produktions-GmbH & Co. KG e il Wasserverband «Region Gratkorn-Gratwein», da P. Schaden e W. Thurner, Rechtsanwälte;

– per il governo austriaco, da J. Schmoll, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, da F. Thiran e M. Noll-Ehlers, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), dell’articolo 3, punto 1, dell’articolo 5, paragrafo 1, e dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU 2008, L 312, pag. 3).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Sappi Austria Produktions-GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Sappi») e il Wasserverband «Region Gratkorn-Gratwein» (associazione delle acque per la regione del Gratkorn-Gratwein, Austria) (in prosieguo: il «Wasserverband») e, dall’altro, il Landeshauptmann von Steiermark (capo del governo regionale della Stiria, Austria) (in prosieguo: l’«amministrazione regionale»), in merito ad una decisione di quest’ultimo che constata che le modifiche riguardanti l’impianto industriale della Sappi e quello del Wasserverband, ubicati nel medesimo sito, devono essere assoggettate ad un obbligo di autorizzazione preventiva.

CONTESTO NORMATIVO

Diritto dell’Unione

3 L’obiettivo essenziale della direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti (GU 1975, L 194, pag. 47), come modificata dalla direttiva 91/156/CEE del Consiglio, del 18 marzo 1991 (GU 1991, L 78, pag. 32) (in prosieguo: la «direttiva 75/442»), consisteva nella tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti.

4 La direttiva 75/442 è stata codificata dalla direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti (GU 2006, L 114, pag. 9), la quale è stata successivamente abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/98. Gli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442 sono stati riprodotti, in sostanza, all’articolo 13, all’articolo 36, paragrafo 1, nonché agli articoli 15 e 23 della direttiva 2008/98.

5 Il capo I della direttiva 2008/98, intitolato «Oggetto, ambito di applicazione e definizioni», comprende gli articoli da 1 a 7 di quest’ultima.

6 L’articolo 1 di tale direttiva è così formulato:

«La presente direttiva stabilisce misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli impatti complessivi dell’uso delle risorse e migliorandone l’efficacia».

7 L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva dispone quanto segue:

«Sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva nella misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria:

a) acque di scarico;

(…)».

8 L’articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

1) “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi;

(…)

15) “recupero”: qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale. L’allegato II riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero;

(…)».

9 L’articolo 5 della direttiva 2008/98, rubricato «Sottoprodotti», enuncia quanto segue:

1. Una sostanza od oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale articolo può non essere considerato rifiuto ai sensi dell’articolo 3, punto 1, bensì sottoprodotto soltanto se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà ulteriormente utilizzata/o;

b) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di produzione e

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

(…)».

10 Ai sensi dell’articolo 6 di tale direttiva, intitolato «Cessazione della qualifica di rifiuto»:

«1. Taluni rifiuti specifici cessano di essere tali ai sensi dell’articolo 3, punto 1, quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.

(…)».

Il diritto austriaco

11 Le disposizioni rilevanti dell’Abfallwirtschaftsgesetz del 2002 (legge federale austriaca del 2002 sulla gestione dei rifiuti; in prosieguo: l’«AWG 2002») che recepiscono la direttiva 2008/98 sono così formulate:

«Definizioni

Articolo 2, paragrafo 1 Rifiuti ai sensi della presente legge federale sono beni mobili

1. di cui il detentore si sia disfatto o abbia l’intenzione di disfarsi, ovvero

2. la cui raccolta, stoccaggio, trasporto e trattamento come rifiuti sono prescritti al fine di non pregiudicare l’interesse pubblico (articolo 1, paragrafo 3).

(…)

(3a) Una sostanza od oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale articolo può non essere considerato rifiuto, bensì sottoprodotto soltanto se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

1. è certo che la sostanza o l’oggetto sarà ulteriormente utilizzata/o;

2. la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

3. la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di produzione e

4. l’ulteriore utilizzo è consentito, in particolare, la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato in modo sicuro per lo scopo previsto, nessun bene tutelato (cfr. articolo 1, paragrafo 3) è compromesso dall’utilizzo e tutte le disposizioni di legge pertinenti sono rispettate.

(…)

Esclusioni dal campo di applicazione

Articolo 3, paragrafo 1 Non costituiscono rifiuti ai sensi della presente legge federale

1. le acque reflue, comprese le altre acque elencate all’articolo 1, paragrafo 1, punti da 1 a 4 e 6, e paragrafo 2, della Verordnung über die allgemeine Begrenzung von Abwasseremissionen in Flieβgewässer und öffentliche Kanalisationen [regolamento sulla limitazione generale dello scarico di acque reflue nei corsi d’acqua e nelle reti fognarie pubbliche, BGBl. n. 186/1996].

(…)

Cessazione della qualifica di rifiuto

Articolo 5, paragrafo 1 Salvo diversamente disposto in un regolamento di cui al paragrafo 2 o in un regolamento di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, le sostanze esistenti sono considerate rifiuti fino a quando esse o le sostanze che direttamente ne derivano sono utilizzate come sostituti di materie prime o di prodotti ottenuti a partire da materie prime primarie. In caso di preparazione per il riutilizzo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, punto 6, la cessazione della qualifica di rifiuto avviene al termine di tale operazione di recupero.

(…)

Decisioni di constatazione

Articolo 6 (…)

(6) Su richiesta di un promotore o dell’Umweltanwalt oppure d’ufficio, il Landeshauptmann [capo del governo regionale] deve constatare entro tre mesi se

1. un impianto sia soggetto all’obbligo di ottenere un’autorizzazione conformemente all’articolo 37, paragrafo 1 o 3, o conformemente all’articolo 52, oppure se sussista una deroga in forza dell’articolo 37, paragrafo 2,

(…)

3. la modifica di un impianto di trattamento sia soggetta all’obbligo di ottenere un’autorizzazione conformemente all’articolo 37, paragrafo 1 o 3, o se sia soggetta all’obbligo di notifica in forza dell’articolo 37, paragrafo 4. (…)».

PROCEDIMENTO PRINCIPALE E QUESTIONI PREGIUDIZIALI

12 La Sappi gestisce a Gratkorn (Austria) un grande impianto industriale di produzione di carta e di pasta di legno. Su tale sito è presente anche un impianto di depurazione, gestito congiuntamente dalla Sappi e dal Wasserverband, che tratta le acque reflue provenienti dalla produzione di carta e di pasta di legno nonché le acque reflue urbane. Durante il trattamento di tali acque reflue, imposto dalla normativa nazionale, vengono prodotti i fanghi di depurazione di cui trattasi nel procedimento principale. Pertanto, tali fanghi sono costituiti sia da sostanze provenienti dalle acque reflue industriali sia da sostanze derivanti dalle acque reflue urbane. I fanghi di depurazione così formatisi nell’impianto di depurazione vengono poi inceneriti in una caldaia della Sappi e in un impianto di incenerimento di materiali residui gestito dal Wasserverband, e il vapore recuperato ai fini del recupero di energia alimenta la produzione della carta e della pasta di legno.

13 L’amministrazione regionale constatava, a seguito di un’indagine approfondita ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 6, dell’AWG 2002, che le modifiche apportate alla caldaia della Sappi e all’impianto di incenerimento di materiali residui, proprietà del Wasserverband, anch’esso situato in Gratkorn, erano soggette all’obbligo di autorizzazione.

14 Detta amministrazione considerava che era vero che i fanghi di depurazione avviati all’incenerimento provenivano per la maggior parte, vale a dire per circa il 97%, da un processo di fabbricazione di carta e che, per tale percentuale, avrebbero potuto essere considerati «sottoprodotti» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3a, dell’AWG 2002. Tuttavia, non sarebbe questo il caso per la percentuale di fanghi di depurazione prodotti durante il trattamento delle acque reflue urbane. Tali fanghi di depurazione rimarrebbero rifiuti.

15 Poiché, secondo la giurisprudenza del Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria), non esiste un limite de minimis per qualificare una sostanza come «rifiuto», si dovrebbe presumere che tutti i fanghi di depurazione inceneriti negli impianti industriali della Sappi e del Wasserverband debbano essere considerati «rifiuti» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’AWG 2002. La Sappi e il Wasserverband proponevano un ricorso contro detta decisione dinanzi al giudice del rinvio.

16 Con una sentenza del 19 dicembre 2016, tale giudice accoglieva il ricorso della Sappi e del Wasserverband. Investito di un ricorso per cassazione avverso detta sentenza, il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa) annullava quest’ultimo con una sentenza del 27 febbraio 2019 e rinviava la causa dinanzi al giudice del rinvio.

17 Il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa) rileva che l’articolo 2, paragrafo 3a, dell’AWG 2002 fissa, conformemente all’articolo 5 della direttiva 2008/98, le condizioni da soddisfare affinché una sostanza o un oggetto che è certamente il risultato di un processo di fabbricazione, ma non ne costituisce l’obiettivo principale, possa essere qualificato come «sottoprodotto» e non come «rifiuto». Da tale disposizione si evince che deve trattarsi di una sostanza o di un oggetto risultante da un processo di produzione.

18 Il giudice del rinvio si chiede se, come dichiarato dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa), i fanghi di depurazione derivanti dal trattamento congiunto delle acque reflue di origine industriale e urbana costituiscano un «rifiuto» ai sensi del diritto dell’Unione. Tale giudice sottolinea che, se la depurazione delle acque reflue non rientrasse in un processo di fabbricazione, una delle condizioni determinanti per l’esistenza di un sottoprodotto non sarebbe rispettata.

19 Il giudice del rinvio osserva, tuttavia, che l’aggiunta dei fanghi di depurazione per mezzo di un sistema automatizzato chiuso è effettuata all’interno dell’impresa, che il loro utilizzo avviene senza soluzione di continuità e che tale processo non comporta alcun rischio per l’ambiente e la salute umana. Inoltre, questo approccio avrebbe l’obiettivo di evitare la produzione di rifiuti e di sostituire l’utilizzo di combustibili fossili.

20 In tale contesto, il Landesverwaltungsgericht Steiermark (Tribunale amministrativo regionale della Stiria, Austria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se i fanghi di depurazione debbano essere considerati rifiuti alla luce dell’esclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/98, in combinato disposto con la direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU 1991, L 135, pag. 40), e/o la direttiva sui fanghi di depurazione, quale modificata dal regolamento (CE) n. 1137/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008 [che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio determinati atti soggetti alla procedura di cui all’articolo 251 del trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo – Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo – Prima parte (GU 2008, L 311, pag. 1)].

2) Ove non sia data risposta negativa già alla prima questione:

Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 (…) consenta di qualificare una sostanza come “sottoprodotto” ai sensi della nozione di “rifiuto” nell’ambito del diritto dell’Unione qualora, per motivi tecnici, a tale sostanza sia aggiunta una percentuale ridotta di altre sostanze che altrimenti sarebbero considerate rifiuti, qualora ciò non incida sulla composizione della sostanza nel suo complesso e presenti un vantaggio significativo per l’ambiente».

SULLA RICIVIBILITA’ DELLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI

21 Nelle sue osservazioni scritte, il governo austriaco sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale è manifestamente irricevibile.

22 In primo luogo, non sarebbe necessario rispondere alla prima questione. La questione del procedimento principale che si porrebbe è se i fanghi di depurazione costituiscano «rifiuti» ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98, eventualmente in combinato disposto con gli articoli 5 e 6 di tale direttiva. Orbene, la prima questione verte sull’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva. Poiché i fanghi di depurazione non sono un elemento costitutivo delle acque reflue, tale disposizione non sarebbe manifestamente correlata con l’oggetto del procedimento principale e la questione sarebbe quindi ipotetica.

23 In secondo luogo, le ragioni per le quali il giudice del rinvio nutre dubbi sull’interpretazione di detta disposizione non emergerebbero dall’esposizione dei motivi. Tale giudice si porrebbe soltanto il problema della conformità dell’articolo 2, paragrafi 1 e 3a, dell’AWG 2002 con il diritto dell’Unione e dell’interpretazione che ne è stata data. Orbene, tali disposizioni non recepirebbero l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), bensì l’articolo 3, punto 1, e l’articolo 5 della direttiva 2008/98.

24 In realtà, esso non chiederebbe l’interpretazione dell’articolo 6, ma dell’articolo 5 della direttiva 2008/98. Orbene, il soddisfacimento dei criteri per qualificare una sostanza come «sottoprodotto» comporterebbe l’inesistenza di un rifiuto. Infine, esso non esprimerebbe dubbi sull’interpretazione dell’articolo 6 di tale direttiva, ma si limiterebbe a contestare in generale l’assenza di «incentivazione ad applicare la gerarchia dei rifiuti» nel procedimento principale e non solleverebbe questioni di diritto dell’Unione che non sono state ancora risolte.

25 In proposito occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la Corte qualora ritengano che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad essi pendente, siano sorte questioni che implichino, segnatamente, un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione che siano essenziali ai fini della pronuncia nel merito della causa di cui sono investiti e sono liberi di esercitare tale facoltà in qualsiasi momento del procedimento da essi ritenuto opportuno (sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C-407/18, EU:C:2019:537, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

26 Parimenti, la Corte ha ripetutamente ricordato che le questioni sollevate dai giudici nazionali vertenti sul diritto dell’Unione sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su siffatte questioni è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (sentenze del 10 dicembre 2018, Wightman e a., C-621/18, EU:C:2018:999, punto 27, nonché del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C-407/18, EU:C:2019:537, punto 36).

27 Orbene, ciò non accade nel caso di specie.

28 Da un lato, occorre constatare che la sostanza in questione nel procedimento principale è costituita da fanghi di depurazione provenienti dal trattamento delle acque reflue dell’impianto di depurazione gestito dalla Sappi e dal Wasserverband. Orbene, in alcune circostanze, l’articolo 2 della direttiva 2008/98 esclude le acque reflue dall’ambito di applicazione di quest’ultima. Pertanto, la circostanza che il giudice del rinvio interroghi la Corte sull’interpretazione di detto articolo sembra correlata all’oggetto della controversia principale.

29 Dall’altro lato, le questioni poste riguardano la qualificazione di siffatti fanghi come «rifiuti» o come «sottoprodotti», il che comporta conseguenze giuridiche precise ed è chiaramente collegato al procedimento principale. Orbene, con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se siano soddisfatte tutte le condizioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, o all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98. A tal fine, detto giudice ha esposto sufficienti elementi di diritto e di fatto per consentire alla Corte di rispondere utilmente a tale questione.

30 Ne consegue che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

SULLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI

31 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 3, punto 1, l’articolo 5, paragrafo 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 debbano essere interpretati nel senso che i fanghi di depurazione prodotti durante il trattamento congiunto, in un impianto di depurazione, di acque reflue di origine industriale e domestica o urbana e inceneriti in un impianto di incenerimento di materiali residui ai fini del recupero di energia mediante produzione di vapore debbano essere qualificati come «rifiuti».

32 Occorre, in primo luogo, esaminare se le sostanze di cui trattasi nel procedimento principale rientrino nella sfera di applicazione della direttiva 2008/98.

33 L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/98 esclude dal suo ambito di applicazione le acque reflue, ad eccezione dei rifiuti liquidi, purché, tuttavia, tali acque reflue siano contemplate da «altra normativa [del diritto dell’Unione]».

34 Il legislatore dell’Unione ha in tal modo inteso qualificare espressamente le acque reflue come «rifiuti», ai sensi di detta direttiva, pur prevedendo che tali rifiuti possano, a determinate condizioni, esulare dal suo ambito di applicazione e rientrare in un’altra normativa (v., per analogia, per quanto concerne l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 75/442, sentenza del 10 maggio 2007, Thames Water Utilities, C-252/05, EU:C:2007:276, punto 26).

35 Per poter essere considerate come «altra normativa [del diritto dell’Unione]», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/98, le norme in questione non devono semplicemente riguardare una sostanza particolare, ma devono contenere disposizioni precise che ne organizzano la gestione come «rifiuti», a norma dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98. Altrimenti, la gestione dei rifiuti di cui trattasi non sarebbe organizzata né sul fondamento di tale direttiva, né su quello di un’altra direttiva, né nel contesto di una normativa nazionale, il che sarebbe in contrasto sia con il tenore letterale dell’articolo 2, paragrafo 2, di detta direttiva, sia con lo stesso fine della normativa dell’Unione in materia di rifiuti (v., per analogia, per quanto concerne l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 75/442, sentenza del 10 maggio 2007, Thames Water Utilities, C-252/05, EU:C:2007:276, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

36 Ne consegue che, per poter essere considerate come «altra normativa [del diritto dell’Unione]», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2008/98, le norme dell’Unione in questione devono contenere disposizioni precise che organizzano la gestione dei rifiuti e garantire un livello di tutela almeno equivalente a quello che risulta da detta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 10 maggio 2007, Thames Water Utilities, C-252/05, EU:C:2007:276, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

37 Orbene, la direttiva 91/271 non garantisce un siffatto livello di tutela. Sebbene disciplini la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue, essa non contiene disposizioni precise relative alla gestione dei fanghi di depurazione. Pertanto, non può ritenersi che essa riguardi la gestione di questi ultimi e garantisca un livello di tutela almeno equivalente a quello che risulta dalla direttiva 2008/98 (v., per analogia, sentenza del 10 maggio 2007, Thames Water Utilities, C-252/05, EU:C:2007:276, punto 35).

38 Per quanto concerne la direttiva 86/278/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1986, concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura (GU 1986, L 181, pag. 6), richiamata sia dal giudice del rinvio sia dalle parti nel procedimento principale, come risulta tanto dal suo stesso titolo quanto dal suo articolo 1, essa disciplina unicamente l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura. Tale direttiva è quindi irrilevante ai fini della qualificazione dei fanghi di depurazione inceneriti in un impianto di incenerimento come materiali residui per il recupero di energia mediante produzione di vapore, senza alcuna relazione con le attività agricole.

39 Pertanto, occorre constatare che dette acque reflue non sono escluse dalla sfera di applicazione della direttiva 2008/98. Lo stesso vale per i fanghi di depurazione di cui trattasi nel procedimento principale, prodotti durante il trattamento di dette acque reflue, in quanto i fanghi di depurazione non figurano nemmeno tra le sostanze e gli oggetti che possono essere esclusi, in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, di detta direttiva, dalla sfera di applicazione di quest’ultima.

40 In secondo luogo, occorre determinare se i fanghi di depurazione in questione nel procedimento principale costituiscano un «rifiuto» ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98.

41 Occorre ricordare che tale disposizione definisce la nozione di «rifiuto» come qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi.

42 Secondo costante giurisprudenza della Corte, la qualifica di «rifiuto» deriva anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine «disfarsi» (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

43 Per quanto riguarda l’espressione «disfarsi», da una giurisprudenza costante della Corte risulta altresì che tale espressione va interpretata alla luce dell’obiettivo della direttiva 2008/98 che, ai sensi del suo considerando 6, consiste nel ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente, nonché dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, a tenore del quale la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva. Ne consegue che il termine «disfarsi» e dunque la nozione di «rifiuto», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98, non possono essere interpretati in modo restrittivo (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

44 Dalle disposizioni di detta direttiva risulta inoltre che il termine «disfarsi» comprende, al contempo, il «recupero» e lo «smaltimento» di una sostanza o di un oggetto ai sensi dell’articolo 3, punti 15 e 19, di tale direttiva (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

45 Più in particolare, l’esistenza di un «rifiuto» ai sensi della direttiva 2008/98 va accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto dell’obiettivo di tale direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia. Pertanto, talune circostanze possono costituire indizi dell’esistenza di un’azione, di un’intenzione o di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto, ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98 (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punti 20 e 21).

46 Tra le circostanze che possono costituire indizi del genere figura il fatto che la sostanza utilizzata sia un residuo di produzione o di consumo, ossia un prodotto che non sia stato ricercato in quanto tale (v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer, C-188/07, EU:C:2008:359, punto 41, e del 3 ottobre 2013, Brady, C-113/12, EU:C:2013:627, punto 40).

47 Al riguardo, un tale indizio può essere rappresentato anche dal fatto che la sostanza di cui trattasi sia un residuo di produzione il cui eventuale utilizzo deve avvenire in condizioni particolari di prudenza a causa della pericolosità per l’ambiente della sua composizione (sentenza del 3 ottobre 2013, Brady, C-113/12, EU:C:2013:627, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

48 Dalla giurisprudenza della Corte risulta inoltre che il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un «rifiuto» e che la nozione di «rifiuto» non esclude le sostanze né gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva 2008/98 intende, infatti, riferirsi a tutti gli oggetti e a tutte le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo (v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer, C-188/07, EU:C:2008:359, punto 40, e del 3 ottobre 2013, Brady, C-113/12, EU:C:2013:627, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

49 Particolare attenzione dev’essere inoltre rivolta alla circostanza che l’oggetto o la sostanza di cui trattasi non presenti o non presenti più alcuna utilità per il suo detentore, sicché tale oggetto o tale sostanza costituisce un ingombro di cui tale detentore cerchi di disfarsi. Infatti, ove ricorra tale ipotesi, sussiste il rischio che detto detentore si disfi dell’oggetto o della sostanza in suo possesso con modalità atte a cagionare un danno ambientale, in particolare mediante abbandono, scarico o smaltimento incontrollati. Rientrando nella nozione di «rifiuto», ai sensi della direttiva 2008/98, tale oggetto o tale sostanza soggiace alle disposizioni di questa direttiva, il che implica che il suo recupero o il suo smaltimento dovrà essere effettuato in modo da non mettere in pericolo la salute umana e senza che vengano utilizzati procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punto 22).

50 In proposito, il grado di probabilità di riutilizzo di un bene, di una sostanza o di un prodotto senza operazioni di trasformazione preliminare costituisce un criterio utile al fine di valutare se essi costituiscano o no un rifiuto ai sensi della direttiva 2008/98. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare il bene, la sostanza o il prodotto di cui trattasi, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta. In un’ipotesi del genere, il bene, la sostanza o il prodotto di cui trattasi non possono più essere considerati un onere di cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensì un autentico prodotto (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

51 Del pari, in determinate situazioni, un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di «disfarsi» ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98, ma che esso intende sfruttare o commercializzare – altresì eventualmente per il fabbisogno di operatori economici diversi da quello che l’ha prodotto – a condizioni ad esso favorevoli, in un processo successivo, a condizione che tale riutilizzo non sia soltanto possibile ma certo, non richieda una trasformazione preliminare e intervenga nel corso del processo di produzione (sentenza del 3 ottobre 2013, Brady, C-113/12, EU:C:2013:627, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

52 Infatti, non sarebbe in alcun modo giustificato assoggettare alle disposizioni della direttiva 2008/98, volte ad assicurare che le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti siano eseguite senza mettere in pericolo la salute umana e senza che vengano usati procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente, beni, sostanze o prodotti che il detentore intenda sfruttare o commercializzare in condizioni vantaggiose indipendentemente da una qualsiasi operazione di recupero. Tuttavia, alla luce dell’obbligo di procedere a un’interpretazione estensiva della nozione di «rifiuto», si deve ritenere che vengano quindi prese in considerazione unicamente le fattispecie in cui il riutilizzo del bene o della sostanza di cui trattasi non sia soltanto eventuale ma certo, senza che sia necessario a tal fine ricorrere preventivamente a uno dei procedimenti di recupero dei rifiuti di cui all’allegato II della direttiva 2008/98, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

53 Spetta, in definitiva, al giudice del rinvio, il solo competente a valutare i fatti oggetto della causa sottoposta al suo esame, verificare se il detentore dell’oggetto o della sostanza di cui trattasi avesse effettivamente l’intenzione di «disfars[ene]», tenuto conto del complesso delle circostanze del caso di specie, vigilando nel contempo sul rispetto dell’obiettivo contemplato dalla direttiva 2008/98. Ciò premesso, spetta alla Corte fornire a tale giudice tutte le indicazioni utili alla soluzione della controversia di cui è stato investito (sentenza del 4 luglio 2019, Tronex, C-624/17, EU:C:2019:564, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

54 Nel caso di specie, la questione oggetto del procedimento principale è se i fanghi di depurazione provenienti dall’impianto di depurazione delle acque reflue gestito congiuntamente dalla Sappi e dal Wasserverband debbano essere qualificati come «rifiuti» e se, pertanto, il loro incenerimento rientri nelle disposizioni applicabili ai rifiuti. In forza della normativa nazionale, occorrerebbe eventualmente sottoporre le modifiche apportate alla caldaia della Sappi e all’impianto di incenerimento di materiali residui detenuti dal Wasserverband ad un obbligo di autorizzazione.

55 La Sappi fa valere che tale circostanza non ricorre nel caso di specie, in quanto i fanghi di depurazione in questione nel procedimento principale sono costituiti per quasi il 100% da residui vegetali, provengono da un processo produttivo di carta e di pasta di legno, sono integrati fin dalla progettazione dell’impianto e sono utilizzati per recuperare energia per la produzione di carta. Pertanto, essi procurerebbero a tale impresa un vantaggio economico considerevole. A causa del ciclo chiuso di utilizzo comprendente un trasporto, 24 ore su 24, mediante convogliatori, non esisterebbe alcuna sostanza di cui il detentore intenda disfarsi.

56 Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che tali fanghi di depurazione sono prodotti durante il trattamento congiunto delle acque reflue di origine industriale e, in minima parte, di origine domestica o urbana nell’impianto di depurazione e sono utilizzati, dopo la disidratazione meccanica, in un impianto di incenerimento di materiali residui ai fini del recupero di energia mediante produzione di vapore, nel processo produttivo della Sappi. A causa di tale reintegrazione dei fanghi di depurazione nel sistema nonché del loro incenerimento permanente e continuo, senza produzione di emissioni, per la produzione di vapore nel processo di fabbricazione della carta, il giudice del rinvio ritiene che detti fanghi siano riutilizzati in modo costante, immediato e certo.

57 Come risulta dalla giurisprudenza richiamata ai punti 41 e 42 della presente sentenza, la nozione di «rifiuto» è definita come qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi.

58 In proposito, occorre constatare che la circostanza che nell’impianto di depurazione solo una minima parte di acque reflue urbane sia aggiunta alle acque reflue provenienti dalla produzione di carta e di pasta di legno è irrilevante per determinare se i fanghi di depurazione risultanti dal trattamento congiunto di tali acque reflue costituiscano o meno un «rifiuto».

59 Tale interpretazione è la sola che garantisce il rispetto degli obiettivi di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente previsto dalla direttiva 2008/98. Infatti, in un caso del genere, le acque reflue provenienti dalla produzione di carta e di pasta di legno non sono separabili dalle acque reflue di origine domestica o urbana e possono essere recuperate o smaltite solo se sottoposte anche alle necessarie operazioni di trattamento richieste dalla normativa nazionale. Orbene, è pacifico che le acque reflue di origine domestica o urbana devono essere considerate come sostanze di cui il loro detentore si è disfatto.

60 Da quanto precede risulta che, fatte salve le verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare, le acque reflue di cui trattasi nel procedimento principale devono essere considerate come sostanze di cui il detentore intende disfarsi, il che comporta la loro qualificazione come «rifiuti» ai sensi della direttiva 2008/98.

61 Secondo le indicazioni contenute nel fascicolo sottoposto alla Corte, la depurazione di tali acque reflue costituisce un processo di trattamento imposto dalla normativa nazionale in materia di gestione delle acque prima dello scarico di acque reflue in un corso d’acqua, in quanto potrebbero esservi scaricate solo le sostanze innocue. Al riguardo, dagli elementi di detto fascicolo emerge che, in funzione del tipo di acque reflue e del processo di trattamento, i fanghi di depurazione potrebbero contenere alcune sostanze nocive, quali germi patogeni o metalli pesanti, che presentano un rischio per l’ambiente nonché per la salute umana e per quella animale.

62 Per quanto concerne i fanghi di depurazione in questione nel procedimento principale, è pacifico che essi sono un residuo derivante dal trattamento di acque reflue. Un elemento del genere costituisce, come risulta dalla giurisprudenza richiamata ai punti 46 e 47 della presente sentenza, un’indicazione del mantenimento della qualifica di rifiuto.

63 Tuttavia, sembra che il giudice del rinvio ritenga che, ancor prima del loro incenerimento, i fanghi di depurazione non possano essere più qualificati come «rifiuti».

64 Si deve ricordare, al riguardo, che l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2008/98 enuncia le condizioni alle quali devono rispondere i criteri specifici che consentono di determinare quali rifiuti cessano di essere «rifiuti», ai sensi dell’articolo 3, punto 1, di tale direttiva, qualora abbiano subìto un’operazione di recupero o di riciclaggio.

65 Durante il recupero di rifiuti, occorre garantire un elevato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente. In particolare, il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, segnatamente connessi all’eventuale presenza di sostanze pericolose (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Tallinna Vesi, C-60/18, EU:C:2019:264, punto 28).

66 Nel caso di specie occorre constatare che, nell’ipotesi in cui l’incenerimento dei fanghi di depurazione consistesse in un’operazione di «recupero», ai sensi dell’articolo 3, punto 15, della direttiva 2008/98, riguardante operazioni relative a rifiuti, detti fanghi dovrebbero essere ancora qualificati come «rifiuti» al momento del loro incenerimento. Una modifica della qualifica come quella menzionata dal giudice del rinvio presupporrebbe quindi che il trattamento effettuato ai fini del recupero consenta di ottenere fanghi di depurazione che soddisfino un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente, come richiesto dalla direttiva 2008/98, privi, in particolare, di qualsiasi sostanza pericolosa. A tal fine, occorre assicurarsi dell’innocuità dei fanghi di depurazione di cui trattasi nel procedimento principale.

67 È al giudice del rinvio che spetta verificare se le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 siano già soddisfatte prima dell’incenerimento dei fanghi di depurazione. In particolare, si deve verificare, se del caso, sul fondamento di un’analisi scientifica e tecnica, che i fanghi di depurazione soddisfino i valori limite legali per le sostanze inquinanti e che il loro incenerimento non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

68 Nell’ambito di tale valutazione rileva, segnatamente, la circostanza che il calore prodotto durante l’incenerimento dei fanghi di depurazione sia riutilizzato in un processo di fabbricazione di carta e di pasta di legno e che tale processo presenti un vantaggio significativo per l’ambiente a causa dell’utilizzo di materiali di recupero per preservare le risorse naturali e per consentire l’attuazione di un’economia circolare.

69 Qualora, sul fondamento di siffatta analisi, il giudice del rinvio constatasse che le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 erano soddisfatte prima dell’incenerimento dei fanghi di depurazione in questione nel procedimento principale, occorrerebbe rilevare che questi ultimi non costituiscono rifiuti.

70 Nell’ipotesi inversa, si dovrebbe ritenere che tali fanghi di depurazione rientrino ancora nella nozione di «rifiuto» al momento di detto incenerimento.

71 In tali circostanze, e poiché, come risulta dalla formulazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/98, la qualità di «sottoprodotto» e la qualifica di «rifiuto» si escludono reciprocamente, non occorre esaminare se i fanghi di cui trattasi nel procedimento principale debbano essere qualificati come «sottoprodotti» ai sensi di detta disposizione.

72 Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 3, punto 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 devono essere interpretati nel senso che i fanghi di depurazione prodotti durante il trattamento congiunto, in un impianto di depurazione, di acque reflue di origine industriale e domestica o urbana e inceneriti in un impianto di incenerimento di materiali residui ai fini del recupero di energia mediante produzione di vapore non devono essere considerati rifiuti se le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva 2008/98 sono già soddisfatte prima del loro incenerimento. Spetta al giudice del rinvio accertare se ciò si verifichi nel procedimento principale.

SULLE SPESE

73 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

                 PER QUESTI MOTIVI LA CORTE (SECONDA SEZIONE) DICHIARA:

L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 3, punto 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, devono essere interpretati nel senso che i fanghi di depurazione prodotti durante il trattamento congiunto, in un impianto di depurazione, di acque reflue di origine industriale e domestica o urbana e inceneriti in un impianto di incenerimento di materiali residui ai fini del recupero di energia mediante produzione di vapore non devono essere considerati rifiuti se le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva 2008/98 sono già soddisfatte prima del loro incenerimento. Spetta al giudice del rinvio accertare se ciò si verifichi nel procedimento principale.